L'accertamento del diritto all'assegno divorzile
CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 14 novembre 2008, n. 27234
Avv. Sara Fascio
di La Spezia, SP
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Massima: l'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto. Essendo quindi necessario verificare se i mezzi del coniuge richiedente fosse
Massima: l'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto. Essendo quindi necessario verificare se i mezzi del coniuge richiedente fossero adeguati rispetto a tale tenore di vita e se questi fosse impossibilitato a procurarsi mezzi adeguati per ragioni obiettive, l'accertamento della capacità lavorativa va compiuto non nella sfera della ipoteticità o dell'astrattezza, bensì in quella dell'effettività e della concretezza, dovendosi, all'uopo, tenere conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi del caso di specie in rapporto ad ogni fattore economico, sociale, individuale, ambientale, territoriale (es. situazione economica locale, reputazione professionale, pregresso svolgimento della medesima attività lavorativa prospettata da parte dell'istante).
Testo:Il Tribunale di Roma, adito da C.R., dopo aver pronunciato, con sentenza non definitiva depositata il 12 luglio 2001, la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da quest'ultima con S.R., respingeva, con sentenza depositata il 10 luglio 2003, la domanda di assegno divorzile avanzata dalla C.
La Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 13 aprile 2005, respingeva il gravame proposto dalla C. Osservava la Corte territoriale, in particolare, che l'appellante non aveva provato di essere priva di mezzi adeguati perché impossibilitata a procurarseli per ragioni oggettive e, d'altronde, il tenore di vita goduto nel corso della breve convivenza matrimoniale, e prevedibile in costanza di essa, non era stato né avrebbe potuto essere superiore a quello conseguibile e di fatto conseguito per molti anni dalla stessa appellante col serio investimento delle sue potenzialità culturali e professionali, da ritenersi equivalenti a quelle dell'ex marito.
Avverso la sentenza d'appello C.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, illustrato con memoria. S.R. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione 1. Con l'unico mezzo d'impugnazione il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, nonché insufficiente, omessa e contraddittoria motivazione. Si sostiene: a) che l'elemento di fatto della notevolissima sproporzione tra i redditi delle parti (Euro 8.136,00, all'anno per la C. ed Euro 129.114,22, per lo S.) era sufficiente a dimostrare l'impossibilità per il coniuge più debole di procurarsi i mezzi necessari per il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; b) che la sentenza impugnata aveva completamente trascurato elementi certi (età, qualifica di pensionata e modesto reddito della moglie), dando prevalenza ad un elemento singolare, astratto ed ipotetico, come quello della possibilità di consulenza, che l'età di 66 anni rendeva irreale; c) che, dovendo la valutazione del tenore di vita essere operata con riferimento al momento della pronuncia di divorzio, era erronea l'utilizzazione da parte della Corte di appello, in violazione del citato art. 10, dei termini "breve convivenza" e "breve matrimonio"; d) che la sentenza impugnata non aveva menzionato la circostanza che la convivenza era venuta meno a seguito di separazione con addebito al marito, sicchè era paradossale ed ingiusto utilizzare l'argomento della breve convivenza a favore del marito e contro la moglie; e) che era ininfluente il lungo periodo di separazione senza assegno, attesa la diversità dei criteri relativi all'assegno di separazione ed all'assegno divorzile. Obietta il controricorrente che, in fattispecie particolari, il Giudice di merito può con motivazione adeguata assumere uno o più criteri destinati a stabilire il quantum dell'assegno di divorzio (nel caso in esame, il breve periodo di convivenza) a fondamento della decisione di escludere il diritto all'assegno. Inoltre, all'interno del concetto "durata del matrimonio, occorre distinguere la durata della convivenza da quella della separazione. Nella specie, se vi era stato un deterioramento del tenore di vita della C. al momento dell'introduzione del giudizio di divorzio, esso non aveva trovato causa nello scioglimento del rapporto, ma in scelte di vita assunte dalla medesima nel corso della lunga separazione.
