L'amministratore cessato dalla carica può agire, per recuperare le somme anticipate, sia nei confronti del condominio che nei confronti dei singoli condomini
Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 24 novembre 2008, n. 27890
Avv. Federica Malagesi
di Roma, RM
Letto 2569 volte dal 17/06/2009
L'amministratore cessato dalla carica può agire, per recuperare le somme anticipate, sia nei confronti del condominio in persona del nuovo amministratore che lo ha sostituito nell'incarico, sia nei confronti dei singoli condomini, ma, in quest'ultimo caso, può agire solo pro quota e, comunque, in base alle deliberazioni d'approvazione della spesa e di ripartizione del relativo importo. (Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 24 novembre 2008, n. 27890) REPUBBLICA ITAL
L'amministratore cessato dalla carica può agire, per recuperare le somme anticipate, sia nei confronti del condominio in persona del nuovo amministratore che lo ha sostituito nell'incarico, sia nei confronti dei singoli condomini, ma, in quest'ultimo caso, può agire solo pro quota e, comunque, in base alle deliberazioni d'approvazione della spesa e di ripartizione del relativo importo.
(Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 24 novembre 2008, n. 27890)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORONA Rafaele - Presidente
Dott. SETTIMJ Giovanni - Consigliere
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio - rel. Consigliere
Dott. ATRIPALDI Umberto - Consigliere
Dott. MALPICA Emilio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9392/2004 proposto da:
BI. GI., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO SOMALIA 67, presso lo studio dell'avvocato GRADARA RITA, rappresentato e difeso dall'avvocato GALLONE ERMES;
- ricorrente -
contro
LA. GE., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 78, presso lo studio dell'avvocato D'ASTICE FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato PATRUNO CATALDO;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 9707/2003 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 08/07/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/09/2008 dal Consigliere Dott. SETTIMI GIOVANNI;
udito l'Avvocato D'ASTICE, difensore del resistente che si riporta alle conclusioni di cui al controricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Bi.Gi. conviene LA.Ge. innanzi al pretore di Milano per sentirlo condannare al pagamento in suo favore della somma di lire 3.604.000 e accessori che assume dovutagli avendola anticipata, nella propria qualita' d'amministratore del Condominio di Via (OMESSO), per l'accertamento e l'eliminazione da parte della ditta Castelli delle cause d'una vistosa macchia d'umidita' apparsa nel soffitto del negozio al piano terra di proprieta' del convenuto; precisa che questi aveva chiesto il suo intervento ma - nonostante egli si fosse attivato, incaricando la nominata ditta e compensandola al termine dell'opera, ed avesse, poi, inserito la spesa nel bilancio consuntivo 91/92 a debito dell'interessato in quanto relativa a porzione di proprieta' esclusiva del medesimo - si era rifiutato di rimborsargli quanto dovutogli.
Costituendosi, LA.Ge. si oppone all'accoglimento dell'avversa pretesa eccependo, tra l'altro, di non aver conferito all'amministratore del condominio alcun mandato od incarico a titolo personale, ma di essersi limitato, quale condomino, a segnalare la comparsa di macchie di umidita' nel soffitto del proprio negozio, in corrispondenza della canna fumaria condominiale, cui erano collegati, oltre allo scarico della propria stufa, anche quelli delle caldaiette del riscaldamento delle porzioni poste ai piani superiori, alla condensa delle quali era da attribuire l'inconveniente; tanto che l'assemblea condominiale del 25.7.92, aveva stralciato la somma di lire 3.604.000 addebitatagli dall'amministratore (nel frattempo cessato dall'incarico) cui aveva riconosciuto il minor importo di lire 600.000 per "controlli effettuati sulla canna fumarla ed i pluviali".
Con sentenza 24.1.98, il pretore respinge la domanda sulla considerazione che dall'esperita consulenza tecnica d'ufficio e dalla deposizione testimoniale del titolare della ditta esecutrice dei lavori era rimasto accertato che causa dell'infiltrazione d'umidita' era l'immissione nella canna fumaria delle esalazioni provenienti non tanto dalla stufa del convenuto quanto dalle centraline di produzione dell'acqua calda installate nelle altre porzioni del fabbricato, circostanza anche accettata dal Condominio che con delibera del luglio 1992 aveva stornato la somma in discussione precedentemente addebitata al solo convenuto.
