A quali condizioni il coniuge ha diritto di ripetere le somme spese per la realizzazione di un manufatto edificato sul terreno dell'altro coniuge?
Corte di Appello di Roma, Sezione IV, sentenza 5 ottobre 2011
Avv. Maria Martignetti
di Roma, RM
Letto 6221 volte dal 11/12/2011
A quali condizioni il coniuge ha diritto di ripetere le somme spese per la realizzazione di un manufatto edificato sul terreno dell'altro coniuge? Corte di Appello di Roma 5 ottobre 2011 In materia di divorzio, la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale su di un terreno, però, di proprietà personale esclusiva di uno solo dei coniugi, appartiene, secondo i principi generali sanciti in materia di accessione, in via esclusiva a quest'ultimo, senza che il medesimo debba provare di aver realizzato la predetta opera con l'impiego di denaro personale o personalissimo. Tuttavia il coniuge non proprietario del terreno né dell'opera sullo stesso costruita ha diritto di ripetere nei confronti dell'altro coniuge le somme esborsate per la realizzazione del manufatto, purché fornisca la prova che tali somme erano state attinte da risorse patrimoniali personali o comuni
Corte di Appello di Roma
Sezione IV
Sentenza 5 ottobre 2011
Svolgimento del processo
Le due sentenze impugnate sono state rese all'esito di due procedimenti tra le stesse parti, entrambi instaurati dalla St. nei confronti dell'ex coniuge De.: a) con il primo, l'attrice aveva dedotto di aver diritto, ex artt. 177 e 934 c.c., alla corresponsione di metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati per la costruzione della villa sovrastante il terreno di proprietà dell'ex coniuge (con il quale era stata in comunione legale dei beni, e dal quale si era separata nel novembre 1993) sito in Gr., via della ...; b) con il secondo, di avere diritto, ex art. 1150 c.c., ad una indennità per l'aumento di valore conseguito dal medesimo immobile per effetto dei miglioramenti e delle addizioni da lei apportate durante il periodo di possesso esercitato negli anni 1997 - 1999 e fino al 17.4.2000.
Le due domande sono state entrambe respinte e le spese processuali sono state compensate. Con distinti atti di citazione tempestivamente notificati l'originaria attrice soccombente ha proposto appello avverso entrambe le decisioni, censurandole per erronea valutazione in fatto e in diritto, e, in riforma, ha chiesto l'accoglimento delle domande come proposte in primo grado. Si è costituito l'appellato, contestando le ragioni di gravame e chiedendone il rigetto. Riuniti i due procedimenti per ragioni di connessione, la causa, trattenuta una prima volta in decisione all'udienza collegiale dell'11.6.2008, è stata rimessa sul ruolo per lo svolgimento di una c.t.u., e, sulle conclusioni come in epigrafe indicate, nuovamente posta in decisione all'udienza collegiale del 22 dicembre 2010, previa concessione dei termini ai sensi dell'art. 190 c.p.c..
Motivi della decisione
E' opportuno ripercorrere le linee argomentative delle sentenze impugnate. Con la prima decisione la domanda proposta ex artt. 177 e 934 c.c. è stata respinta per genericità delle allegazioni in ordine alla causa petendi, per non avere la parte attrice indicato modalità e tempi di edificazione della villa in relazione al termine iniziale del dedotto regime patrimoniale tra i coniugi, e non essendo stati considerarsi sufficientemente specifici - quanto alla evoluzione nel tempo della edificazione - i capitoli di prova articolati nella memoria ex art. 184 c.p.c., ritenuti non idonei ad apportare integrazioni alla prospettazione della domanda. E' stato in particolare osservato dal primo giudice che la dedotta edificazione delle struttura in cemento armato in data anteriore alla costituzione del vincolo coniugale (6 aprile 1979) non era stata menzionata nell'atto introduttivo, così come generiche apparivano, rispetto al valore dei materiali e della manodopera - in ordine ai quali risultava apodittico il rinvio ad una relazione estimativa di parte -, le deduzioni sulla ripresa dei lavori nel novembre 1980, alla loro conclusione nel dicembre 1983, alla direzione affidata all'ing. Ru. Co.
