Medicina estetica : il danno sussiste solo se il paziente dimostra lo stato fisico precedente all'intervento e quello posteriore peggiorato.
Corte Appello Roma Sez. III, 20 settembre 2011
Avv. Giovanni Luca Simone
di Foggia, FG
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La Corte capitolina afferma il principio che in materia di interventi di medicina estetica, l'attore è onerato di una prova che non può limitarsi alla sola dimostrazione di un contatto tra paziente e sanitario e ad una generica allegazione di un esito peggiorativo delle condizioni fisiche, dovendo invece dimostrare quale fosse esattamente lo stato fisico antecedente all'intervento e quello posteriore, onde consentire un primo e necessario controllo di sussistenza di un nesso eziologico tra l'intervento eseguito dal sanitario e la peggiorata condizione estetica presentata dal paziente.
Con citazione notificata in data 27.3.2007 la sig.ra R.P. ha proposto appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Roma con la quale era stata respinta la domanda avanzata dalla medesima, con citazione notificata il 11.12.2003 nei confronti del dr. R.L. e con la chiamata in causa, da parte del R., della R.A. S.p.A.; domanda contenente la richiesta di condanna del convenuto al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della prestazione sanitaria (trattamento di laser-resurfacing volto ad emendare le antiestetiche manifestazioni di dermatosi e vitiligine al volto ed alla gamba destra) malamente eseguita dal professionista in data 28.2.2000.
Il primo giudice, sulle contestazioni sollevate dal medico convenuto e dalla chiamata compagnia di assicurazioni, aveva respinto la domanda ritenendola priva di riscontro probatorio, condannando l'attrice alle spese di lite.
La appellante deduce e sostiene l'erroneità della decisione chiedendo la riforma della sentenza di primo grado e l'accoglimento della propria domanda e, quindi, la condanna del dr. R. al risarcimento dei danni subiti nella indicata misura di Euro 100.000,00, oltre che alle spese dei due gradi di giudizio.
Si è costituito il dr. R.L. per contestare l'appello proposto perché ritenuto infondato, chiedendone il rigetto e la condanna della appellante ex art. 96 c.p.c. ai danni ed alle spese del nuovo grado del giudizio.
Si è costituita la R.A. S.p.A. per contestare l'appello e chiederne il rigetto, con il favore delle spese.
Quindi precisate le conclusioni all'udienza collegiale del 6.5.2011, la causa è stata trattenuta per la decisione ai sensi dell'art. 352 c.p.c. con riserva del deposito della sentenza allo scadere dei termini di cui all'art. 190 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo e principale motivo di appello si censura la sentenza per avere erroneamente respinto la domanda azionata dalla sig.ra R. ritenendola priva di supporto probatorio circa la sussistenza del danno indicato dalla parte come conseguenza dell'errato intervento medico eseguito dall'appellato dr. R..
L'appello è infondato.
Infatti, in materia di responsabilità civile nell'attività medico-chirurgica, il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto e/o il "contatto" e allegare l'inadempimento del professionista, che consiste nell'aggravamento della situazione patologica del paziente o nell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento, restando a carico dell'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - la prova dell'assenza di colpa, cioè che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile, con la precisazione che, pur gravando sull'attore l'onere di allegare i profili concreti di colpa medica posti a fondamento della proposta azione risarcitoria, tale onere non si spinge fino alla necessità della enucleazione e indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto agli esperti del settore;
pertanto, a fronte dell'allegazione attorea dell'inadempimento o dell'inesatto adempimento, a carico del sanitario o dell'ente resta sempre l'onere probatorio relativo sia al grado di difficoltà della prestazione, sia all'inesistenza di colpa o del nesso causale, al fine di dimostrare che l'inadempimento non vi è stato e che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (secondo quanto precisato da Cass. sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577).
