Fondamento della condanna alle spese processuali
Cass. civ. Sez. II, 21 gennaio 2013, n. 1371
Avv. Massimiliano Solinas
di Genova, GE
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La condanna alle spese processuali non trova il suo fondamento in un credito risarcitorio, atteso che l'esercizio del diritto di difesa non è un comportamento illecito, ma trova la sua ragione nella volontà del legislatore di evitare che le spese processuali sostenute dalla parte vittoriosa gravino su di essa. La regola sancita dall'art. 91 c.p.c., secondo cui il soccombente deve essere condannato alle spese, può essere derogata ai sensi dell'art. 92 c.p.c. (nel regime anteriore alla modifica apportata dalla legge n. 263 del 2005) per giusti motivi, anche nell'ipotesi di mancata costituzione della parte soccombente. Del resto, la garanzia costituzionale del diritto di difesa non può essere estesa fino a ricomprendervi anche la condanna del soccombente alle spese di lite, senza alcuna possibilità di deroga in caso di giusti motivi. Pertanto, la motivazione della sentenza, quale quella impugnata nel caso in esame, per la quale le spese sono compensate in virtù del principio di affidamento, non è affetta dai vizi di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
L'opponente aveva dedotto di avere venduto il veicolo in data antecedente all'accertamento della violazione, ma il Tribunale riteneva che la responsabilità poteva essere esclusa solo con la prova della trascrizione dell'atto di vendita in data anteriore all'accertamento.
A seguito di ricorso del C. questa Corte, con sentenza del 12/9/2005. cassava la sentenza impugnata con rinvio anche per le spese ad altro giudice del Tribunale di Teramo, affermando il principio che la trascrizione del contratto di vendita di autoveicolo non incide sulla validità del trasferimento, ma ha il limitato scopo di regolare il confitto tra pretese contrastanti sullo stesso bene, con la conseguenza che fuori di tali ipotesi le risultanze del PRA hanno valore di presunzione semplice che può essere vinta con ogni mezzo di prova anche nel giudizio di opposizione a ordinanza ingiunzione.
Il Tribunale di Teramo, giudicando quale giudice del rinvio, con sentenza del 7/2/2007, rilevato che risultava da atto scritto, confermato testimonialmente, la cessione del veicolo in data anteriore all'accertamento, accoglieva l'opposizione e "revocava" l'ordinanza compensando le spese per ragioni di equità "ravvisabili nell'affidamento creato nell'autorità amministrativa dai principio di diritto applicato anche dal primo giudice" (così testualmente).
P.L., quale erede di C.P.A., propone ricorso affidato a due motivi; la Prefettura è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., e art. 92 c.p.c., comma 2, e sostiene:
a) che nel procedimento di opposizione a sanzione in caso di contumacia dell'autorità che ha emesso il provvedimento poi annullato, va sempre disposta la condanna della stessa, non potendosi operare compensazione laddove l'autorità, non costituendosi, non abbia sostenuto alcuna spesa suscettibile di essere compensata; la compensazione, secondo la ricorrente, può disporsi solo quando le parti partecipino al processo in posizione di parità e sostengano le spese in eguale misura;
b) che nel motivare la compensazione il giudice del rinvio sembra avere ravvisato i giusti motivi nella controvertibilità delle questioni di diritto o nell'assenza di una consolidata interpretazione della norma oggetto di giudizio, ma non v'era nè controvertibilità nè incertezza giurisprudenziale e pertanto non era giustificata la compensazione; la Pubblica Amministrazione era in grado di conoscere l'orientamento giurisprudenziale per il quale, malgrado la contraria risultanza del PRA, il soggetto sanzionato quale proprietario può sempre provare, anche a prescindere dalle risultanze del PRA, di non essere più proprietario del veicolo;
c) che non corrisponde ad equità ed è in contrasto con l'art. 24 Cost., non imporre all'autorità soccombente la rifusione delle spese quando il loro importo è addirittura superiore alla sanzione.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e sostiene che la motivazione secondo la quale "i giusti motivi di compensazione sono ravvisabili nell'affidamento creato nell'autorità amministrativa dal principio di diritto applicato anche dal primo giudice" è una motivazione irrilevante e inconferente, tanto più considerando che la Prefettura era in grado di conoscere l'orientamento giurisprudenziale in materia, così da non potere riporre alcun affidamento.
3. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente risolvendosi nell'unitaria critica del provvedimento di compensazione in quanto assunto al di fuori dei presupposti indicati nell'art. 92 c.p.c., e con violazione del principio generale dell'art. 91 c.p.c., in forza del quale al soccombente devono far carico le spese processuali della parte vittoriosa.
4. Quanto ai profili di costituzionalità, va ricordato che le Sezioni Unite con la sentenza n. 20598 del 2008 (e, in precedenza Cass. 17/3/2004 n. 5405 sul rilievo che la garanzia costituzionale del diritto di difesa non può essere estesa fino a ricomprendervi anche la condanna del soccombente) hanno escluso che la previsione normativa che consente la compensazione delle spese per motivi discrezionalmente valutabili dal giudice possa suscitare dubbi di illegittimità costituzionale, non comportando una inammissibile compressione dei diritti di difesa e configurando un legittimo potere del giudice, vincolato soltanto dall'obbligo di fornire un'adeguata motivazione.
Quanto alla pretesa impossibilità di compensare le spese in caso di contumacia della parte soccombente (che, quindi, non avrebbe sostenuto spese suscettibili di essere compensate) va rilevato che l'improprio termine deve essere inteso non nel senso di una suddivisione delle spese tra le parti o m quello della reciproca estinzione dei crediti contrapposti, ma semplicemente come termine con il quale si esprime la volontà di negare a ciascuna delle parti la rifusione delle proprie spese con conseguente consolidamento in capo ad ogni parte delle anticipazioni sostenute nel corso del giudizio.
La condanna alle spese processuali non trova il suo fondamento in un credito risarcitorio, perchè l'esercizio del diritto di difesa non è un comportamento illecito, ma trova la sua ragione nella volontà del legislatore di evitare che le spese processuali sostenute dalla parte vittoriosa gravino su di essa; il legislatore ha, quindi, individuato nella parte soccombente la parte tenuta a sostenere il relativo onere, salvo, tuttavia, i giusti motivi che costituiscono l'applicazione di un principio di equità ultracentenario, già previsto all'art. 370 c.p.p. del 1865.
Pertanto la circostanza che la parte vittoriosa possa essere chiamata a sopportare il carico delle proprie spese ancorchè, in ipotesi, superiore al valore della causa è circostanza che, in presenza di giusti motivi di compensazione, non assume rilevanza decisiva.
Che la compensazione delle spese processuali non possa essere considerata una compensazione in senso tecnico è dimostrato dal fatto che prescinde dalla valutazione dell'entità delle spese di ciascuna delle parti.
Quanto al merito, occorre premettere che l'art. 92 comma 2, nel suo riferirsi ai "giusti motivi" (solo dopo la L. n. 69 del 2009, la compensazione è stata limitata alle gravi ed eccezionali ragioni) assume il connotato di norma "elastica", tale da potere essere adeguata al contesto storico-sociale o a situazioni non specificabili a priori e che deve essere interpretata dal giudice; in sostanza la norma si giustifica, anche sul piano dei principi costituzionali, perchè consente di adottare una soluzione che attenua il rigore del principio della soccombenza laddove l'applicazione rigorosa di tale principio, alla luce di specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa viene avvertita come soluzione iniqua ed eccessivamente penalizzante per il soccombente.
Il presente giudizio è stato instaurato con ricorso del 1998 e pertanto non solo prima della modifica dell'art. 92 c.p.c., ad opera della L. n. 69 del 2009, ma anche prima della modifica introdotta al L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 92, che ha introdotto l'obbligo di esplicitare i giusti motivi di compensazione nella motivazione.
