La parola dei vigili potrebbe non bastare per confermare una contravvenzione. È quanto emerge dalla sentenza suddetta che ha dato ragione a un passeggero trasportato che era stato multato perché, a detta degli agenti, non avrebbe indossato le cinture di sicurezza. Nel ricostruire la vicenda la suprema Corte spiega che gli agenti, intervenuti a seguito di un incidente stradale, avevano riscontrato che "le cinture di sicurezza del passeggero erano bloccate nella propria sede, in quanto il montante ove era installata la cintura di sicurezza risultava piegato in seguito all'evento". secondo gli agenti invece, se l'automobilista avesse indossato le cinture queste dovevano rimanere avvolte ma non bloccate. Un ragionamento a cui aveva aderito anche il giudice di pace che in prima istanza aveva convalidato la multa. Ricorrendo in Cassazione il trasportato ha fatto notare che per decidere, il Giudice di Pace non poteva basarsi solo sulla parola degli agenti specie perché in primo grado non si era provveduto ad acquisire la cartella clinica che avrebbe potuto "fare escludere la violazione dell'obbligo di indossare le cinture". Accogliendo il ricorso la Cassazione ha fatto rilevare che "la sentenza impugnata da' atto della copiosa documentazione prodotta dall'opponente ma fonda il proprio convincimento solo sulle deduzioni degli agenti e sulle dichiarazioni del conducente". In definitiva, secondo la Suprema Corte, "si da' luogo ad una opzione probatoria non sufficientemente motivata rispetto ai profili ricavabili dagli altri elementi dedotti" dal passeggero trasportato "con particolare riferimento alla perizia tecnico dinamica e a quella medico legale prodotte che meritavano più considerazione". Da qui l'accoglimento del ricorso e il rinvio del caso al Giudice di pace di Milano che dovrà rivalutare la vicenda non più sulla sola base di quanto riferito dagli agenti ma considerando le perizie a disposizione.