Con la seconda decisione è stata respinta la domanda di riconoscimento di un diritto di credito relativo all'incremento di valore dell'immobile, per effetto di miglioramenti e addizioni che la St. avrebbe apportato negli anni in cui avrebbe avuto il possesso del bene, sempre per genericità delle allegazioni sugli elementi costitutivi del diritto azionato. Non sarebbero stati dalla parte attrice specificati la natura dei miglioramenti, l'epoca della loro realizzazione, le modalità ed i mezzi di pagamento, non potendo, ad avviso del primo giudice, supplire a tale carenza il mero richiamo a documentazione che non era stata oggetto di tempestiva e rituale argomentazione difensiva. Inoltre, circoscrivendo l'art. 1150 comma 2, c.c. l'indennità per i miglioramenti apportati alle opere preesistenti "al tempo della restituzione", non sarebbero stati enunciati elementi di fatto dai quali desumere lo stato del bene anteriormente a detti interventi e la loro persistenza al momento del rilascio (avvenuto nell'aprile 2000), tanto più considerando che l'invocata c.t.u. si sarebbe dovuta espletare a distanza di tre anni.
In entrambi gli appelli la St. lamenta l'erroneo apprezzamento, da parte del primo giudice, del contenuto delle difese, della esposizione degli elementi di fatto, della documentazione prodotta a sostegno, della stessa condotta stragiudiziale e processuale del convenuto.
I rilievi critici, ad avviso della Corte, sono fondati, poiché in entrambi gli atti introduttivi sono individuabili allegazioni in fatto e in diritto sufficienti ad evidenziare il thema decidendum.
Per quanto concerne la prima domanda, in particolare, venne proposta dalla St. sulla base dei principi dettati dalla Suprema Corte nella sentenza a Sezione Unite n. 651/1996 (seguita da molte altre che si sono conformate a quegli stessi principi: tra le tante Cass. 4076/1998, Cass. 4120/2001, Cass. 631/2004, Cass. 7060/2004, e, da ultimo, Cass. 20508/2010) in materia di realizzazione di un fabbricato, con contributi di entrambi i coniugi in regime di comunione legale dei beni, sul suolo di proprietà esclusiva di uno solo di essi. La Corte è intervenuta nel contrasto sulla questione della attribuzione o meno alla comunione, ex art. 177 lett. a), di un bene acquisito da uno solo dei coniugi per effetto della applicazione dell'istituto dell'accessione ex art. 934 c.c.. Ha affermato la Corte, con orientamento interpretativo divenuto costante, che "la tutela del coniuge non proprietario del suolo sul quale è stata realizzata la costruzione... opera non sul piano del diritto reale, nel senso che in mancanza di un titolo o di una norma, il coniuge non proprietario del suolo non può vantare alcun diritto di comproprietà anche superficiaria sulla costruzione, ma sul piano obbligatorio. nel senso che all'altro coniuge compete un diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati dall'altro nella costruzione". Nel richiamare tali principi, la parte attrice aveva dedotto di aver contribuito e partecipato ai lavori di completamento della villa durante il periodo di convivenza matrimoniale con il De. (6.4.1979 - 29.2.1988); quanto ai parametri temporali di riferimento e alle ulteriori circostanze rilevanti per la individuazione degli elementi costitutivi della pretesa - tra i quali la preesistenza, rispetto alla data del matrimonio, della struttura in cemento armato della costruzione (il c.d. scheletro), ed il suo completamento nel 1983 - ritiene la Corte fossero ampiamente e univocamente evincibili dalla documentazione prodotta e richiamata negli atti di citazione, nell'ambito della quale vi erano: - una perizia di parte giurata arch. St. del 28.7.1997 (notificata al De. il 5.8.1997), contenente tutti gli elementi descrittivi dei tempi, delle modalità e degli interventi strutturali compiuti dopo il 6.4.1979, oltre che dei costi dei materiali e della manodopera (desunti dai prezziari della Regione Lazio c.d. Dei relativi agli anni 1981/1987) utilizzati per completare la costruzione; - un elenco con computo metrico - estimativo redatto, sempre dall'arch. St., in data 16.3.2000 (poco prima della riconsegna della villa al De.), contenente la indicazione delle opere e degli interventi posti in essere negli anni 1997/1999, con i costi, elenco prodotto in sede possessoria, richiamato nella citazione introduttiva del procedimento avente ad oggetto la richiesta ex art. 1150 c.c. e prodotto in atti, unitamente a una serie di fotografie dell'immobile.