Il Bi. propone appello avverso la sentenza pretorile dolendosi che il giudice abbia sommariamente esposto i fatti, omesso d'indicare le norme ed i principi di diritto posti a base della decisione, reso una motivazione insufficiente e non pertinente, laddove avrebbe dovuto riconoscere l'azionato diritto nascente dal mandato conferitogli dalla controparte o dall'utile gestione della vicenda in favore della stessa.
Resiste il La..
Decidendo del gravame con sentenza 8.7.03, il tribunale di Milano lo rigetta evidenziando come la pronunzia giurisdizionale sia da considerare valida sol che consenta l'individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo; come la pretesa gestione d'affari non fosse stata "utile", dacche' gli inconvenienti non erano stati eliminati e s'erano resi necessari ulteriori interventi; come dagli accertamenti effettuati dal consulente tecnico fosse emerso che causa delle infiltrazioni e, quindi, delle opere eseguite era stata la canna fumaria condominiale, onde titolare passivo del rapporto doveva essere considerato non il convenuto ma il Condominio, nei confronti del quale si sarebbe dovuta promuovere l'azione recuperatoria.
Avverso tale decisione il Bi. ricorre per cassazione con quattro motivi.
Resiste il La. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente - denunziando "nullita' della sentenza ex articolo 360 c.p.c., n. 4, e omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia" - si duole che il giudice a qua, "in aperta violazione dell'articolo 118 disp. att. c.p.c.", non abbia indicato in alcun modo quali fossero le norme di legge ed i principi di diritto applicati e reso dell'adottata decisione una giustificazione non pertinente, in quanto incentrata sull'accertamento della causa determinante delle infiltrazioni de quibus, come si fosse trattato d'un giudizio risarcitorio, mentre trattavasi di giudizio inteso al recupero d'un esborso effettuato per conto altrui.
Con il secondo motivo, il ricorrente - denunziando "violazione e falsa applicazione di legge ex articoli 1703, 1720, 2028 e 2031 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche' omessa ed o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ex articolo 360 c.p.c., n. 5" - si duole che il giudice a qua abbia disatteso la sua pretesa sia sotto il profilo della gestione d'affari sia sotto quello del mandato.
I due motivi, che, per connessione logica, possono essere trattati congiuntamente - sono infondati sotto piu' distinti profili.
Va, anzi tutto, rilevato - come gia' evidenziato dal tribunale nel disattendere l'analoga censura rivolta la primo giudice - essere principio costantemente affermato in giurisprudenza che, non ponendo una prescrizione assistita da sanzione di nullita' il disposto dell'articolo 118 disp. att. c.p.c., per il quale devono essere indicate nella sentenza le norme di legge applicate, non sia, di conseguenza, ravvisabile il vizio di omessa motivazione ex articolo 360 cod. proc. civ., n. 5, e tanto meno di violazione di legge ex n. 3 della stessa norma, allorche' nella pronuncia impugnata non sia stato operato l'espresso richiamo alla specifica disciplina legale posta a fondamento della statuizione, dacche' la rado del detto articolo 118 disp. att. c.p.c., cosi' come dell'articolo 132 c.p.c., n. 4, e', essenzialmente, che dal complesso delle argomentazioni svolte dal giudice emergano chiaramente le ragioni in fatto ed in diritto della decisione adottata (Cass. 3.4.99 n. 3282 citata dal giudice a quo ha precedenti specifici in Cass. 20.6.83 n. 4221, 16.3.81 n. 1437, 20.1.75 n. 231).
Tale prescrizione risulta del tutto rispettata nella sentenza in esame ed, infatti, va, in secondo luogo, rilevato come l'attenzione rivolta dal giudice a quo all'individuazione della causa del danno all'eliminazione del quale sono state rivolte le opere del cui pagamento l'originario attore, attuale ricorrente, ha chiesto il rimborso, non e' affatto peregrina, bensi' essenziale, in quanto e' la diretta conseguenza del necessario pregiudiziale esame dell'eccezione di difetto di legittimazione passiva (rectius di titolarita' passiva del rapporto n.d.e.) sollevata dal convenuto sin dall'inizio della controversia e coltivata dallo stesso anche nelle successive fasi del giudizio.
Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, il giudice a quo espressamente espone, in vero, la ragione fondante dell'adottata decisione di rigetto dell'appello con la frase conclusiva "L'attuale appellante avrebbe, pertanto, dovuto in primo grado convenire non gia' La.Ge. ma il Condominio del quale era stato amministratore all'epoca dei fatti".
