Il diritto all’equa riparazione ai sensi della Legge Pinto ha natura indennitaria e termine di prescrizione decennale
Commento a Corte di Cassazione, 1° Sez. civile, 23.02.2010 n. 4574
Avv. Daniela Conte
di Roma, RM
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La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4524 del 23.02.2010 ha stabilito che “ Il diritto di chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955 n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, n. 1, della Convenzione, ad una equa riparazione, secondo quanto pre
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4524 del 23.02.2010 ha stabilito che “ Il diritto di chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955 n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, n. 1, della Convenzione, ad una equa riparazione, secondo quanto previsto dall'art. 2 della legge 24 marzo 2001 n. 89, ha natura indennitaria e non risarcitoria, e ad esso non è applicabile il termine di prescrizione breve previsto dall'art. 2947 c.c.”.
I due principi di diritto fondamentali oggetto della decisione della Corte di legittimità, pertanto, sono i seguenti: 1) la natura indennitaria e non risarcitoria del diritto all’equa riparazione; 2) la non applicazione del termine di prescrizione biennale.
La vicenda ha origine dalla domanda proposta dal Sig. Tizio, il quale cita il Ministero della Giustizia al fine di sentirlo condannare al pagamento – a titolo di equa riparazione – di una somma determinata per l’eccessiva durata del processo di cui era stato parte, prolungatosi per dodici anni oltre il tempo ragionevole.
La Corte d’Appello di Roma condanna, con decreto, il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 3.500,00 per un ritardo di sette anni, dichiarando la prescrizione del diritto alla riparazione del danno anteriore al quinquennio.
Tizio, il quale dichiara dichiara che il decreto non gli è stato notificato, ricorre per la cassazione del medesimo.
Il primo motivo di ricorso censura il decreto della Corte d’Appello di Roma perché ha commisurato il criterio di determinazione dell’equa riparazione al periodo di ritardo, invece che all’intera durata del processo.
La Suprema Corte, tuttavia, dichiara il motivo infondato perché – secondo giurisprudenza consolidata della stessa Corte – “la precettività, per il giudice nazionale, dell’indirizzo della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di liquidazione dell’indennità per l’irragionevole durata del processo non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore della base annuale di calcolo, perché, mentre per la CEDU l’importo in questione quantificato va moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante il terzo comma, lettera a), dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole.”.
Ma veniamo alla parte più importante e innovativa della sentenza in commento.
Il ricorrente censura, con il secondo motivo, “per falsa applicazione di norme di diritto sulla prescrizione in materia di equo indennizzo ex lege n. 89 del 2001 l’applicazione, nell’impugnato decreto, del termine quinquennale di prescrizione ai danni verificatisi prima del triennio della domanda”
Gli ermellini esaminano la questione nei limiti posti dal ricorso, che censura esclusivamente la durata del termine di prescrizione stabilito dalla sentenza impugnata.
Preliminarmente, la Suprema Corte osserva che – secondo consolidata giurisprudenza della medesima Corte – il diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo ai sensi della L. 24.03.2001 n. 89 ha natura indennitaria e non risarcitoria, atteso che “non richiede l’accertamento di un illecito secondo la nozione contemplata dall’art. 2043 cod. civ., e non presupponendo la verifica dell’elemento soggettivo della colpa a carico di un agente. Esso è invece ancorato sull’accertamento della violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cioè di un evento “ex se” lesivo del diritto della persona alla definizione del suo procedimento in una durata ragionevole, configurandosi l’obbligazione, avente ad oggetto l’equa riparazione, non già l’obbligazione “ex delicto”, ma come obbligazione “ex lege”, riconducibile, in base all’art. 1173 cod. civ., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico” (cfr., ex multis, Cass. civ. 13.04.2006 n. 8712).
Di conseguenza, il termine di prescrizione applicabile non è quello breve previsto dall’art. 2947 c.c. per il risarcimento del danno da fatto illecito, bensì quello ordinario decennale.
Alla luce di questa motivazione, la Corte di Cassazione, 1° Sezione Civile, ha cassato il decreto impugnato stabilendo il seguente principio di diritto:
“il diritto di chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi delle legge 4 agosto 1955 n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, § 1, della Convenzione, ad una equa riparazione, secondo quanto previsto dall’art. 2 della legge 24 marzo 2001 n. 89, ha natura indennitaria e non risarcitoria, e ad esso non è applicabile il termine breve previsto dall’art. 2947 c.c.”.
Ma la Suprema Corte non si è fermata qui.
Ha ritenuto che la controversia potesse essere decisa nel merito, e – partendo dal presupposto che non ci sono motivi per derogare, tenuto conto della particolarità della fattispecie, ai criteri ordinari di liquidazione del danno così come ricavabili dalla giurisprudenza della CEDU – ha condannato l’amministrazione al pagamento dell’equa riparazione per dieci anni di eccessiva durata del processo oltre il ragionevole termine presupposto, quantificata nella somma di Euro 10.000,00, oltre interessi dalla data della domanda, nonché alle spese dei due gradi di giudizio (quello davanti alla Corte d’Appello di Roma e quello davanti alla Corte di Cassazione).
Roma, 28.02.2010 Avv. Daniela Conte
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