Va poi considerato che il convenuto, costituendosi oltre tutto tardivamente nel primo giudizio, non solo non ebbe mai a contestare tali elementi, né la applicazione dei principi interpretativi richiamati, ma ne ammise la sussistenza in sede di interrogatorio formale, limitandosi a sostenere di nulla sapere delle opere che la ex moglie avrebbe effettuato e pagato negli anni 1997/1999. A completare il quadro probatorio documentale ai fini della prima domanda proposta, ritiene la Corte che vada attribuita una valenza importante ai c.d. diari redatti direttamente dal De. (prodotti dalla St.), nei quali vi sono annotazioni di carattere sia personale che tecnico sul periodo nel quale venne completata la costruzione della (villa e sull'andamento dei lavori. Va sottolineato che il De. è architetto e che i lavori sono stati eseguiti dal fratello Ca., titolare di una impresa edile. Non avendoli in alcun modo contestati il convenuto, il contenuto misto di tali appunti è da apprezzare probatoriamente sotto un duplice aspetto: a) quanto alle annotazioni personali e soggettive, attinenti al rapporto tra le parti, ai fini della ricostruzione storico-cronologica; b) quanto alle annotazioni tecniche, ai fini della verifica sui tempi di realizzazione e completamento, nonché sul valore dei materiali e della manodopera impiegata.
Relativamente ad uno dei documenti prodotti dall'appellante (una lettera del fratello del convenuto in data 10.11.1980, con la quale veniva comunicato l'inizio dei lavori di muratura per il completamento del rustico), l'appellato ne sostiene la "falsità", ma non risulta avere azionato gli strumenti di tutela processuale che avrebbero potuto eventualmente eliderne la autenticità. Peraltro, non si tratta del solo documento sulla base del quale i tempi di realizzazione della villa sono stati ricostruiti.
Anche nel secondo giudizio, instaurato per ottenere, ex art. 1150 c.c., il valore dell'aumento di valore del bene per effetto dei miglioramenti e delle addizioni apportate dalla St. nel periodo in cui, legittimamente, aveva posseduto il bene, le allegazioni svolte erano ad avviso della Corte sufficienti. Risultava documentalmente, e le pronunce erano state richiamate nella citazione (senti Pretore di Roma Sez. Distaccata di Frascati n. 41/1990 confermata in appello con sent. tribunale di Roma n. 14513/1992), che la St. era stata reintegrata giudizialmente nel compossesso del bene e che vi aveva abitato, apportandovi migliorie, fino al rilascio, avvenuto nell'aprile 2000. Erano state prodotte, a dimostrazione di quegli interventi, fatture e ricevute di pagamento effettuati dalla stessa St., la cui capacità reddituale non è mai stata posta in discussione. Ritiene la Corte che l'assunto del primo giudice, sulla circostanza che il trascorrere di alcuni anni tra il rilascio e l'eventuale accertamento sulla sussistenza di un incremento di valore del bene, in mancanza di adeguate deduzioni, avrebbe reso incerto il nesso con le opere commissionate e pagate dalla St., non possa condividersi, ove si consideri, per un verso, che la domanda venne proposta a distanza di poco più di un anno dal rilascio della villa (sì che non può addebitarsi alla parte il trascorrere del tempo dovuto alla vicenda processuale); per altro verso, che il De., contestando la domanda ed eccependone la genericità, non dedusse di avere lui stesso apportato modifiche, e chiese in via riconvenzionale la riduzione in pristino stato, poi rinunciando a detta pretesa.