Considerazione che introduce l'esame del secondo motivo, con il quale il ricorrente invoca la mancata applicazione delle norme sul mandato o sulla gestione d'affari.
E' chiaro, infatti, che, ove il danno ad una parte comune od individuale dell'edificio, per la cui eliminazione siasi attivato l'amministratore del condominio, risulti essere stato determinato dalla disfunzione d'una parte od impianto comune dell'edificio stesso, come nella specie accertato in fatto da entrambi i giudici del merito, detta attivita' rientra nelle ordinarie incombenze dell'amministratore medesimo, svolte in base al mandato conferitogli si dai singoli condomini ma considerati nel loro complesso, onde delle obbligazioni conseguenti all'espletamento di tale mandato ciascuno di essi risponde pro quota ed in forza delle deliberazioni assembleari d'approvazione e ripartizione della spesa.
Ne' rileva che l'intervento dell'amministratore venga sollecitato dal singolo condomino, nella cui proprieta' individuale il danno siasi verificato, dacche' tale sollecitazione e' da considerare rivolta dal condomino all'amministratore non a titolo personale, in quanto proprietario d'unita' immobiliare individuale ed in base ad autonomo mandato, bensi' a titolo di condomino, in quanto partecipe della comproprieta' sulle cose comuni ed in base al mandato gia' conferito, in quanto tale, all'incaricato della gestione degli interessi collettivi.
Del che l'odierno ricorrente mostra d'essersi ben reso conto, dacche' nell'esposizione si rinvengono frasi come "il suo diritto al rimborso doveva essere riconosciuto anche se l'intervento fosse stato di carattere condominiale" (pag. 2), "richiesta di rimborso di una somma anticipata dal qui appellante (rectius ricorrente - n.d.e.) per conto del condomino (OMESSO) o del condominio" (pag. 4), "agendo nell'interesse del La. o, al limite, del condominio" (pag. 5), "le ricevute prodotte dal qui esponente sono intestate al condominio in quanto gli interventi edili furono pagati dal ragionier Bi. quale amministratore del condominio in attesa che l'assemblea si esprimesse sul punto" (pag. 8).
D'altra parte, una volta pretermesse, per le indicate ragioni, le sollecitazioni all'intervento, il ricorrente non ha affatto provato d'aver ricevuto dal La. espresso mandato di provvedere in suo nome e per suo conto, quale soggetto individuale e non quale condomino, all'attivita' in discussione.
Ancora, il ricorrente non puo' invocare la gestione d'affari, non solo perche' anche questa, in quanto posta in essere per l'eliminazione d'una situazione dannosa imputabile a disfunzione d'impianto condominiale, sarebbe stata comunque posta in essere anch'essa in favore del condominio e non del singolo condomino e tanto e' assorbente, ma altresi' perche', invocato con la citazione introduttiva in primo grado un credito derivante dall'attivita' d'amministratore del condominio, l'immutazione della causa petendi nel prosieguo del giudizio, id est del titolo giuridico della pretesa, non e' consentita.
Il mutamento della causa petendi determina, infatti, mutamento della domanda, tale da renderla improponibile nel giudizio di appello, allorquando il diverso titolo giuridico della pretesa dedotto in secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su conseguenti situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, importi l'immutazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio e, introducendo nel processo un nuovo tema d'indagine e di decisione, alteri l'oggetto sostanziale dell'azione ed i termini della controversia, si da porre in essere, in definitiva, una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non s'e' svolto ivi il contraddittorio (da ultimo, Cass. 11.4.00 n. 4593, 28.1.00 n. 978, 17.1.00 n. 456, 30.3.99 n. 3065 e, nello specifico, 18.2.99 n. 1378).
Siffatta mutatio libelli doveva essere rilevata di ufficio dal giudice di secondo grado, giacche' il divieto di proporre domande nuove in appello costituisce una preclusione all'esercizio della giurisdizione ed il suo mancato rispetto, integrando altresi' violazione dei principi del doppio grado di giurisdizione e del contraddittorio, e' violazione di norma d'ordine pubblico; per le stesse ragioni puo' e deve, dunque, essere rilevata anche in questa sede di legittimita' (Cass. 10.4.00 n. 4531, 27.2.98 n. 2157, 23.6.98 n. 6207).
Per le due esposte considerazioni va modificata, sul punto, ex articolo 384 c.p.c., comma 4, la motivazione dell'impugnata sentenza peraltro corretta nel decisum.
Con il terzo motivo, il ricorrente, denunziando "violazione e falsa applicazione di legge ex articolo 2697 c.c. e segg., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche' omessa ed o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ex articolo 360 c.p.c., n. 5 " si duole che il giudice a quo abbia fondato l'assunta decisione su asserzioni del CTU non suffragate da adeguata specifica indagine e contraddette da diverse emergenze istruttorie.
Il motivo non merita accoglimento.
Quanto alla pretesa violazione dell'articolo 2967 c.c., che puo' essere considerato principio generale, va tenuto presente come le norme poste dal libro 6 titolo 2 del codice civile regolino la materia dell'onere della prova, dell'astratta idoneita' di ciascuno dei mezzi presi in considerazione all'assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze, della forma che ciascun d'essi deve assumere, non la valutazione dei risultati ottenuti mediante l'esperimento dei mezzi stessi, valutazione regolata, invece, dagli articoli 115 e 116 c.p.c., la cui erroneita' ridonda, se del caso, in vizio deducibile ex articolo 360 c.p.c., n. 5, (Cass. 12.2.04 n. 2707).
Nella specie, non solo il ricorrente non sviluppa argomentazioni in diritto sulla denunziata violazione dell'articolo 2697 c.c., nel senso inteso dalla giurisprudenza di legittimita' in tema di motivi ex articolo 360 c.p.c., n. 3, (e pluribus, Cass. 2.8.05 n. 16132, 12.2.04 n. 2707), ma appare evidente come il principio dell'onere della prova e della corretta sua applicazione non possa essere considerato violato, giacche' il giudice del merito, al cui operato nessuna censura la stessa parte ricorrente muove per inesatta applicazione delle norme sul rito, e' pervenuto all'adottata decisione svolgendo argomentazioni basate su prove astrattamente idonee allo scopo e regolarmente acquisite ex officio, onde non e' ravvisabile alcuna violazione della norma in questione; sotto l'esaminato profilo la questione prospettata attiene, dunque, piuttosto ad un eventuale vizio di motivazione.
Anche sotto tale profilo, tuttavia, il motivo, svolto con irrilevanti argomentazioni in fatto, risulta inadeguatamente prospettato sia per difetto di specificita' nei sensi indicati dalla giurisprudenza di questa Corte (e pluribus, Cass. 7.3.07 n. 5274, 25.5.06 n. 12446, 30.3.00 n. 3904) sia per inottemperanza ai principi di autosufficienza e di preclusione.
Al qual proposito, non si puo' fondatamente rimproverare al giudice del merito, come fa parte ricorrente, di non aver operato valutazioni e raggiunto convincimenti autonomi sugli accertamenti effettuati dal consulente tecnico d'ufficio e d'aver recepito le argomentazioni sviluppate e le conclusioni rassegnate da quest'ultimo disattendendo quelle di parte: in materia che richiede un elevato livello di cognizioni tecniche specifiche, e' rimesso al prudente apprezzamento del detto giudice, nella cui esclusiva competenza rientra pervenire a siffatta determinazione, incensurabile in questa sede, astenersi dall'effettuare considerazioni personali determinanti e valutazioni comparative che mancherebbero del supporto d'un'appropriata preparazione scientifica, tanto piu' ove le argomentazioni dell'esperto nominato dall'ufficio, assistite dalla presunzione d'imparzialita', si contrappongano solo le opinioni personali della parte.
Di conseguenza, giusta i gia' richiamati principi di specificita', autosufficienza e preclusione, ove parte ricorrente denunzi l'omesso od insufficiente esame di fatti, di circostanze, di rilievi mossi alle risultanze di ordine tecnico ed al procedimento pure tecnico seguito dal consulente d'ufficio, il motivo non puo' essere limitato a censure d'erroneita' e/o di inadeguatezza della motivazione od anche d'omesso approfondimento di determinati temi d'indagine, prendendo in considerazione emergenze istruttorie asseritamente suscettibili di diversa valutazione e traendone conclusioni difformi da quelle alle quali e' pervenuto il consulente d'ufficio poi recepite dal giudice; e', per contro, necessario che parte ricorrente non solo precisi e specifichi, svolgendo concrete e puntuali critiche, le risultanze e gli elementi di causa dei quali lamenta la mancata od insufficiente valutazione, ma, soprattutto, indichi, in particolare, le esatte controdeduzioni alla consulenza d'ufficio che abbia effettivamente svolte nel giudizio di merito e dimostri come le stesse siano state neglette e come tale negligenza abbia comportato l'erroneita' della decisione impugnata.
