«[S]econdo la condivisibile giurisprudenza amministrativa le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua - con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell’azione amministrativa - quando l’interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono comunque all’apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti. In materia di comunicazione di avvio prevalgono, quindi, canoni interpretativi di tipo sostanzialistico e teleologico, non formalistico. Poiché l’obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ex art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241 è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all’azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l’atto conclusivo è destinato ad incidere - in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del provvedimento – l’omissione di tale formalità non vizia il procedimento quando il contenuto di quest’ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, si da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione. Alla luce di questa linea interpretativa si può affermare che la comunicazione di avvio del procedimento dovrebbe diventare superflua quando: l’adozione del provvedimento finale è doverosa (oltre che vincolata) per l’amministrazione; i presupposti fattuali dell’atto risultano assolutamente incontestati dalle parti; il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili; l’eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l’amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici).”. (Consiglio Stato, sez. IV, 30 settembre 2002, n. 5003) Tale orientamento appare al Collegio pienamente condivisibile, in quanto rispettoso delle garanzie procedimentali avulse da meccanicistiche applicazioni a natura essenzialmente formalistica. Conforto alla esattezza di tale interpretazione si rinviene in relazione al sopravvenuto disposto del comma 2 dell’art. 21 octies legge 15/2005, specificamente riferita alla violazione procedimentale dell’articolo 7, ed applicabile tanto alla ipotesi di atto vincolato che a quella di atto discrezionale: la novella legislativa ha previsto che l’amministrazione può dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, così superando la censura di carattere formale (per una recente ricostruzione del sistema alla luce della “novella”, si veda Consiglio Stato, sez. VI, 07 gennaio 2008, n. 19)». Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma Fonte:www.giustizia-amministrativa.it