Per la cause di risarcimento dei danno derivanti da fumo non sono legittimati passivi i produttori e distributori di sigarette
Tribunale di Roma, Sentenza 5 dicembre 2007, n. 23877
Avv. Staff di Guidelegali.it
di Milano, MI
Letto 870 volte dal 26/01/2008
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA SEZIONE SECONDA In composizione monocratica in persona del giudice dr. Lorenzo Pontecorvo ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 85897 del R.GA.C.C. dell'anno 2002, trattenuta in decisione nell'udienza del 28.6.2007 e vertente TRA F. G., A. C., A. C. ed A. L. quali eredi di A. O. elett.te domiciliati in Roma ************* - ATTORI - E
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA
SEZIONE SECONDA
In composizione monocratica in persona del giudice dr. Lorenzo Pontecorvo
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 85897 del R.GA.C.C. dell'anno 2002, trattenuta in decisione nell'udienza del 28.6.2007 e vertente
TRA
F. G., A. C., A. C. ed A. L. quali eredi di A. O. elett.te domiciliati in Roma *************
- ATTORI -
E
Ministero dell'Economia e delle Finanze ed Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato elett.te domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12 presso gli uffici dell'Avvocatura Generale dello Stato dalla quale sono rappresentati e difesi ex lege; Ministero della Salute elett.te domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 presso gli uffici dell'Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentato e difeso ex lege British American Tobacco BA.T. s.p.a. già E.T.I. s.p.a. Elett.te dom.ta in Roma, via M. Mercati n.52 presso lo studio dell'avv.to Antonio Briguglio che la rappresenta e difende insieme agli avv.ti Luigi Vita Samory ed Antonio Gambero del Foro di Milano per delega in calce alla coazione notificata.
Philip Morris Italia s.r.l. Elett.te dom.ta in Roma, via delle Quattro Fontane n.20, presso lo studio Gianni, Origoni, rappresentati e difesi dagli avv.ti Gianbattista Origoni, Nino Di Bella, Daniele Vecchi ed Augusta Ciminelli per delega a margine della comparsa di Risposta.
CONVENUTI
CONCLUSIONI
All'udienza di precisazione delle conclusioni del 28.6.2007 i procuratori delle parti hanno concluso come da verbale.
Svolgimento del processo
Con citazione ritualmente notificata A. O., nato a *** il ***, aveva rappresentato di aver cominciato fin da giovane a fermare anche due pacchetti di Marlboro al giorno e che tale abitudine aveva deterrninato il formarsi di un carcinoma al lobo inferiore del polmone sinistro diagnosticato in data 3.4.2000.
Aveva al riguardo sostenuto che prima di tale diagnosi aveva preso coscienza della pericolosità del fumo solo dopo aver cominciato ad avvertire i primi sintomi della malattia. Avrebbe, quindi, cercato di smettere di fumare senza tuttavia riuscire nel proprio intento essendo stato in ciò contrastato dal forte bisogno di consumare sigarette.
Aveva inoltre aggiunto di aver smesso di fumare una volta reso edotto del tipo di malattia che aveva contratto e solo dopo che il medico lo aveva avverato delle conseguenze nefaste che sarebbero derivate nel caso in cui avesse continuato a fumare.
L'attore, quindi, nell'addebitare la propria assuefazione al fumo a sostanze contenute nelle sigarette, ha imputato la causa della sua malattia ai soggetti che le avevano prodotte e poste in commercio.
A supporto di tale tesi aveva sostenuto che il produttore aveva subdolamente studiato ed inserito nel prodotte sostanze tali da generare uno stato di bisogno imperioso con dipendenza psichica e fisica tali da indurlo a diventare un tabagista incallito.
Aveva, pertanto, citato in giudizio l'ETI s.p,a., succeduta ai Monopoli di Stato, e la Philip Morris Italia spa (ora srl), entrambi quali produttori e distributori delle sigarette, ai quali aveva ascritto la responsabilità di aver importato e commercializzato i prodotti da fumo e, in particolare, le sigarette della Marlboro.
Aveva, altresì, citato il Ministero della Salute al quale ha attribuito la responsabilità di aver omesso di salvaguardate la salute pubblica non obbligando le multinazionali del tabacco e lo Stato stesso ad offrire un prodotto quanto più possibile naturale, privo di rischi per la salute e privo di quelle sostanze che procurano assuefazione.