Nella specie, devesi' rilevare come, anzi tutto, nelle deduzioni di parte ricorrente non risulti adeguatamente esplicitato se, in quali termini, in quali occasioni e con quali atti, al giudice d'appello fossero stati segnalati errori della consulenza d'ufficio espletata in primo grado, cosi' nel rilievo e nell'elaborazione dei dati posti a base della relazione come nello svolgimento dell'iter logico iniziato con l'analisi di quei dati e terminato con le rassegnate conclusioni, ed, in secondo luogo, non risulta se, in quali esatti termini e con quali precise finalita', al giudice stesso fossero stati richiesti una nuova consulenza od un ulteriore supplemento di quella gia' espletata, tanto piu' necessari attese le critiche rivolte all'opera del consulente d'ufficio; il ricorrente si limita a fare riferimento ad alcuni elementi di giudizio ed a trarne le proprie personali conclusioni per dimostrare l'assunta erroneita' delle argomentazioni del consulente d'ufficio e della corte territoriale, cosi' traducendosi il motivo non in una specifica censura ma in una semplice prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice a quo, del tutto irrilevante in questa sede attenendo all'ambito della discrezionalita' del giudice del merito nella valutazione dei fatti e nella formazione del proprio convincimento, dei quali si finisce per chiedere una revisione inammissibile in questa sede, e non ai vizi dell'iter di detta formazione rilevanti ex articolo 360 c.p.c., n. 5.
Non senza considerare, in definitiva, sia pure solo per completezza argomentativa, che la motivazione fornita dal detto giudice all'assunta decisione risulta logica e sufficiente, basata com'e' su considerazioni adeguate in ordine alla valenza oggettiva dei vari elementi di giudizio risultanti dagli atti e su razionali valutazioni di essi; un giudizio operato, pertanto, nell'ambito dei poteri discrezionali del giudice del merito a fronte del quale, in quante obiettivamente immune dalle censure ipotizzabili in forza dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, la diversa opinione soggettiva di parte ricorrente e' inidonea a determinare le conseguenze previste dalla norma stessa. Con il quarto motivo, il ricorrente, denunziando "violazione e falsa applicazione di legge ex articolo 1703 e 1720 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche' omessa ed o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ex articolo 360 c.p.c., n. 5 ", si duole che il giudice a quo "non spende una parola omettendo sul punto qualunque motivazione" in ordine al fatto ch'egli avesse diritto ad ottenere dalla controparte il pagamento dell'importo in discussione, anche ammesso carattere condominiale dell'intervento, in quanto eseguito quando era amministratore del condominio.
Il motivo non merita accoglimento.
Anche in questo caso la causa petendi si presenta nuova rispetto a quella fatta valere con l'originario atto di citazione in primo grado e, quindi, inammissibile; e' vero, inoltre, che il giudice a quo non ha trattato della questione ne' nell'esposizione in fatto ne' nelle argomentazioni decisionali, ma, cio' stante, il preteso vizio dell'impugnata sentenza doveva essere dedotto non quale omessa motivazione ma ex articolo 112 c.p.c., e articolo 360 c.p.c., n. 4, quale omessa pronunzia e con le pertinenti allegazioni (e pluribus, Cass. 4.6.07 n. 12952, 27.1.06 n. 1755, 26.1.06 n. 1701, 26.7.04 n. 14003). D'altronde, se e' vero che l'amministratore cessato dalla carica puo' agire, per recuperare le somme anticipate, sia nei confronti del condominio in persona del nuovo amministratore che lo ha sostituito nell'incarico, sia nei confronti dei singoli condomini, e' anche vero che, in quest'ultime caso, puo' agire solo pro quota e, comunque, in base alle deliberazioni d'approvazione della spesa e di ripartizione del relativo importo, mentre, nella specie, ne' l'originaria azione e' stata proposta per il titolo giuridico de qua e nei limiti quantitativi di esso rispetto al singolo condomino, ne' di tale titolo sono state allegate le pertinenti prove, essendo stata prodotta una prima deliberazione con la quale la somma era stata integralmente imputata al La. poi revocata da una seconda con la quale, a seguito di accertamenti tecnici, lo stesso La. era stato ritenuto estraneo alla spesa.
Nessuno degli esaminati motivi meritando accoglimento, il ricorso va, dunque, respinto.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
Respinge il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in euro 100,00, per esborsi ed euro 1.000,00, per onorari oltre ad accessori di legge.
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