Il risarcimento del c.d. danno tanatologico.
Corte di Cassazione, Sentenza n°8360 del 08 Aprile 2010.
Avv. Antonietta Savino
di Montemilone, PZ
Letto 955 volte dal 03/08/2011
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n°8360 del 08 Aprile 2010, ha riconosciuto in capo ai parenti della vittima di un incidente il diritto al risarcimento “a titolo ereditario” del c.d. danno tanatologico, che consiste nella sofferenza patita dal defunto a causa di lesioni fisiche alle quali è seguita dopo breve tempo la morte. La Suprema Corte ha affermato che il Giudice, in sede di liquidazione dei danni, possa «correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine» .
La suddetta Sentenza ha affrontato il caso di un agricoltore colpito da una scarica elettrica proveniente da cavi ad alta tensione che si erano intrecciati con i rami dell’albero sul quale stava lavorando. La morte della vittima non è stata immediata, ma è sopraggiunta dopo circa mezz’ora, mentre l’infortunato si trovava a cavalcioni su di un ramo, impossibilitato a muoversi per effetto dell’elettrocuzione.
Con specifico riguardo a detto danno “tanatologico”, la Suprema Corte ha affermato che il Giudice, in sede di liquidazione dei danni, possa «correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine» .
In tal modo, viene colmato il vuoto di tutela determinato dalla Giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall’evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita, mentre lo ammette per la perdita della salute quando il soggetto è rimasto in vita per un tempo apprezzabile al quale lo commisura.
Una sofferenza psichica siffatta, caratterizzata da massima intensità ancorché di durata contenuta, deve essere risarcita come danno morale, non essendo suscettibile di degenerare in patologia e dare luogo ad un danno biologico in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesione e morte.
Il Giudice, pertanto, in sede di quantificazione della somma dovuta a titolo di risarcimento dei danni morali per sofferenza psichica, deve personalizzarne la liquidazione tenendo conto anche del c.d. tanatologico, ove i danneggiati ne facciano specifica e motivata richiesta e le circostanze del caso concreto ne giustifichino la rilevanza.
La somma liquidata a ristoro dei danni morali in favore dei parenti della vittima, quindi, deve comprendere sia l’importo dovuto, iure haereditario per le gravi sofferenze patite dalla vittima prima della morte, sia i danni morali subiti, iure proprio dai superstiti, a causa della perdita del rapporto parentale.
La decisione in commento si inserisce nel solco Giurisprudenziale tracciato dalle note Sentenze delle Sezioni Unite n°26972 e n°26973 dell’11 Novembre 2008, con le quali la Suprema Corte, da un lato, ha ricondotto i danni risarcibili nell’ambito della classificazione bipolare stabilita dal codice civile, (danni patrimoniali ex art. 2043 e danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059), definendo le distinzioni elaborate da Dottrina e prassi (danno biologico, danno per morte, danno esistenziale, ecc.) alla stregua di mere categorie descrittive delle diverse modalità con cui si realizza il danno non patrimoniale; dall’altro lato, ha precisato che, nel procedere alla quantificazione ed alla liquidazione dell’unica voce “danno non patrimoniale”, il Giudice deve tenere conto di tutti gli aspetti in cui il danno si atteggia nel caso concreto.
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