Aveva, quindi, chiesto che fosse accertato e dichiarato che le sigarette Marlboro prodotte dalla Philip Morris Italia spa e dall'ETI, su licenza della prima, contenevano sostanze nocive all'organismo umano che procuravano nel contempo assuefazione. In conseguenza di tale statuizione aveva chiesto che fosse accertato e dichiarato che l'attore non aveva mai prestato un libero consenso allorquando aveva acquistato le sigarette essendo stato lo stesso viziato e carpito dai convenuti con raggiri e dolo. Aveva, infine, chiesto che fosse accertato il nesso di causalità tra il carcinoma ed il fumo costante di sigarette Marlboro.
La forza di tali statuizioni ha chiesto il risarcimento dei danni subiti "ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 40 c.p., 2043 c.c., 2050 c.c. in relazione all'art.32 della Cost".
Si era costituito il Ministero della Salute ritenendosi estraneo ai fatti di causa. A supporto di tale tesi aveva sostenuto di non avere avuto alcuna competenza in materia di produzione, commercializzazione, vigilanza e controllo dei prodotti da fumo.
Si era costituita anche L'E.T.I. Ente Tabacchi Italiani spa, ora. BAT S.P.A., eccependo il proprio difetto di legittimazione con riguardo alle lamentate condotte precedenti alla nascita dell'ETI avvenuta nell'anno 1998. Nel merito aveva escluso la dannosità del proprio operato essendosi attenuto scrupolosamente alla normativa, anche comunitaria, vigente.
Aveva comunque provveduto a chiamare in causa il Ministero dell'Economia e delle Finanze nonché l'Amrninistrazione Autonoma Monopoli di Stato ritenendo quest'ultima l'unico soggetto tenuto a rispondere delle pretese risarcitorie azionate dall'attore. In via subordinata aveva chiesto di essete da loro tenuta indenne da qualunque onere risarcitorio in relazione ai fatti antecedenti l'anno 1998.
Si erano quindi costituiti il Ministero dell'Economia e delle Finanze nonché l'Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato eccependo, a loro volta, il proprio difetto di legittimazione. Nel merito avevano ritenuto la domanda infondata e comunque non provata.
Si era, infine, costituita la Philip Morris Italia spa (ora srl) eccependo la propria, estraneità ai ratti contestati A sostegno di tale tesi aveva evidenziato di essere stata costituita solo in data 13.6.2001 e, quindi, quando la malattia era stata già diagnosticata. Nel merito aveva sostenuto la piena liceità dell'attività di commercio di sigarette rilevando che era da tempo diffusa la consapevolezza circa i rischi connessi al fumo. Aveva al riguardo anche evidenziato che già a far tempo dall'anno 1990 i pacchetti di sigarette recavano formali avvertenze circa i pericoli del turno. Nel rilevare, infine, che l'attore aveva omesso qualunque deduzione circa le sostanze che sarebbero state aggiunte al fine di provocare la dipendenza e, comunque, l'assenza di prove al riguardo, ha concluso per il rigetto delle domande.
Essendo sopravvenuta la morte di A. O. si sono costituiti in prosecuzione gli eredi F. G., A. C., A. C. ed A. L. ribadendo le domande e le difese articolate dal loro dante causa.
Prodotti documenti la causa è stara trattenuta in decisione all'udienza in epigrafe indicata.
Motivi della decisione
Le domande proposte iure proprio da F. G., A. C., A. C. ed A. L. finalizzate ad ottenere anche il danno da perdita del rapporto parentale sono inammissibili, in presenza di tempestive eccezioni sul punto, essendo state le stesse proposte solo in sede di deposito della memoria ex art 183 c.p.c..