La normativa applicabile ratione temporis attribuiva invece al giudice amplissima discrezionalità nel ravvisare i giusti motivi di compensazione che, pertanto, potevano essere implicitamente desunti dal complesso della motivazione senza necessità di uno specifico richiamo nel provvedimento sulla compensazione delle spese.
Nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che nei procedimenti instaurati prima del primo Marzo 2006, nei quali è quindi applicabile l'art. 92, nel testo anteriore alla riforma del 2006, "... poichè il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso di altri giusti motivi. Va altresì specificato che il giudice di merito può compensare le spese di lite per giusti motivi senza obbligo di specificarli e la relativa statuizione non è censurabile in Cassazione, poichè il riferimento a "giusti motivi" di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della controversia" (Cass. 17457/2006; Cass. n. 20457/2011) e si è ulteriormente affermato che la scelta di compensare le spese processuali è riservata al prudente, ma comunque motivato, apprezzamento del giudice di merito, la cui statuizione può essere censurata in sede di legittimità quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione e tali da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (Cass. 17/5/2012 n. 7763).
Applicando al caso concreto tali principi, che questo Collegio condivide, si deve concludere per il rigetto dei motivi per le seguenti ragioni.
A) L'art. 91 c.p.c., non è violato perchè l'obbligo del soccombente di rimborsare le spese trova espressa deroga nei casi considerati dall'art. 92 c.p.c.;
B) L'art. 92 c.p.c., non è violato e non sussiste il dedotto vizio di motivazione per le seguenti ragioni. Con la sentenza impugnata si sono ritenuti sussistenti giusti motivi di compensazione; dalla sentenza si evince che la sanzione amministrativa era stata inflitta all'apparente proprietario sulla base delle risultanze del P.R.A. che indicavano proprio nel soggetto contravvenzionato il proprietario del veicolo, mentre con l'opposizione era stato dedotto che il veicolo era stato trasferito ad altro soggetto prima dell'accertamento dell'infrazione, senza, peraltro, che il trasferimento fosse trascritto nel P.R.A..
Ne discende che, da un lato, l'ordinanza ingiunzione non poteva che essere emessa nei confronti dell'apparente proprietario e che l'opposizione, pur rivelatasi fondata, era stata resa necessaria proprio per quella falsa apparenza e allo scopo di fornire una prova che potesse contrastare le risultanze dei pubblico registro automobilistico.
Il principio dell'affidamento, richiamato dal giudice del rinvio pur in modo estremamente sintetico, deve quindi essere valutato in questo contesto (come emerge dalla sentenza impugnata e dalla stessa sentenza di annullamento con rinvio) nel quale l'autorità amministrativa si trovava, da un lato, a riporre affidamento nelle risultanze del pubblico registro e, dall'altro, a riporre affidamento nella statuizione del giudice che, pur errando, attribuiva prevalenza alle risultanze del pubblico registro automobilistico; proprio tale pronuncia rendeva quanto meno problematico per i pubblici funzionari un successivo annullamento di una sanzione che un giudice aveva ritenuto legittimamente inflitta e il giudice del rinvio nella sentenza e con il richiamo all'affidamento ha adeguatamente motivato, la compensazione delle spese.
5. In conclusione:
- la regola stabilita dall'art. 91 c.p.c., secondo la quale il soccombente deve essere condannato alle spese, può essere derogata ai sensidell'art. 92 c.p.c., (nel regime anteriore alla modifica apportata dalla L. n. 263 del 2005) per giusti motivi anche nel caso di mancata costituzione della parte soccombente;
- la motivazione della sentenza impugnata, per la quale le spese vengono compensate in virtù del principio dell'affidamento, non è affetta dai denunziati vizi di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione;
- la garanzia costituzionale del diritto di difesa non può essere estesa fino a ricomprendervi anche la condanna del soccombente alle spese di lite senza alcuna possibilità di deroga in caso di giusti motivi.
Ne discende il rigetto del ricorso; le spese di questo giudizio di cassazione, nel quale l'intimata Prefettura non si è costituita, restano a carico della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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