Né va trascurato che l'appellato, in questa sede, ha svolto deduzioni irrilevanti rispetto agli elementi costitutivi delle domande: - a) quanto alla prima, sostenendo che i lavori sarebbero stati sospesi tra il 1977 e il 1982, ripresi e completati tra il 1982 e il 1983: quindi, senza contestare l'arco temporale di riferimento e, soprattutto, le epoche iniziali e finali di realizzazione e completamento della villa; b) quanto alla seconda, che la St. non avrebbe v dimostrato un possesso in buona fede ex art. 1150 c.c. (assunto del tutto infondato, traendo il possesso legittimazione da provvedimenti giudiziari) e che le allegazioni svolte non consentirebbero di differenziare le opere (addizioni o migliorie) eseguite in costanza di matrimonio e quelle eseguite dopo, spettandole il corrispettivo solo per le prime, senza considerare né la copiosa documentazione sui pagamenti né la perizia di parte a lui notificata, ed intendendo, erroneamente, che il rapporto coniugale fosse presupposto per l'azione ex art. 1150 c.c., laddove ciò che rileva, e che era stata dedotta, era soltanto la relazione di fatto con la cosa.
Ritenendo la Corte che dall'evidenziato contesto assertivo e documentale, oltre che dalle rispettive posizioni difensive, emergessero chiari i presupposti costitutivi delle pretese creditorie azionate dalla St. e che fosse chiara la posizione difensiva del De.; considerata superflua un'attività istruttoria testimoniale, è stata disposta c.t.u., demandando al consulente di svolgere la sua verifica sul costo dei materiali e della manodopera per la compiuta realizzazione del fabbricato per il periodo successivo al 6.4.1979 in base ai valori e prezzi vigenti nello specifico territorio (comune di Grottaferrata) in quel periodo storico; e, quanto ai miglioramenti ed interventi di ristrutturazione, tenendo conto dei valori di mercato nel 2000, e sulla base dei soli documenti tempestivamente prodotti in primo grado, non di quelli allegati agli atti di appello, così determinando sia l'incremento di valore dell'immobile sia la minor somma tra l'importo delle spese sostenute e l'incremento di valore ex art. 1150, III comma, c.c..
E' stata quindi depositata in data 30.4.2009, dall'ing. Ma.Am., una relazione chiara, accurata ed esauriente, redatta dopo attento esame degli atti, e dopo incontri con le parti nei quali sono stati garantiti un pieno contraddittorio e la raccolta di tutti gli elementi che le stesse hanno ritenuto di fornire (come ben si evince dai verbali relativi alle operazioni peritali).