In linea di principio agli attori, costituti al fine di proseguire il giudizio instaurato dal loro dante causa, non sarebbe stato precluso agire in forza di due diversi titoli: quali eredi di A. O. (al fine di ottenere il ristoro dei danni dallo stesso subiti) nonché in proprio (quali congiunti dell'A.) proponendo in forza di tale secondo titolo una autonoma domanda di risarcimento. Tale ultima domanda, infatti, qualora fosse stara contenuta nell'atto di riassunzione, avrebbe potuto essere valutata in base ai principi die regolano l'intervento autonomo o litisconsortile. Gli istanti, infatti, nel costituirsi in giudizio quali aventi causa dall'A., avrebbero potuto far valere nei confronti delle stesse parti convenute un proprio diritto relativo all'oggetto e/o dipendente dal titolo dedotto nel processo. In altre parole gli intervenuti, costituitisi successivamente in corso di giudizio, avrebbero potuto far valere un loro diritto autonomo ma connesso a quello azionato dal loro dante causa sotto il profilo sia dell'oggetto (accertamento della responsabilità dei convenuti e consequenziali statuizioni) che della medesima causa petendi (fatto illecito omissivo-commissivo ascrivibile, secondo la prospettazione attorea, agli stessi convenuti).
Nel caso concreto, tuttavia, la domanda di risarcimento dei danni subiti dagli odierni attori in proprio e quali congiunti dell'A. non è stata formulata in sede di prosecuzione del giudizio ma solo entro i termini concessi ai sensi dell'art 183 c.p.c. La stessa è pertanto da ritenersi domanda nuova come tale inarrmiissibile stante, altresì, la struttura della responsabilità civile che impone un accertamento di responsabilità diretto all'individuazione del nesso causale e della colpevolezza circoscritti al singolo episodio.
Con riguardo, poi, ai profili di responsabilità adombrati dagli attori nella parte in cui investono il periodo antecedente e successivo alla nascita dell'E.T.I, ritiene il giudicante che sussiste la legittimazione passiva sia dei Monopoli che dell'Ente Tabacchi ora Brirish American Tobacco BA.T. s.p.a.
Non può, infatti, ritenersi che l'art.3 del d.lgs 283/98, nel disporre che l'Eti subentri nei rapporti attivi e passivi nonché nei diritti e beni afferenti le attività produttive e commerciali già attribuite all'amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, abbia disposto una successione in universum ius dovendo sul punto essere considerato che l'A.A.M.S., pur dopo la costituzione dell'E.T.I.., ha continuato ad esistere con un proprio patrimonio e proprie funzioni finanche correlate alle attività produttive e commerciali in materia di tabacco. L'AAMS, infatti, provvede ai controlli previsti dal DL 184/2003 su tutti i tabacchi lavorati immessi nel circuito legale di vendita (controlli questi che si sostanziano nella verifica sui tabacchi lavorati dell'aderenza dell'etichettatura alla normativa nazionale e comunitaria nonché nella verifica in materia di avvertenze sanitarie circa la nocività dei prodotti e, con specifico riferimento alle sigarette, nell'indicazione dei contenuti di catrame, monossido di carbonio e nicotina). La stessa Amministrazione Autonoma vigila sulla effettiva immissione al consumo del tabacco nel territorio nazionale (L.n.92/2001 art.7) ed autorizza il confezionamento, il contenuto e la composizione dei prodotti del tabacco nonché la fissazione del prezzo al pubblico.
Né può ritenersi che tra i rapporti passivi trasferiti all'ETI possano essere ricomprese le pretese rimarcatone risalenti ad un epoca antecedente la. istituzione dell'Ente e quando già esisteva l'A.A.M.S. o, comunque, i debiti futuri non liquidi ed incerti derivanti da illecito extracontrattuale correlate, peraltro, a funzioni ancora esercitate dai Monopoli di Stato.
Sussiste, invece, il difetto di legittimazione passiva della Philip Morris Itala s.r.l.., già Philip Morris Italia spa, essendo stata la stessa costituita solo in data 13.1.2001 e, quindi, in epoca successiva ai fatti di causa. Non risulta, inoltre, che k stessa avesse in qualche modo assorbito (eventualmente per fusione o incorporazione) altre società che avevano commercializzato o importato sigarette Mariboro nel periodo in contestazione. Né tanto meno emerge che tali attività fossero state espletate dalla Philip Morris Corporate Services inc. che sarebbe stata poi acquisita dalla Philip Morris Italia s.r.l..
