Non è certamente ammissibile che si trasferisca sui creditori delle società collegate il rischio imprenditoriale della società capogruppo”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 48327/2012, respingendo il ricorso dell’amministratore di una società che sosteneva la non configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione essendo le società tra loro collegate. Per la Cassazione infatti anche se “l’articolo 2634, comma 3, del codice civile definisce non ingiuste nei confronti della società talune disposizioni del suo patrimonio; ciò non esclude che tali disposizioni possano risultare ingiuste nei confronti dei creditori sociali, cui non può addossarsi il rischio di operazioni che ne diminuiscano la garanzia patrimoniale”. “Né d’altro canto è possibile - prosegue la sentenza - che la prospettata configurabilità del delitto di infedeltà patrimoniale previsto dall’articolo 2634, comma 1 codice civile in relazione all’articolo 223 della legge fallimentare, escluda la configurabilità della bancarotta per distrazione, perché i due reati, essendo in rapporto di specialità specifica, concorrono”. Per i giudici, infatti, “l’autonomia soggettiva e patrimoniale che pur sempre contraddistingue ogni singola società appartenente ad un gruppo impone all’amministratore di perseguire prioritariamente l’interesse della specifica società cui egli è preposto; e dunque non gli consente di sacrificarne l’interesse in nome di un diverso interesse che, se pure riconducibile a quello di chi è collocato al vertice del gruppo, non assumerebbe alcun rilievo per i soci di minoranza e per i terzi creditori della società controllata”. Sicché “l’amministratore ha l’onere di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo, e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta.