L'attribuzione al coniuge cui sia stato riconosciuto l'assegno di mantenimento, di ricevere una quota dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge
CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 14 novembre 2008, n. 27233
Avv. Sara Fascio
di La Spezia, SP
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Massima: l'art. 12 bis, per giurisprudenza consolidata, attribuisce al coniuge cui sia stato riconosciuto l'assegno ex art. 5, (e non sia passato a nuove nozze;) il diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge "anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza"; la norma deve perciò essere interpretata nel senso che il diritto alla quota sorge quando l'indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della
Massima: l'art. 12 bis, per giurisprudenza consolidata, attribuisce al coniuge cui sia stato riconosciuto l'assegno ex art. 5, (e non sia passato a nuove nozze;) il diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge "anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza"; la norma deve perciò essere interpretata nel senso che il diritto alla quota sorge quando l'indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio, implicando ogni diversa interpretazione profili di incostituzionalità della norma stessa. In particolare, è stato sottolineato che la ratio dell'art. 12 bis, è quella di correlare il diritto alla quota di indennità non ancora percepita dal coniuge che ne abbia diritto al diritto all'assegno divorzile, il quale in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorchè - di regola - esso venga costituito in concreto e divenga esigibile solo dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi, con la conseguenza che ove l'indennità di fine rapporto sia percepita dall'avente diritto dopo la domanda singola o congiunta - di divorzio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell'assegno deve ritenersi riconnessa dall'art. 12 bis, l'attribuzione del diritto alla quota dell'indennità su detta, la quale potrà essere liquidata con la stessa sentenza di divorzio (in tal senso anche, da ultimo, Cass. 1 agosto 2008 n. 21002), ovvero in un distinto, successivo procedimento.
Testo: SVOLGIMENTO DEL PROCESSOCon sentenza depositata il 26 giugno 2000, il Tribunale di Roma, su ricorso di S.M.F., dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario da lei contratto con S. F., respingeva la domanda della S. di assegnazione della casa coniugale e determinava in L. 800.000, mensili la misura dell'assegno divorzile alla medesima dovuto ed in L. 1.000.000, mensili il contributo da corrispondersi dal padre per il mantenimento della figlia M., maggiorenne ma non ancora economicamente autonoma, convivente con la madre.
La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 10 luglio - 3 ottobre 2003, pronunciando sull'impugnazione proposta dalla S., determinava in Euro 500,00, mensili la misura dell'assegno divorzile, attribuiva alla S. il 40% dell'indennità di fine rapporto percepita dallo S. F., riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro era coinciso con il matrimonio, condannando lo S. F. al relativo pagamento, e confermava nel resto la sentenza impugnata. Avverso la sentenza d'appello S. F. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Dopo la fissazione del ricorso all'udienza dell'8 novembre 2007, la causa era rinviata a nuovo ruolo per l'acquisizione del fascicolo di ufficio riguardante il giudizio di primo grado, che non era ancora pervenuto. Acquisito successivamente tale fascicolo, la causa era nuovamente fissata per la discussione.
Motivi della decisione 1. Con il primo mezzo d'impugnazione il ricorrente lamenta che non sia stata rigettata l'istanza di controparte relativa all'attribuzione di una quota del T.F.R., in quanto inammissibile e tardiva. Si sostiene che la domanda non sarebbe mai stata avanzata, non essendo contenuta nel ricorso della S. in primo grado e che, comunque, il primo atto difensivo dopo l'interrogatorio dello S. F. non erano state le memorie depositate il 6 marzo 1999, ma le note difensive datate 17 febbraio 1999, nelle quali non si rinviene alcun accenno al TFR né ad alcuna pretesa su di esso. Contrariamente a quanto affermato dai Giudici di secondo grado, non si poteva presumere che fosse stato accettato il contraddittorio sul punto con le conclusioni della comparsa in appello, essendosi sostenuta, a pag. 6 di tale atto difensivo l'inammissibilità della domanda in ordine al TFR. 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 12 bis, per avere la Corte di appello attribuito la quota di TFR, nonostante la relativa domanda fosse infondata, perchè non poteva sorgere alcun diritto all'attribuzione della quota del TFR finchè non fosse passata in giudicato la sentenza di divorzio. Secondo lo S.F., l'espressione "anche se", contenuta nella norma, doveva interpretarsi nel senso di "benchè", in quanto la quota di TFR è parametrata alla durata del matrimonio ed il diritto alla quota sorge laddove il beneficiario sia titolare dell'assegno divorzile e possieda lo status di divorziato.