Di nessun ausilio alle tesi dei ricorrenti è, infine, il provvedimento N.10160 dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato da loro richiamato. 11 contenuto di tale provvedimento depone, anzi, in senso contrario ad un coinvolgimento della Philip Morris Corporate Services inc. nei tatti di causa essendo a tal fine sufficiente richiamare l'atto nella parte in cui il Garante, al fine di accertare eventuali violazioni dell'articolo 2, comma 2, della legge n. 287/90, in relazione all'aumento dei prezzi delle sigarette avvenuti dal 28 aprile 1993 al 30 marzo 2001 (la stessa Autorità aveva disposto un ampliamento di istruttoria nei confronti dei produttori che nel giugno 1993 avevano stipulato i contratti di Licenza, poi rinnovati nell'aprile 1997 e nel giugno 1999, accordando dapprima all'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e successivamente ad ETI, il diritto di produrre e vendere sul territorio italiano, fino all'agosto 2001, prodotti con i marchi Marlboro di proprietà Philip Morris), aveva escluso ogni accertamento nei confronti della Philip Morris Corporate Services Inc. rilevando che la stessa non aveva avuto alcun ruolo nelle decisioni riguardanti la commercializzazione delle sigarette in Italia.
Il fatto poi che la società Philip Morris Italia spa fosse stata costituita nell'anno 2001 da altre società - tuttora esistenti - che avrebbero operata nel mercato italiano delle sigarette potrebbe solo avvalorare l'estraneità della società convenuta ai fatti oggi in esame.
Valutando il merito della causa è da premettere che le condotte contestate riguardano un periodo che inizia all'incirca nell'anno 1961 e termina nell'anno 2000 con la intervenuta diagnosi del carcinoma.
Con riferimento a tale arco temporale - individuato anche dai testi escussi i quali hanno dichiarato che l'A., nato ************, aveva iniziato a fumare da quando aveva 17/18 anni - gli attori sostengono che il loro dante causa, pur svolgendo una vita sana ed attiva nei campi, avrebbe fumato fino a due pacchetti di sigarette al giorno ignaro del fatto che le stesse contenevano sostanze tali da indurlo in una condizione di dipendenza irreversibile.
Non avendo, tuttavia, gli attori precisato alcunché con specifico riferimento alle non meglio individuate sostanze tossicomanigene che, a loro dire, sarebbero state subdolamente studiate ed inserite nel prodotto al fine di creare l'assuefazione ed avendo gli stessi finanche omesso di chiarire se le stesse fossero quelle consentite dalla legge oppure fossero state introdotte illegalmente, la valutazione delle domande dovrà essere svolta sulla base degli atti non essendo la consulenza tecnica richiesta sul punto di alcuna utilità. E' sufficiente al riguardo considerare il carattere esplorativo di una tale indagine che dovrebbe peraltro riguardare un periodo di circa 40 anni nel corso del quale le stesse caratteristiche del prodotto ben avrebbero potuto variare.
E', quindi, da ricordare che la parte attrice ha dedotto una responsabilità dei convenuti che dovrebbe essere valutata sulla base del disposto di cui all'art. 2050 c.c. o, comunque, sotto quello di cui all'art.. 2043 c.c..
Per quanto attiene al primo aspetto è da osservare che le attività pericolose riconducibili nell'ambito di applicabilità dell'art 2050 cod. civ. si identificano, oltre che con le attività che sono qualificate tali dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, con quelle attività che per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati comportino la rilevante possibilità del verificarsi di un danno per la loro spiccata potenzialità offensiva.
Questo giudice al riguardo non ignora che in un caso la Corte di Appello di Roma (Sentenza 7 marzo 2005, n. 1015) ha ritenuto che l'E.T.I, "producendo e vendendo tabacchi, esercitava una attività pericolosa, ai senti dell'art 2050 c.c., per la ragione che i tabacchi, avendo quale unica destinazione il consumo mediante il fimo, contenevano in sé, per la loro stessa natura e per la loro composizione bio-chimica, una potenziale carica di nocività, potendo dal fumo derivare danno alla salute, e, in
molti casi, il peggiore dei mali, il cancro ai polmoni".
Tale tesi (che non ha, peraltro, costituito oggetto di valutazione da parte della Suprema Corte adita in ultima istanza --cfr. Cass. 22884/2007) non appare tuttavia condivisibile per quanto di ragione.