La metodologia seguita è corretta e non risulta contestata. Il c.t.u. ha dato atto che non era stato possibile "compiere le indagini opportune in loco perché l'immobile è stato venduto' nelle more del giudizio (v. pag. 1 della relazione e atto notarile del 30.1.2004 allegato) e che, pertanto, aveva proceduto tenendo conto dei documenti e delle precisazioni fornite dalle parti. Va rilevato che l'appellato, pur avendo il suo difensore formulato riserva di nomina di c.t. di fiducia fino all'inizio delle operazioni peritali, non vi ha mai provveduto; che, tuttavia, essendo egli stesso architetto, in possesso della competenza tecnica per valutare i suoi interessi e l'operato del c.t.u., è stato presente di persona a tutti gli incontri, interloquendo, fornendo documenti e precisazioni, partecipando all'"ampia discussione" della quale si riferisce nel verbale del 31.3.2009, concordando, all'esito della stessa, sulla opportunità che l'arch. St. (c.t. di parte della St. e redattore degli elaborati prodotti in uno con gli atti introduttivi) predisponesse un prospetto chiarificatore anche alla luce di quanto acquisito nel contraddittorio; che, all'ultimo incontro del 28.4.2009, dopo aver consegnato al c.t.u. l'atto notarile di vendita della villa, chiese di potersi allontanare per impegni personali, dichiarandosi disponibile a fornire ulteriori delucidazioni, senza peraltro contestare i chiarimenti resi dal c.t. di parte avversa né in sede di precisazione delle conclusioni (si legge nel foglio allegato: "...preliminarmente impugna la Ctu per quanto di ragione, evidenziando che il tecnico incaricato ha ...operato valutazioni in ordine alle prove a lui non pertinenti..."), o nella memoria conclusionale, senza quindi censurare in modo specifico l'operato o le conclusioni del c.t.u.. Non si può tener conto, in particolare, in quanto inammissibili o assorbite da quanto sin qui detto, delle deduzioni sulla tardività delle produzioni avversarie in questa sede (già espunte dall'esame demandato al c.t.u.); sulla non conformità di documenti in fotocopia (eccezione generica e non formulata tempestivamente); sulla non debenza di somme "per le opere realizzate al di fuori del periodo matrimoniale"; sulla devoluzione al c.t.u. del compito di colmare le carenze nella prospettazione.
Su tali eccezioni e rilievi la Corte ritiene di aver già ampiamente argomentato, escludendo una genericità delle domande. Al c.t.u. è stato affidato il compito (del tutto proprio dell'ausiliario, come previsto dall'ordinamento processuale) di offrire al giudice soltanto la verifica tecnica della documentazione offerta all'esame dell'altra parte e del giudice, nonché della correttezza delle somme richieste. Nessuna censura specifica di carattere tecnico o sui parametri utilizzati dal c.t.u. risulta formulata dall'appellato.
Le osservazioni fatte sull'andamento delle operazioni peritali sono, infine, importanti nell'ambito del giudizio sulla correttezza ed esaustività delle valutazioni espresse dal c.t.u., e confortano la Corte nel recepire integralmente le sue conclusioni.
Per quanto riguarda il costo dei materiali e della manodopera, il c.t.u. si è basato sui prezzari della Regione Lazio e della Dei nel periodo 1981/1984, giungendo alla somma (espressa in lire) di Lire 379.740.688, abbattendola di una percentuale del 26,50% (corrispondente alle spese generali e all'utile d'impresa), così ottenendo l'importo di Lire 279.109.405 (diviso per due: Lire 139.554.702), si che il rimborso dovuto alla St. è pari a Euro 72.073,99 alla data del dicembre 1984. La somma va rivalutata poiché, secondo quanto affermato nella sentenza a Sezione Unite sopra citata (n. 651/1996) in aderenza ad un precedente condiviso orientamento sulla natura del diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali impiegati nella costruzione (Cass. 1545/1966), "il credito che la moglie vanta per effetto dell'incorporazione di tali materiali al suolo non ha natura pecuniaria e non è pertanto soggetto al principio nominalistico". Ne consegue, ad avviso delle Sezioni Unite, che, anche successivamente alla riforma del diritto di famiglia, benché debba ricondursi sul piano obbligatorio la tutela del coniuge non proprietario del suolo, il suo credito ha natura "di valore", come tale imponendosi, a carico del debitore, la corresponsione della rivalutazione per il periodo intercorrente tra il fatto generatore e la liquidazione, onde garantire l'adeguamento della reintegrazione patrimoniale all'effettivo valore monetario in atto (cfr., per varie applicazioni del principio: Cass. 10884/2004, Cass. 18092/2005, Cass. 15823/2005, Cass. 22347/2007). A tale adeguamento il giudice deve procedere anche d'ufficio, mentre, per quanto concerne gli interessi a titolo di lucro cessante per lo stesso periodo, occorre una dimostrazione che tale modalità di determinazione del danno non sia satisfattiva della perdita subita, prova non fornita nel caso di specie, si che la relativa richiesta va respinta. Gli interessi in misura legale dovranno essere corrisposti soltanto a partire dalla sentenza con la quale la somma viene liquidata. Rivalutata la somma di Euro 72.073,00 (come richiesta in modo specifico nel foglio allegato di conclusioni, che vincola questa Corte nel petitum) dal dicembre 1984 al dicembre 2010 (momento del passaggio in decisione), l'appellato De. dovrà corrispondere all'appellante St. la somma di complessiva di Euro 176.453,73, oltre interessi in misura di legge dalla presente sentenza al saldo a titolo di rimborso del costo dei materiali e della manodopera impiegata per la costruzione della villa sita in Grottaferrata via (...).