3. I primi due motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione, non sono fondati. Il diritto dell'ex coniuge, titolare di assegno di divorzio, ad ottenere salvo che non sia passato a nuove nozze - una percentuale dell'indennità "percepita" dall'altro coniuge "all'atto della cessazione del rapporto di lavoro" (L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 bis, aggiunto dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 16), diviene attuale, ed è quindi azionabile, nel momento in cui, cessato il rapporto di lavoro dell'ex coniuge, questi percepisce il relativo trattamento (Cass. 23 marzo 2004 n. 5719).
Inoltre, questa Corte, nell'interpretare la norma contenuta nell'art. 12 bis, con giurisprudenza consolidata, ha affermato il principio secondo il quale essa, attribuendo al coniuge cui sia stato riconosciuto l'assegno cit. L. ex art. 5, (e non sia passato a nuove nozze;) il diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge "anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza", deve essere interpretata nel senso che il diritto alla quota sorge quando l'indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio, implicando ogni diversa interpretazione profili di incostituzionalità della norma stessa (Cass. 10 novembre 2006, n. 24057; 29 settembre 2005, n. 19046; 18 dicembre 2003, n. 19427; 17 dicembre 2003, n. 19309; 7 giugno 1999, n. 5553). In particolare, è stato sottolineato (Cass. 24057/06 cit.) che la ratio dell'art. 12 bis, è quella di correlare il diritto alla quota di indennità non ancora percepita dal coniuge che ne abbia diritto al diritto all'assegno divorzile, il quale in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorchè - di regola - esso venga costituito in concreto e divenga esigibile solo dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi, con la conseguenza che ove l'indennità di fine rapporto sia percepita dall'avente diritto dopo la domanda singola o congiunta - di divorzio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell'assegno deve ritenersi riconnessa dall'art. 12 bis, l'attribuzione del diritto alla quota dell'indennità su detta, la quale potrà essere liquidata con la stessa sentenza di divorzio (in tal senso anche, da ultimo, Cass. 1 agosto 2008 n. 21002), ovvero in un distinto, successivo procedimento.
L'evidente connessione (vedi anche Cass. 30 agosto 2004 n. 17404) tra la domanda di attribuzione di una quota del TFR fondata sul citato art. 12 bis, e la domanda di assegno divorzile, il cui riconoscimento condiziona l'accoglimento della prima domanda, giustifica la proposizione della domanda riguardante il TFR nell'ambito del procedimento di divorzio - nelle forme per esso previste dalla L. n. 898 del 1970, art. 4, e succ. modif., norma speciale e completa, volta ad accelerare la procedura di accertamento dei presupposti dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, al fine di impedire condotte defatigatorie od ostative del convenuto (Cass. 16 novembre 2005 n. 23070) - mentre sarebbe contrario al principio di economia processuale esigere che nella situazione di fatto verificatasi (liquidazione del TFR durante il procedimento di divorzio) la domanda di attribuzione di una quota del TFR sia proposta attraverso l'instaurazione di un separato giudizio tra le stesse parti. Nella specie, il ricorrente, premesso che nella comparsa di risposta in primo grado egli aveva affermato che il suo pensionamento era prossimo, sostiene che l'attrice avrebbe potuto sin da allora proporre la domanda di attribuzione di una quota del TFR, domanda che aveva invece successivamente (e tardivamente, secondo lo S. F.) proposto dinanzi al Giudice istruttore.
Tale tesi non può essere condivisa perchè, come si è detto, la domanda in questione è azionabile solo dopo la corresponsione del TFR. Ne consegue che deve considerarsi tempestiva, nel caso in esame, come ritenuto dalla Corte di appello, la proposizione della suddetta domanda nelle note di replica depositate il 4 marzo 1999 - autorizzate dal Giudice istruttore con riferimento alla richiesta dello S.F. di riduzione, in via di urgenza, dell'assegno di mantenimento a suo carico - dopo che il convenuto nell'interrogatorio reso dinanzi al medesimo giudice nell'udienza immediatamente precedente (il 9 febbraio 1999) aveva dichiarato che il TFR gli era stato liquidato nel novembre 1998 (in pendenza del giudizio di divorzio) . In tali note la S. ha ribadito la richiesta di aumento dell'assegno ed ha chiesto l'assegnazione di parte della somma percepita dallo S.F. a titolo di liquidazione. La formulazione della domanda riguardante il TFR in note di replica non ha comportato violazione del contraddittorio, poiché il giudice istruttore, sciogliendo la riserva, ha rinviato la causa ad un'udienza successiva per la precisazione delle conclusioni, dando termine per il deposito di documenti e note per richieste istruttorie ed ulteriore termine per il deposito di repliche, e nella successiva udienza del 30 settembre 1999 lo S.F. ha avuto la possibilità di contraddire rispetto alla domanda di attribuzione di quota del TFR. Il fatto, poi, che la S. non abbia formulato conclusioni all'udienza a tal fine fissata è ininfluente, poichè l'omessa precisazione delle conclusioni della parte in udienza non produce altro effetto che quello di far ritenere richiamate le conclusioni formulate in precedenza (Cass. 9 ottobre 1998 n. 10027, 18 febbraio 1983 n. 1261). La circostanza, evidenziata dallo S.F., che la S. non abbia proposto la domanda di attribuzione di parte del TFR già nelle note difensive del 17 febbraio 1999, depositate il 18 febbraio 1999, è irrilevante, essendo le note e le repliche espressione di un'attività difensiva unitaria rispetto alla situazione determinatasi nell'udienza che immediatamente le precede, nella quale, nella specie, lo S.F. aveva dichiarato di aver percepito il TFR. È comunque il caso di rilevare che già nelle citate note difensive la S., pur non avendo formulato una vera e propria richiesta, aveva evidenziato che lo S.F. aveva ottenuto il TFR e che esso rappresentava una notevolissima entrata, sulla quale la deducente riteneva di vantare i suoi diritti.