E' noto che l'accertamento della responsabilità extracontrattuale posta dall'art 2050 c.c. a carico dell'esercente di un'attività pericolosa non implica necessariamente una valutazione circoscritta alla sola attività dell'esercente e può, quindi, essere estesa all'oggetto di tale atavica: il danno, infatti, potrebbe non essere contestuale all'attività e potrebbe, invece, prodursi nella fase successiva di distribuzione del prodotto. In tale ultimo caso, tuttavia, dovendo il danno essere sufficientemente mediato, è necessario che il prodotto finale conservi in sè un'intrinseca potenzialità che, per sua natura, o per i mezzi impiegati, renda probabile - e non semplicemente possibile - il verificarsi di un evento dannoso.
Occorre, in sostanza, che il pericolo si sia materializzato e trasfuso nell'oggetto della stessa attività che, pertanto, conserva un'intrinseca potenzialità lesiva collegata allo svolgimento dell'attività di cui esso costituisce il risultato (come avviene, ad esempio, per le materie infiammabili quali il gas in bombole dove l'attività di produzione e distribuzione del gas è pericolosa e tale pericolosità si protrae alla fase di utilizzazione del prodotto distribuito in bombole).
Ciò, tuttavia, non ricorre nel caso di specie dovendo al riguardo essere considerato che, a differenza dei prodotti la cui potenzialità lesiva è intrinseca» il prodotto finale dell'attività produttiva, rappresentato dalla sigaretta, non ha in sé una capacità di provocare situazioni dannose mentre può diventare dannoso, e quindi pericoloso,l'uso reiterato nel tempo dello stesso prodotto in base al comportamento proprio del consumatore che deve protrarsi per un periodo oggettivamente apprezzabile: nuoce, in sostanza, il fumo smodato.
E', peraltro, un dato oggettivo che i fumatori, al di là delle caratteristiche intrinseche o estrinseche delle sigarette, possono anche non contrarre malattie da fumo ragione per cui la potenziale nocività non può equivalere a quella rilevante possibilità del verificarsi di un danno oppure a quella spiccata potenzialità offensiva che sono appunto requisiti necessari ed imprescindibili ai fine della configurabilità dell'attività pericolosa. Altrimenti argomentando dovrebbe ritenersi pericolosa la produzione e messa in commercio di alcol il cui consumo smodato porta alla cirrosi epatica e finanche la produzione e messa in commercio di prodotti contenenti considerevoli quantità di zuccheri e grassi il cui consumo smodato porta all'aumento della glicemia oppure del colesterolo che possono a loro volta generare ictus, cardiopatie e diabete.
Per gli stessi motivi non sembra che possa essere richiamata a sostegno di una attività pericolosa tut court,la circostanza che il tabacco contiene sostanze nocive che, all'atto del consumo, si sprigionano e che da molti decenni, gli studi che hanno ad oggetto gli effetti del fumo del tabacco sulla salute dell'uomo hanno evidenziato in maniera sempre più certa che il fumo provoca danni all'uomo ed è causa, in elevata percentuale, di tumori polmonari. Una tale considerazione, infatti, non sembra poter vanificare l'assunto che la sigaretta non è intrinsecamente pericolosa stante il dato oggettivo che i fumatori non subiscono necessariamente malattie connesse al fumo né tanto meno il cancro ai polmoni.
Del resto, nel caso di specie, sono stati gli stessi attori ad allegare che il danno è stato causato dall'omessa informazione sui rischi del fumo; essi dunque ascrivono ai convenuti una condotta, e non una attività, pericolosa, con la conseguente inapplicabilità dell'art. 2050 c.c..
Ritiene comunque il giudicante che la responsabilità dei convenuti debba essere esclusa sia sotto il profilo dell'art. 2050 c.c. che sotto quello previsto dall'art. 2043 c.c. essendo stata provata la circostanza che il dante causa degli attori era un accanito fumatore pienamente consapevole del fatto che le sigarette contenevano sostanze in grado di creare una sorta di dipendenza ed, in via generale, dell'eventualità che dall'abuso di sigarette potessero derivare conseguenze dannose per l'organismo.
