La Cassazione contro il "maschilismo" in famiglia: condannato marito e padre - padrone per 30 anni di vessazioni nei confronti della moglie
Corte di Cassazione, 6^ Sez. Penale, 05.07.2011
Avv. Daniela Conte
di Roma, RM
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La Corte di Cassazione ha condannato a 1 anno e 8 mesi di reclusione un marito e padre - padrone per 30 anni di continue vessazioni nei confornti della moglie, che hanno causato lesioni fisiche e sofferenze psichiche. Non costituisce casua di giustificazione la circostanza che l'uomo abbia agito in base alla "subcultura" secondo cui le liti e le decisioni in famiglia vanno gestite in quel modo. Gli Ermellini hanno giudicato non rilevabile ai fini dell'elemento soggettivo del reato la esimente invocata dalla difesa dell'imputato.
Nei giudizi di merito è stato accertato, infatti, che Tizio aveva iniziato a vessare Caia già dopo il secondo giorno del matrimonio ed aveva proseguito per trent'anni, provocando a quest'ultima ripetute lesioni fisiche e sofferenze psichiche.
I difensori di Tizio hanno invocato, quale causa di giustificazione dei comportamenti di quest'ultimo e motivo di ricorso in Cassazione, la circostanza che egli agiva in condizioni psicologiche particolari, frutto di una "subcultura" che lo aveva spinto a ritenere che le liti e le decisioni in famiglia "potessero e dovessero essere assunte in quel modo", oltre a considerare la moglie come "un oggetto di sua esclusiva proprietà". Tizio aveva anche reagito, temendo di perdere il controllo della situazione, quando la figlia aveva cominciato a tenere - secondo lui - un comportamento "libertino" (ovvero più vicino all'epoca e alla cultura di oggi).
La Cassazione ha ritenuto infondata la tesi sopra citata. Per i Giudici di legittimità, infatti, "atteggiamenti derivanti da subculture in cui sopravvivono autorappresentazioni di superiorità di genere e pretese da padre/marito padrone non possono rilevare nè ai fini dell'indagine sull'elemento soggettivo del reato (nella fattispecie dolo generico, pacificamente sussistente secondo la ricostruzione dei giudici di meriti) nè a quella concernente l'imputabilità dell'imputato, peraltro mai messa in dubbio dalla stessa difesa".
Gli Ermellini hanno, poi, ritenuto corretta la valutazione dei Giudici di merito dell'intensità del dolo e dell'entità della sofferenza dei familiari conviventi di Tizio sulla base della circostanza che gli atteggiamenti da marito e padre/padrone siano proseguiti per trent'anni, "costituendo perciò il costume abituale di un anacronistico pater familias maschilista e intollerante, refrattario alla modificazione del costume e alla vigenza delle leggi della Repubblica che hanno progressivamente dato attuazione al principio costituzionale di uguaglianza tra i coniugi".
La sentenza inaugura un nuovo orientamento della Corte di Cassazione, per il quale non risultano precedenti.
Roma, 6 luglio 2011 Avv. Daniela Conte
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