4. Il terzo motivo esprime una doglianza di errata determinazione dell'assegno divorzile. Secondo il ricorrente, l'attribuzione pro-quota dell'indennità di fine rapporto alla S. avrebbe richiesto una corrispondente ed equa riduzione dell'assegno di mantenimento, onde evitare un'illegittima duplicazione, mentre il giudice di secondo grado aveva addirittura elevato l'assegno. La determinazione dell'assegno era comunque errata non avendo la Corte d'appello correttamente esaminato le condizioni patrimoniali ed i redditi della S., che aveva cercato di sminuire la documentazione fiscale prodotta in appello con l'elencazione di una serie di spese, le quali comunque confermavano il buon livello del suo tenore di vita. I Giudici di secondo grado avevano anche, a giudizio dello S.F., trascurato di verificare quali fossero gli effettivi redditi da locazione percepiti dalla S. per un appartamento a … (il contratto di locazione indicava un canone mensile di L. 500.000, a partire da ottobre 1998, mentre un precedente contratto, depositato in primo grado dallo S.F., prevedeva un canone mensile di L. 1.300.000, a partire da gennaio 1995). Inoltre, secondo il ricorrente, la Corte d'appello aveva ritenuto la S. priva di reddito pensionistico quando essa aveva in realtà maturato la pensione INPS, di cui al D.L. n. 503 del 1992, art. 3, comma 3, per un importo mensile pari ad Euro 392,50. 5. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Per quanto riguarda l'attribuzione alla S. del 40% dell'indennità di fine rapporto percepita dallo S.F., riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio, non essendo stato precisato nel ricorso l'ammontare totale dell'indennità nè il numero degli anni di coincidenza del lavoro con il matrimonio questa Corte non è in grado di valutare la decisività della circostanza. D'altra parte, la Corte d'appello ha precisato che la somma percepita dallo S.F. a titolo di TFR ha scarsamente inciso sulla valutazione da essa effettuata ai fini dell'assegno (basato su un raffronto della diversa capacità reddituale e di guadagno delle parti) e che la stessa proporzione prevista dal legislatore (con il riconoscimento di una maggiore percentuale a favore del coniuge lavoratore) consente di escludere qualsiasi effetto alterativo del riequilibrio operato (con l'assegno). Tali argomentazione non sono state oggetto di specifiche contestazioni da parte del ricorrente. Del preteso reddito pensionistico maturato dalla S. non vi è traccia nella sentenza impugnata. nè il ricorrente ha formulato censure di omessa considerazione da parte della Corte di appello di fatti decisivi da lui dedotti con riguardo alla suddetta pensione ed alla sussistenza delle relative condizioni di legge.
I restanti profili del motivo - che riguardano il merito della causa e che non configurano nemmeno vizi di motivazione, consistendo piuttosto in affermazioni generiche o volte a prospettare pretesi elementi presuntivi diretti a sostenere una diversa valutazione di circostanze di fatto - non possono essere presi in considerazione in questa sede, dati i limiti del giudizio di cassazione.
6. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. Nulla per le spese del giudizio di cassazione, in considerazione del suo esito e della mancanza di difese da parte dell'intimata.
P.Q.M.La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Commento.Con la pronuncia in commento i giudici di legittimità hanno ritenuto pienamente ammissibile e tempestiva la domanda con la quale il coniuge eserciti, nell'ambito del procedimento di divorzio, il proprio diritto alla quota del trattamento di fine rapporto percepito dall'altro coniuge, ai sensi dell'art. 12Bis Legge n. 898/70, nel primo atto utile successivo all'acquisita conoscenza della percezione della suddetta indennità da parte del coniuge titolare, tenuto conto che l'accoglimento di tale domanda sarà naturalmente e inscindibilmente condizionato all'accoglimento della domanda con cui il coniuge istante abbia richiesto l'attribuzione al medesimo di un assegno divorzile.
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Sara Fascio
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