"Alla luce del ruolo che l'ordinamento affida alla nullità contrattuale, quale sanzione del disvalore dell'assetto negoziale e atteso che la risoluzione contrattuale è coerente solo con l'esistenza di un contratto valido, il giudice di merito, investito della domanda di risoluzione del contratto ha il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti "ex actis", una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso, purché non soggetta a regime speciale (escluse, quindi, le nullità di protezione, il cui rilievo è espressamente rimesso alla volontà della parte protetta); il giudice di merito, peraltro, accerta la nullità "incidenter tantum" senza effetto di giudicato, a meno che non sia stata proposta la relativa domanda, anche a seguito di rimessione in termini, disponendo in ogni caso le pertinenti restituzioni, se richieste." (massima ufficiale) Una breve, doverosa riflessione sulla portata di una sentenza (forse passata troppo in sordina) destinata ad incidere in maniera dirompente sul procedimento civile in materia di contratti. Le SS.UU. hanno risolto un atavico contrasto giurisprudenziale tra due orientamenti: 1) un orientamento tradizionale e dominante secondo il quale, qualora la domanda sia tesa a far dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento, la deduzione di una qualsiasi causa di nullità o di un fatto costitutivo diverso dall'inadempimento sono inammissibili, né tali questioni sono rilevabili d'ufficio, ostandovi il divieto di pronunciare ultra petita (ex multis Cass. 6899/87;Cass. 2398/88; 141/93; 1340/94); 2) un orientamento successivo, avallato peraltro da dottrina quasi unanime, secondo il quale la domanda di risoluzione contrattuale è fondata, così come quella di adempimento, sul presupposto della validità del contratto (Cass. 22.03-2005 n. 6170; Cass. 23674/2008; Cass. 2956/11), per cui il giudice può dichiararne d'ufficio la nullità. Le SS.UU. hanno risolto il contrasto, affermando che l'azione di risoluzione è coerente solo con l'esistenza di un contratto valido, riconoscendo, quindi, il potere - dovere del giudice di rilevare d'ufficio l'eventuale nullità del medesimo. Invero, l'aver negato ripetutamente che la domanda di risoluzione del contratto abbia quale presupposto la validità dello stesso ha rappresentato, nel corso degli anni, una tesi che ha creato non pochi disagi all'operatore del diritto civile, soprattutto allorquando, in particolari fattispecie, si è trovato a cospetto di domande che, per un verso, presupponevano la risoluzione contrattuale e, per l'altro, la validità del contratto (si pensi alla proposizione di una citazione per convalida di sfratto per morosità in una alla richiesta di emissione di ingiunzione di pagamento per canoni non pagati). A ciò si aggiunga che le SS. UU. non hanno trascurato l'impatto che il rilievo d'ufficio può avere sul processo, soffermandosi sull'esigenza della collaborazione tra giudici e parti al fine di assicurare che il potere processuale del giudice, così delineato, sia armonizzato con il principio del contraddittorio, affrontando nello specifico e superando i timori e le perplessità di natura processuale di cui per anni si era fatta scudo la giurisprudenza maggioritaria a difesa del suo tradizionale orientamento. Pertanto, sono stati richiamati - in relazione alla scansione temporale del rilievo officioso, alla possibilità delle parti di modificare la propria domanda e alla garanzia di operatività del contraddittorio - l'art. 183 - comma IV e V - c.p.c. e l'art. 101 - comma II - c.p.c. , sottolineando che il giudice che ritenga, dopo l'udienza di trattazione, di sollevare una questione rilevabile d'ufficio e non considerata dalle parti, deve sottoporla ad esse al fine di provocare lo svolgimento delle consequenziali difese. Dalla ricostruzione testé delineata discende che, dopo il rilievo d'ufficio, ove sia stata formulata tempestiva domanda tesa ad accertare la nullità del contratto e alle pertinenti restituzioni, la decisione sul punto, se non impugnata, avrà effetto di giudicato; ove, invece, non sia formulata tale domanda si perverrà al rigetto della domanda di risoluzione con accertamento incidenter tantum della nullità, senza alcun effetto di giudicato sul punto. Infine, nell'eventualità in cui il rilievo ufficioso sia stato omesso e tale omissione sia oggetto di censura in appello, il giudice del gravame dovrà rimettere in termini l'appellante. Riportiamo di seguito il testo integrale della sentenza: