L'art. 5 della legge n. 898 del 1970, come modificato dalla l. n. 74 del 1987, dispone che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Dispone, inoltre, che la sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria e che, in caso di palese iniquità, può escluderne la previsione, ma con motivata decisione. In relazione a tale disposizione la Suprema Corte di Cassazione ha formulato i seguenti principi: 1) L'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando l'adeguatezza o meno dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione di un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio, intendendo per tale quello che i coniugi tenevano o avrebbero potuto tenere in base ai loro redditi; 2) con riguardo alla quantificazione dell'assegno di divorzio, deve escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che dia adeguata giustificazione della propria decisione, di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dall'art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987 n. 74, per la determinazione dell'importo spettante all'ex coniuge, anche in relazione alle deduzioni ed alle richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell'assegno.