Dalle Notizie Radicali apprendo che il Tribunale di Firenze con sentenza del 7 gennaio 2013 affronta in modo totalmente innovativo la questione dei diritti del detenuto. Nel 1997 un giovane, all’epoca tossicodipendente, venne incarcerato nella Casa circondariale di San Benedetto e dopo qualche giorno di detenzione, venne ricoverato in una condizione clinica di coma all’ospedale di Arezzo. L’anossia cerebrale, provocata da un cocktail di farmaci, aveva causato a C.M. la permanente paraplegia degli arti inferiori. La consulenza disposta dal Giudice di Firenze ha consentito di accertare che il coma e la conseguente anossia cerebrale derivò dalla assunzione in carcere di un micidiale cocktail di oppiacei, in parte somministratigli dal personale della Casa circondariale di Arezzo sotto forma di metadone e farmaci neuro-deprimenti, in parte assunto autonomamente e di propria iniziativa dal giovane. Gennaio del 2013 sarà una data importantissima per ricordare che i diritti dei detenuti meritano considerazione; l’ 8 gennaio la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di 7 carcerati detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza, condannando l’Italia a pagare ai sette detenuti un ammontare totale di 100 mila euro per danni morali. Il 7 Gennaio 2013 il Tribunale civile di Firenze, chiamato a quantificare il risarcimento del danno deciso con una precedente sentenza sempre del tribunale fiorentino del 4 maggio 2012, ha condannato il Ministero della Giustizia a risarcire al giovane C.M., la somma di oltre 1 milione e seicentomila euro per le lesioni subite. La tesi sostenuta in giudizio era la seguente; essendo il C.M. detenuto, e tossicodipendente, sussisteva un particolare obbligo di protezione da parte della struttura, derivante dall’impulso di tali soggetti a soddisfare il bisogno di sostanza stupefacente, obbligo comprensivo del dovere di impedire la circolazione di sostanza stupefacente nella struttura carceraria, luogo sottoposto (o che comunque tale dovrebbe essere) ad un continuo controllo dell’autorità stessa, nel quale quest’ultima, maggiormente che all’esterno, dovrebbe impedire il verificarsi di situazioni non conformi alla legge. Non solo l’errore nella somministrazione dei farmaci neuro-deprimenti, quindi, ma anche l’omesso controllo per impedire che C.M. assumesse autonomamente eroina, costituiva quindi violazione del predetto dovere di protezione, per cui lo Stato era responsabile delle lesioni: “al potere restrittivo della libertà personale del detenuto, derivante allo Stato dalla titolarità della potestà punitiva nei confronti degli autori del reato, faccia, altresì riscontro un onere di protezione nei confronti dei soggetti che per tale ragione siano allo stesso affidati”.