Se la madre si rifiuta di far sottoporre il minore al test del DNA, paga le spese legali sostenute dal padre.
Tribunale di Milano 10.05.17
Avv. Luigi Carlo Cardillo
di Agrate Brianza, MB
Letto 1110 volte dal 12/07/2019
Il giudice, nell'ambito di una causa di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ex art. 263 c.c., in sostanza il padre ha voluto verificare che tale minore fosse realmente figlia sua e non di altri, ha condannato la madre della minore a rimborsare al padre le spese legali della causa ed un'ulteriore somma per la lite temeraria. Il padre è stato assistito dal nostro Studio Legale
Le domande delle parti
Con atto di citazione PADRE, quale genitore di FIGLIA, nata il ……….2014 e ……………… e ……………., quali ascendenti della minore, convenivano in giudizio MADRE, madre della minore ed esercente la responsabilità genitoriale, per l’udienza del 5.9.2016, differita ex art. 168bis comma 5 c.p.c al 21.9.2016, chiedendo al Tribunale, previa nomina di un curatore speciale per la minore ed espletamento di consulenza tecnica ematogenetica, che venisse dichiarato il difetto di veridicità del riconoscimento quale sua figlia, effettuato da PADRE il …………2014 e condannata la convenuta al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla condotta della stessa per averlo indotto al riconoscimento di una figlia non sua.
Allegava di avere fondati dubbi sulla paternità della bambina, avendo appreso ad ……. 2016 che la signora MADRE, con la quale aveva avviato una relazione affettiva agli inizi del ………., ancora a settembre 2013 risultava risiedere con ……….TIZIO, suo precedente fidanzato e considerati i comportamenti dalla stessa assunti sin da subito dopo la nascita della bambina. La MADRE, infatti, non aveva voluto andare a convivere con lo stesso nella casa di sua proprietà, appositamente sistemata e aveva cominciato ad impedire ed ostacolare il suo rapporto e quello dei suoi genitori con la bambina. Dava atto di avere chiesto alla convenuta di procedere in via stragiudiziale ad un accertamento del DNA per fugare ogni dubbio e di avere in ogni caso nel frattempo sostenuto diverse spese per la bambina.
Con comparsa di costituzione e risposta, depositata in data 8.8.2016 e in data 12.8.2016, si costituiva MADRE chiedendo che, all’esito delle prove per cui si rimetteva all’equo apprezzamento del Giudice, venisse limitata la responsabilità genitoriale del padre e dei nonni paterni e che ogni loro diritto venisse circoscritto nell’ambito del Servizio Tutela Minori e che venissero condannati al risarcimento del danno in favore della minore e suo. Contestava la ricostruzione di parte attrice, eccepiva la tardività della domanda proposta dal padre della minore e affermava che né il padre, né i nonni si erano mai interessati della bambina, tanto che la stessa aveva proposto ricorso ex artt. 316 e 337quater c.c chiedendo l’affido esclusivo a sé di FIGLIA.
All’udienza di prima comparizione e trattazione i genitori della minore concordavano di procedere all’accertamento genetico presso l’Istituto di Medicina Legale di Milano a spese del signor PADRE e su richiesta dei procuratori delle parti, impregiudicati i diritti di prima udienza, il Giudice Istruttore differiva l’udienza per consentire tale verifica, riservando ogni determinazione sulla necessità della nomina di un curatore speciale per la minore.
Alla successiva udienza del 27.10.2016 parte attrice depositava l’accertamento eseguito dal Prof. …………….. presso il Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli studi di Milano (già Istituto di Medicina Legale) da cui risultava che la bambina era figlia del signor PADRE. Gli attori davano atto che erano disponibili a rinunciare al giudizio; parte convenuta chiedeva, invece, un rinvio al fine di definire gli aspetti relativi agli arretrati di mantenimento non versati nella sua prospettazione dal signor PADRE; parte attrice dava la propria disponibilità ad un rinvio per verificare una possibile soluzione conciliativa in relazione alla questione degli arretrati a condizione che poi il presente giudizio venisse abbandonato.
Fissata per il 1.3.2017 l’udienza per la precisazione delle conclusioni che le parti formulavano come in epigrafe riportate, rinunciando parte attrice ai termini di cui all’art. 190 c.p.c che, invece, parte convenuta chiedeva, il Giudice Istruttore formulava alle parti ex art. 185bis c.p.c proposta di rinunciare agli atti del giudizio con relativa accettazione anche ai fini della decisione sulle spese processuali, attese le emergenze in atti in ordine alle domande ammissibili nel presente giudizio e rimetteva la causa al Collegio per la decisione, concedendo termine di giorni 30 per il deposito della comparsa conclusionale e termine di giorni 20 per il deposito della memoria di replica, tempestivamente presentate solo da parte attrice.