2. Il ricorso merita accoglimento nei termini appresso precisati. Secondo quanto già affermato da questa Corte, l'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto (Cass. 28 febbraio 2007 n. 4764; Cass. 12 luglio 2007 n. 15611). Nella specie, la sentenza impugnata ha sottolineato la sostanziale omogeneità delle condizioni personali (età, cultura, salute) e socio-ambientali degli ex coniugi - ormai ultrasessantenni, senza rilevanti problemi di salute, laureati in ingegneria, i quali avevano svolto, prima e dopo la separazione, proficua attività professionale (il marito) ed anche imprenditoriale (la moglie) - ed ha affermato che il tenore di vita goduto dalla C. nel corso della breve convivenza matrimoniale, e prevedibile in costanza di essa, non era stato nè avrebbe potuto essere superiore a quello conseguibile e di fatto conseguito per molti anni dalla medesima col serio investimento delle sue potenzialità culturali e professionali. Da tale quadro si ricava che il tenore di vita che era stato goduto dalla controricorrente in costanza di matrimonio e che era configurabile in base alle aspettative basate sulle condizioni dei coniugi, pur se uniforme a quello goduto dal marito, era comunque da collocarsi ad un buon livello.
La Corte di appello quindi era chiamata a verificare se i mezzi della C. fossero adeguati rispetto a tale tenore di vita e se ella fosse impossibilitata a procurarsi mezzi adeguati per ragioni obiettive. Sul punto la sentenza impugnata ha così motivato: "L'attuale innegabile divario tra le condizioni economiche delle parti (cfr. le più recenti dichiarazioni fiscali, da cui risulta un reddito imponibile dello S. di Euro 128.325,00, nel 2003, e un ben più modesto reddito imponibile della C. di Euro 12.671,00, nel 2002 e soli Euro 9.385,74, annui per pensione di vecchiaia nell'anno 2003, mentre, fino alla fine degli anni novanta, le pur prodotte dichiarazioni attestano un reddito imponibile annuale dell'appellata di oltre vecchie L. 70.000.000, nel 1999) non implica, di per sè, la prova dell'inidoneità della C., ingegnere e già imprenditrice in società con rilevanti capitali e imponenti attività, di svolgere tuttora qualificati compiti compatibili con la sua età - ad esempio consulenze professionali coerentemente alla competenza posseduta ed alla consolidata esperienza acquisita nel corso di molti anni di gestione societaria, svolta a livelli apicali". Osserva il Collegio che, secondo lo stesso precedente di questa Corte citato dalla Corte d'appello (Cass. 16 luglio 2004 n. 13169), l'accertamento della capacità lavorativa va compiuto non nella sfera della ipoteticità o dell'astrattezza, bensì in quella dell'effettività e della concretezza, dovendosi, all'uopo, tenere conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi del caso di specie in rapporto ad ogni fattore economico, sociale, individuale, ambientale, territoriale (cfr. anche Cass. 26 febbraio 1998 n. 2087, Cass. 22 febbraio 2006 n. 3838).
La motivazione della Corte di appello appare inadeguata per la sua astrattezza, non avendo dato sufficientemente conto di tali elementi soggettivi ed oggettivi. La possibilità per la C. (nata il 7 luglio 1939) di svolgere qualificati compiti professionali - quali le consulenze - per poter essere considerata concreta, avrebbe dovuto essere valutata alla luce di elementi come, per esempio, la situazione economica locale, con riferimento al luogo di residenza, la reputazione professionale (sulla quale possono influire i risultati delle attività imprenditoriali dalla medesima intraprese, non considerati dal Tribunale, che aveva ritenuto di dover prescindere dagli asseriti insuccessi professionali, come riportato nella motivazione della sentenza di secondo grado), nonchè l'eventuale pregresso svolgimento della medesima attività di consulenza. 3. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che prenderà nuovamente in esame il punto sopra evidenziato. Il Giudice di rinvio provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione. Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2008
Commento.La Corte di Cassazione con la pronuncia in oggetto ha evidenziato come debbano essere censurati i provvedimenti assunti dai giudici di merito, laddove essi si limitino a formulare considerazioni astratte ed ipotetiche in ordine all'idoneità del coniuge richiedente l'assegno divorzile a procurarsi risorse adeguate a mantenere il pregresso tenore di vita mediante la propria attività lavorativa, senza calare l'applicazione dei principi generali nel caso concreto, tenendo conto, tra l'altro, dell'ormai raggiunta età pensionistica dell'istante e dell'interruzione da parte della stessa, per un certo tempo, di ogni attività professionale e imprenditoriale.
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