Invero, a prescindere dalla specifica prestazione sanitaria richiesta al medico ed alla eventuale difficoltà o semplicità dell'intervento, al paziente spetta sempre provare il contratto relativo alla prestazione sanitaria e il danno, mentre compete al medico dimostrare che l'inadempimento non vi era stato (perché il danno allegato non vi era stato) ovvero che, pur sussistendo, non sia eziologicamente rilevante.
Colui che agisce per il risarcimento del danno invocando una errata prestazione sanitaria, deve sempre e comunque dimostrare che - data per provata una certa sua condizione psico-fisica - dopo l'intervento medico quella condizione sia peggiorata o si sia, comunque, modificata in senso peggiorativo; non essendo sufficiente che la parte si limiti alla mera affermazione di una attuale condizione fisica "negative" senza dimostrare che la stessa sia diversa (in peggio) da quella anteriore e che si colleghi e che sia conseguenza dell'intervento del sanitario convenuto.
Nel caso in esame la situazione prospettata dalla signora R., con la sua domanda azionata nei confronti del dr. R., si presentava esattamente in tali termini poiché la appellante non aveva in alcun modo dato prova di quale fosse la sua effettiva condizione fisica prima dell'intervento (ad esempio allegando delle fotografie raffiguranti il suo viso e le gambe interessate dai fenomeni di inestetismo), né di quale fossero i peggioramenti estetici subiti per effetto dell'intervento di laser-resurfacing eseguito dal dr. R. (anche in questo caso omettendo di allegare - anche nella relazione del proprio c.t.p. - delle fotografie che consentissero di manifestare la diverse macchie o le nuove patologie estetiche di cui si parla nella citata relazione).
È parere di questa Corte che, soprattutto in materia di interventi di medicina estetica (ove è richiesta la sussistenza di concrete possibilità, per il paziente, di conseguire un effettivo miglioramento dell'aspetto fisico che si ripercuota favorevolmente sulla sua vita professionale o di relazione), l'attore sia onerato di una prova che non può essere limitata alla sola dimostrazione di un contatto tra paziente e sanitario ed ad una generica allegazione di un esito peggiorativo delle condizioni fisiche, dovendo dimostrare quale fosse esattamente lo stato fisico antecedente all'intervento e quello posteriore, onde consentire un primo e necessario controllo di sussistenza di un nesso eziologico tra l'intervento eseguito dal sanitario e la peggiorata condizione estetica presentata dal paziente; e questo per consentire, prima al convenuto, di predisporre la sua difesa e approcciarsi alla adempimento dell'onere probatorio su di lui gravante (come sopra già evidenziato) e, poi al giudice, di verificare la necessità di procedere con l'assunzione dei mezzi istruttori ritenuti rilevanti, nonché utili e/o opportuni (ivi compresa una consulenza tecnica).
Nulla di tutto questo la parte appellante aveva dato prova in I grado (ed a nulla sarebbero valse le prove dedotte in quella sede) rimanendo inadempiente al suo principale onere probatorio e, pertanto, l'appello di cui si discute è infondato e la appellante è tenuta al rimborso delle spese del grado sostenute dalle due parti appellate.
Le spese vengono liquidate come da notula tenuto conto del valore della controversia e della attività compiute dal procuratore delle parti appellate.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Roma - Terza Sezione Civile - definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, così decide sull'appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma datata 30.8.2006 (depositata l'11.9.2006 con il n. 25262/2006) proposto da R.P. nei confronti di R.L. e di R.A. S.p.A.:
a) Rigetto l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza appellata;
b) Condanna la appellante alla rifusione delle spese del grado sostenute dall'appellato R. liquidandole in Euro 50,00 per spese, Euro 1.270,00 per diritti e Euro 2.900,00 per onorari (oltre al forfettario, Iva e Cap come per legge); ed alla rifusione di quelle della R.A. S.p.A. liquidandole in Euro 50,00 per spese, Euro 1.270,00 per diritti e Euro 2.900,00 per onorari (oltre al forfettario, Iva e Cap come per legge).
Così decisa in Roma, il 5 settembre 2011.
Depositata in Cancelleria il 20 settembre 2011.
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