E', in particolare, da ritenere insussistente il nesso causale tra la distribuzione o vendita delle sigarette ed il decesso dei dante causa degli attori circostanza questa che appare assorbente quant'anche si voglia ritenere che le valutazioni di responsabilità debbano essere elaborate sulla base dei principi previsti dall'art 2050 c.c. poiché, anche in tema di responsabilità per esercizio di attività pericolosa, la presunzione di colpa a carico del danneggiante presuppone comunque il previo accertamento dell'esistenza del nesso eziologico tra l'esercizio dell'attività e l'evento dannoso, non potendo il soggetto agente essete investito da una presunzione di responsabilità rispetto ad un evento che non è ad esso in alcun modo riconducibile.
E', al riguardo, da premettere che la causa da sola sufficiente a determinare l'evento e' soltanto quella che può essere considerata del tutto indipendente dalla causa antecedente e non anche quella che abbia generato una situazione di interdipendenza per la quale, se fosse mancata la causa preesistente, quella sopravvenuta non avrebbe potuto determinare l'evento (qualora, poi, non fosse ravvisabile una causa indipendente nei termini sopra evidenziati deve applicarsi la regola della equivalenza delle cause concorrenti di cui al primo comma dell'articolo citato con le relative conseguenze anche con riferimento ad un'eventuale concorso di colpa come contemplato dall'art 3227, comma 1 c.c.).
Nel caso concreto il comportamento del dante causa degli attori è da ritenersi da sola
sufficiente a determinare l'evento e ciò alla luce delle regole generali in tema di nesso di causalità poste dall'art. 41, comma 2, del codice penale applicabili anche in diritto civile. Ed, infatti, una volta rilevato che l'A. aveva utilizzato il prodotto essendo stato pienamente consapevole della potenzialità dannosa del fumo da sigaretta nonché del fatto che l'assunzione del fumo in maniera ripetuta e costante avrebbe potuto provocare una sorta di dipendenza, è da ritenere che tra la produzione e distribuzione delle sigarette e l'evento dannoso (carcinoma che ha determinato il decesso) si è inserito un fattore assolutamente determinante costituito dal comportamento reiterato, protrattosi per quattro decenni, dello stesso danneggiato e rispetto al quale la vendita del prodotto, pur costituendo un fatto antecedente oggettivamente ricollegabile sul evento, è risultato privo del necessario nesso di causalità immediata e difetta.
Tutti i testi escussi, infatti, hanno confermato che A. O. aveva fumato fin da giovane due, tre e finanche quattro pacchetti di sigarette al giorno. Gli stessi testi hanno altresì dichiarato che l'A. era ben conscio della dannosità di tale condotta. La circostanza è agevolmente desumibile dal tatto che il predetto, fin dalla prima mattina, soffriva di tosse e laringite ed era stato reiteratamente esortato dagli amici, conoscenti e familiari a smettere di fumare. A fronte di tali esortazioni poi l'A., pur ritenendo di non essere in grado di smettere, si era rifiutato di praticare terapie antifumo nonché di consultare medici "per scaramanzia".
La stessa attrice F. G., moglie dell'A. ha dichiarato in sede di interrogatorio libero che il marito sapeva che il fumo taceva male e che intorno agli anni 1992/1994, su suggerimento del medico curante, avevano consultato un cardiologo il quale, sulla base di quanto palesato da una lastra, aveva avvertito il marito che se non avesse smesso di fumare sarebbe morta. Il dott.Chillà, infine, medico che aveva avuto in cura l'A. dall'aprile 1989 all'aprile 2000, ha attestato (v. documento n.3 fascicolo di parte attrice) che in tutto il periodo che ebbe in cura il dante causa degli attori lo aveva ripetutamente esortato a smettere di fumare.
Del resto la circostanza che il fumo fosse dannoso alla salute ed avrebbe potuto provocare il cancro poteva ritenersi un dato di comune esperienza già dai primi anni in cui l'A. aveva cominciato a fumare.
La stessa Corte di Appello con la citata sentenza ha rilevato che, almeno dal 1950, gli studi effettuati avevano evidenziato in maniera sempre più certa che il fumo del tabacco avrebbe potuto avere effetti sulla salute dell'uomo ed avrebbe potuto provocare tumori polmonari.