In data 10.4.2017 venivano acquisite le conclusioni del Pubblico Ministero.
Questioni preliminari
Osserva il Collegio che la memoria di replica depositata da parte convenuta è inammissibile perché tardiva. Il termine di cui all’art. 190 c.p. è perentorio ed era previsto per il 20.4.2017. L’atto della difesa della convenuta, con allegata, peraltro, la nomina di un secondo difensore, risulta depositato telematicamente nel fascicolo processuale il 21.4.2017 ore 00.43, quindi pacificamente fuori termine. Né la parte ha documentato, come era suo onere fare, la tempestività per lei dell’inoltro telematico dell’atto, allegando la copia delle quattro ricevute attestanti il processo di invio e recezione dell’atto (le c.d. RAC) che sole avrebbero potuto mettere il Collegio in condizione di verificare l’eventuale rispetto del termine di cui all’art. 190 c.p.c.
Si tratta, infatti, di questione che il Giudice è chiamato a verificare anche d’ufficio e a prescindere dal comportamento processuale, anche accondiscendente, della controparte, posto che le preclusioni processuali sono dirette a tutelare non più e non solo il diritto di difesa delle parti, ma anche e soprattutto l’interesse pubblico ad un regolare e celere svolgimento del processo (Cass Sez. Unite 27.12.2010, n. 26128; Cass. Sezioni Unite 11.5.2006 n. 10831; Cass. Sez I 27.5.2005 n. 11318; Cass. Sez. L 5.7.2007 n. 15147).
Tali argomentazioni rendono superflue le ragioni allegate dalla difesa di parte attrice a sostegno della richiesta di inammissibilità della memoria di replica di parte convenuta, ovverosia il mancato deposito della comparsa conclusionale, che non sono peraltro fondate. La Suprema Corte di Cassazione, contrariamente alla giurisprudenza di merito invocata dalla difesa degli attori, ha, infatti, affermato che la memoria di replica prevista dall'art. 190 c.p.c. deve essere presa in considerazione dal giudice indipendentemente dalla circostanza che la controparte abbia o meno depositato una propria comparsa conclusionale (Cass. Sez. III 17.3.2009 n. 6439).
Il merito
Attese le emergenze acquisite al processo e considerate le conclusioni rassegnate dalle parti e in epigrafe riportate non può il Collegio che dare atto della intervenuta cessazione della materia del contendere in relazione all’azione ex art. 263 c.c. ab origine proposta dagli attori che hanno preso atto dell’accertamento tecnico che le parti hanno fatto concordemente eseguire da un professionista presso struttura pubblica nel rispetto dei protocolli scientifici propri di questo tipo di verifiche e da cui risulta che FIGLIA è figlia di PADRE (confr. relazione tecnica depositata all’udienza del 27.10.2016).
Tale statuizione processuale di intervenuta carenza di interesse alla pronuncia di merito, intervenuta ad apertura del giudizio, ha reso superfluo, ad avviso del Collegio, ben a conoscenza del principio di recente affermato dalla Suprema Corte della necessità di nominare il curatore speciale del minore anche per i giudizi ex art. 263 c.p.c (Cass. Sez. I 2.2.2016 n. 1957), provvedere a tale nomina.
Devono, invece, dichiararsi inammissibili nel presente giudizio le domande svolte da parte convenuta in relazione all’esercizio della responsabilità genitoriale paterna e alla relazione della minore con i nonni paterni e sulle quali la stessa ha insistito, attese le conclusioni rassegnate.
Entrambe le domande sono, infatti, estranee al presente giudizio, come la difesa della convenuta non poteva non sapere e come evidenziato alla stessa dal Giudice Istruttore da ultimo all’udienza di precisazione delle conclusioni.
Quanto alla prima è la stessa convenuta che, costituendosi, dà atto di avere proposto ricorso ex artt. 316 e 337quater c.c per ottenere l’affido esclusivo della figlia e l’intervento del Servizio Tutela Minori, ricorso di cui ha peraltro anche allegato copia.
Quanto alla seconda è dato normativo incontestato che la competenza spetta ex art. 317bis c.c al Tribunale per i Minorenni.
Deve, poi, respingersi la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla convenuta, formulata nelle conclusioni del proprio atto di costituzione, ma sfornita di qualunque supporto tanto in punto di allegazioni di specifici fatti e comportamenti causativi di danno per la minore e la stessa quanto in punto di prove offerte.
Le spese di lite
Devono essere poste a carico di parte convenuta, attesa la soccombenza rispetto alle domande dalla stessa proposte e considerato il comportamento processuale assunto specie a fronte della chiara proposta ex art. 185bis c.p.c formulata dal Giudice Istruttore.
Vengono liquidate complessivamente in € ………..per compenso professionale, oltre 15% per rimborso forfettario spese generali, iva e cpa come per legge, applicando la disciplina del DM 55/2014 negli importi relativi alla fascia di valore più bassa (€ 26.000-€ 52.000) dello scaglione di valore di riferimento per ciascuna fase processuale svolta (di studio, introduttiva e decisionale) con la riduzione del 40% per tutte le fasi processuali, attesa la non particolare complessità delle questioni di causa (come da criteri di liquidazione applicati dalla Sezione).
Sussistono, altresì, i presupposti, ad avviso del Collegio, per la condanna di parte convenuta ex art. 96 comma 3 c.p.c.
Il comportamento processuale complessivo della parte si connota in termini di colpa grave, considerato, in primo luogo, che ha reso necessario il ricorso all’Autorità Giudiziaria da parte degli attori che pure hanno provato di avere chiesto alla stessa di procedere in via stragiudiziale all’accertamento del DNA accollandosene gli stessi le spese (confr. doc. 11 parte attrice).
Né possono valere le allegazioni difensive della convenuta circa il suo personale convincimento che PADRE fosse il padre della bambina, anche in ragione dei comportamenti e delle dichiarazioni dallo stesso fatte in varie contesti, a fronte delle allegazioni dello stesso PADRE circa i suoi dubbi sulla paternità, rafforzati dalle risultanze anagrafiche apprese circa la convivenza con il precedente fidanzato in un’epoca compatibile con il concepimento di FIGLIA e dei comportamenti ostacolanti assunti dalla MADRE subito dopo la nascita della bambina. Tanto più che l’accertamento genetico stragiudiziale non avrebbe potuto che confermare il personale convincimento della convenuta, senza nessun onere e pregiudizio per lei e la bambina, assumendosene i costi il signor PADRE stesso.
Il profilo di resistenza colposa in giudizio è ancor più evidente poi in relazione al comportamento processuale assunto all’esito dell’accertamento eseguito su accordo delle parti in via stragiudiziale in apertura di giudizio che è, invece, proseguito del tutto inutilmente per il comportamento della convenuta, attesa la verbalizzata disponibilità degli attori di rinunciare agli atti cui la convenuta non ha voluto aderire e considerate le domande pacificamente inammissibili che la stessa ha coltivato, neppure valutando in limine litis la proposta ex art. 185bis c.p.c. formulata dal Giudice Istruttore.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato proprio in relazione all’ipotesi di cui all’art. 96 c.p.c. che la colpa grave sussiste quando la parte omette di osservare la minima diligenza nella preliminare verifica dei necessari presupposti per la proposizione della domanda giudiziale e/o per la resistenza alle altrui domande: diligenza che dovrebbe consentire di avvedersi dell’infondatezza della propria pretesa e/o della propria linea difensiva e di prevedere, con giudizio ex ante, le conseguenze dei propri atti (Cass. Sez. VI ordinanza 11.2.2014 n. 3003, Cass. Sez. VI ordinanza 30.11.2012 n. 21570).
E soprattutto l’art. 96 comma 3 c.p.c. risponde ad una funzione sanzionatoria delle condotte di quanti, abusando del proprio diritto di azione e di difesa, si servano dello strumento processuale a fini dilatori o del tutto strumentali, contribuendo così ad aggravare il volume (già di per sé notoriamente eccessivo) del contenzioso e, conseguentemente, ad ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti, come da ultimo affermato anche dalla Corte Costituzionale secondo cui l’art. 96 comma 3 c.p.c. istituisce un’ipotesi di condanna di natura sanzionatoria e officiosa prevista per l’offesa arrecata anche alla giurisdizione (Corte Cost. sentenza 23 giugno 2016 n. 152).
Parte convenuta deve, pertanto, essere condannata a pagare alle parti attrici una somma che viene equitativamente determinata in € 3.300 (Cass. Sez. VI ordinanza 30.11.2012 n. 21570, Cass. Sez. VI-II ordinanza n. 11.2.2014 n. 3003; Cass. Sez. VI-III ordinanza 18.11.2014 n. 24546).
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