Quanto all'indennità ex art. 1150cc, dal calcolo effettuato dal c.t.u. sulla base del parametro dell'incremento di valore - quello cui riferirsi, trattandosi, per quanto osservato, di possesso in buona fede ex III comma della citata disposizione - è stata apprezzata come dovuta, alla data del dicembre 2000, la somma di Euro 120.900,00, che, rivalutata al dicembre 2010, porta ad un credito complessivo dell'appellante St. di Euro 147.553,44, che l'appellato De. dovrà corrispondere in suo favore, oltre interessi in misura di legge dalla presente sentenza al saldo.
In tali termini vanno riformate entrambe le sentenze impugnate. Ogni altro profilo, eccezione e questione risultano assorbiti.
Quanto alle spese processuali del giudizio, la Corte ritiene che la complessità e peculiarità delle questioni, la qualità delle parti e dei loro pregressi rapporti personali, in uno con la vicenda processuale e le sue connotazioni, configurino giusti motivi per attenuare il principio della soccombenza, dichiarando le spese del giudizio compensate nella misura della metà e condannando l'appellato a rifonderle in favore, dell'appellante nella misura della metà, liquidate come in dispositivo tenendo conto delle prodotte notule per il primo e il secondo grado, e per porre in via definitiva a carico di entrambe le parti, in via solidale e al 50% ciascuna, le spese di c.t.u. come già liquidate con separato provvedimento (decreto collegiale 24.6/3.7.2009).
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sugli appelli avverso le sentenze del giudice monocratico civile del Tribunale di Roma n. 6737 in data 16.4/26.5.2004 e n. 9532 in data 7.3/28.4.2005, così provvede:
a) in riforma della sentenza n. 6737/2004 (….) condanna l'appellato Pa.De. al pagamento in favore dell'appellante Li.St. della somma complessiva di Euro 176.453,73, oltre interessi in misura di legge dalla presente sentenza al saldo;
b) in riforma della sentenza n. 9532/2005 (….) condanna l'appellato Pa.De. al pagamento in favore dell'appellante Li.St. della somma complessiva di Euro 147.553,44, oltre interessi in misura di legge dalla presente sentenza al saldo;
c) liquida le spese processuali, per l'intero: quanto al primo grado, in Euro 8.500,00 per onorari, Euro 3.959,40 per diritti e Euro 357,28 per spese, oltre spese generali, Iva e Cp come per legge; quanto al secondo grado in Euro 12.000,00 per onorari, Euro 5.668,00 per diritti e Euro 1.184,00 per spese, oltre spese generali, Iva e Cp come per legge e condanna l'appellato alla rifusione della metà delle stesse in favore dell'appellante, dichiarandole compensate per metà;
d) pone in via definitiva a carico di entrambe le parti, in via solidale e al 50% ciascuna, le spese di c.t.u. come già liquidate con separato provvedimento
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Avv. Simona Martinelli
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