Tali considerazioni trovano conferma nella documentazione offerta dalla British Tabacco la quale ha prodotto numerosi pubblicazioni ed articoli di stampa risalenti agli anni "60" che pubblicizzavano la pericolosità del fumo anche sulla base di studi effettuati in quegli anni. Gli stessi attori hanno richiamato ampia bibliografìa risalente pure al 1978 che evidenzia la pericolosità del fumo.
Anche a livello norrnativo devono essere ricordate la legge n. 584/1975 che ha introdotto in Italia il divieto di fumare nei luoghi pubblici nonché la legge 428/1990 che, con l'art. 40, aveva introdotto l'obbligo di apporre sulle confezioni di sigarette un avveramento sui pericoli del fumo.
E' altresì escluso che A. O. avesse raggiunto una dipendenza da sigaretta
irreversibile.
Sarebbe sufficiente evidenziare al riguardo che lo stesso aveva sicuramente smesso di fumare riuscendo peraltro nel proprio intento già nell'anno 1999 e, quindi, quando ancora non era stato reso edotto del tipo di malattia che aveva contratto. La circostanza emerge in primo luogo dalla relazione del perito della parte attrice il quale, sulla base della documentazione clinica messa a sua disposizione dagli attori, ha tra l'altro concluso che l'A. aveva smesso di fumare nell'anno 1999. Tale circostanza era stata altresì ricavata dalla cartella clinica relativa al ricovero dell'A. disposto presso FA.O. di Chieti dal 22.3.2000 al 27.3.2000 (l'unica cartella non prodotta dagli attori) avendo il consulente riportato testualmente nella propria relazione la parte di cartella riguardante l'abitudine al fumo del paziente ricoverato nei seguenti termini: “fumo + di 40 sigarette fino ad un anno fa (1999)".
Del resto è escluso che la sigaretta possa determinare come sostenuto dagli attori uno stato di costrizione al consumo tanto da indurre il fumatore in stato di schiavitù nei confronti della sigaretta.
Ed, invero, pur volendo prescindere dalla assoluta assenza di prove al riguardo (è stato già evidenziato che gli attori nulla hanno precisato in merito alle sostanze che sarebbero state subdolamente inserite nel prodotto che avrebbero creato l'assuefazione) è da considerare che non esistono studi scientifici che abbiano presentato la nicotina come una sostanza che possa determinare l'annullamento della volontà del fumatore. La casistica in materia palesa invece un alto numero di fumatori incalliti che si determinano a smettere per i più diversi motivi non necessariamente legati a problemi di salute.
La domanda proposta nei confronti del Ministero della Salute, al quale gli attori hanno ascritto una responsabilità per aver omesso di salvaguardare la salute pubblica avendo tale Ministero mancato di obbligare "le multinazionali del tabacco e, quindi, lo Stato stesso ad offrire un prodotto quanto più possibile naturale, privo di rischi per la salute e privo di quelle sostanze che procurano assuefazione" è comunque infondata atteso che, avuto riguardo a tale specifica contestazione, è da ricordare che la tutela pubblica del diritto alla salute compete, in primo luogo, all'autorità legislativa che deve provvedere all'emanazione delle norme ritenute necessarie a tal fine. Le autorità esecutive ed amministrative possono, quindi, intervenire solo nell'ambito dei poteri attribuiti ex lege adottando gli opportuni provvedimenti nonché svolgendo l'attività di controllo necessaria al fine di salvaguardare l'incolumità dei cittadini.
Avuto riguardo a tali principi e considerando che la produzione e la vendita del tabacco nel territorio nazionale è attività lecita è da rilevare che gli attori non hanno assolto al loro onere di individuare le concrete omissioni di cui si sarebbe reso responsabile il Dicastero convenuto nell'ambito dei poteri ad esso attribuiti dalla legge.
Le domande proposte devono essere pertanto rigettate.
Tenuto conto della natura della controversia e della particolare complessità delle questioni di diritto sollevate, si ritiene che sussistano giusti motivi per dichiarare interamente compensate le spese di lite tra le parti in causa.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:
- rigetta le domande;
- dichiara interamente compensate le spese di lite tra le parti in causa.
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