Clausola risolutiva espressa nel contratto di agenzia
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-05-2011, n. 10934
Avv. Alessio Pistone
di Palermo, PA
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Vi riporto l'estratto di una ineterssante sentenza della Cassazione Civile - Sez. Lavoro del 2011 che fa luce in modo chiaro ed esastivo sulla questione della legittimità dell'apposizione della calusola risolutiva espressa nel contratto di agenzia in particolare nel caso in cui la stessa venga utilizzata per giustificare il licenziamento in tronco dell'agente al quale non spetterebbe alcuna indenn
1.5. Il quinto motivo denuncia violazione dell'art. 8 dell'a.e.c. 20.6.1956 reso efficace erga omnes con D.P.R. n. 145 del 1961, dell'art. 15 della direttiva comunitaria 18.12.1986 n. 86/653/CE, dell'art. 1750 c.c., dell'art. 9 a.e.c. per la disciplina del rapporto di agenzia del settore del commercio, in relazione agli artt. 1418, 1419 e 1339 c.c., oltre a vizi di motivazione.
Si sostiene che erroneamente non sia stata ritenuta la nullità della clausola contrattuale prevedente la facoltà di recesso dal contratto senza preavviso.
1.6. Il sesto motivo denunciando, secondo una prospettiva subordinata, la violazione degli artt. 2119, 1459, 1375 e 1354 c.c. e vizi di motivazione, rileva che l'esclusione del diritto dell'agente al preavviso può dipendere solo dalla ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 2119 c.c., cioè di una causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del
rapporto, sicchè deve comunque ritenersi nulla una clausola risolutiva espressa che correli la risoluzione del rapporto ad un evento avulso dalle obbligazioni dell'agente e dallo stesso non controllabile, quale il raggiungimento di standard di fatturato, tanto più quando come nella specie l'obiettivo richiesto sia irrealistico (circa il triplo di quanto richiesto gli anni precedenti). Si lamenta anche il difetto di motivazione circa l'inadempienza giustificatrice del recesso.
4. Si esaminano ora congiuntamente, stante la loro connessione, il quinto e il sesto motivo, relativi all'indennità di mancato preavviso.
4.1. Conviene preliminarmente osservare che, considerata la collocazione temporale della vicenda, relativa ad un rapporto di agenzia intercorso tra il febbraio 1988 e il novembre 1991, le norme del codice civile a cui occorre fare riferimento sono quelle in vigore prima delle modifiche introdotte con il D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303 per dare attuazione alla direttiva comunitaria 86/653/CE del 18 dicembre 1986. Infatti la norma transitoria di cui all'art. 6, comma 1, di detto decreto legislativo ha previsto, nel quadro di una facoltà riconosciuta agli Stati membri dall'art. 22, paragr. 1, della direttiva, che la nuova disciplina si sarebbe applicata ai contratti in corso alla data dell'i gennaio 1990 a decorrere dall'1 gennaio 1994. 4.2. Si ritiene necessario un riesame coordinato delle linee interpretative percorse dalla giurisprudenza di questa Corte relativamente sia alle condizioni che possono esonerare la ditta preponente dal rispettare il prescritto termine di preavviso nel recedere dal contratto , sia in particolare alla legittimità della previsione nel contratto individuale di una clausola risolutiva espressa a norma dell'art. 1456 c.c..
5.1. Riguardo al primo aspetto deve rilevarsi che la prevalente giurisprudenza ritiene applicabile per analogia l'istituto del recesso per giusta causa previsto dall'art. 2119 c.c., con riferimento sia al recesso ad iniziativa dell'impresa preponente, sia al recesso dell'agente, anche se con l'esclusione talvolta, riguardo a quest'ultima ipotesi, del riconoscimento di un'indennità sostitutiva forfettaria del preavviso, invece che del diritto al risarcimento del danno (cfr., ex plurimis, Cass. n. 4337/1992, 7986/2000, 15661/2001, 17992/2002, 12873/2004, 19678/2005, 422/2006, 21445/2007, 14771/2008, 20497/2008).
Tuttavia non mancano pronunce che sottolineano come ai fini del giudizio circa la ricorrenza di una giusta causa, e in particolare della gravità della condotta, deve tenersi conto della diversità della posizione dell'agente rispetto a quella del lavoratore subordinato, rilevandosi così che nel rapporto di agenzia , il rapporto di fiducia, in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell'attività, assume maggiore intensità (Cass. n. 14771/2008); che nei due casi l'inadempimento del lavoratore è diversamente apprezzabile, essendo obbligazione di mezzi quella del lavoratore subordinato e di risultato quella dell'agente (Cass. n. 3738/2000); che, in assenza di subordinazione gerarchica, non rilevano espressioni anche fortemente critiche nei confronti dell'impresa mandante espresse in una lettera da parte dell'agente (Cass. n. 12873/2004); che può rilevare solo la violazione di doveri fondamentali dell'agente (Cass. n. 7986/2000); che, accanto al criterio della diligenza richiesta dalla natura dell'attività esercitata, rilevano anche le connotazioni soggettive dell'inadempimento (Cass. n. 15661/2001).
5.2. Alcune sentenze aprono una diversa prospettiva nell'individuazione del riferimento normativo da operare per l'individuazione della giusta causa esonerativa dell'obbligo del preavviso nel contratto di agenzia .
Si fa riferimento innanzitutto a Cass. n. 8448/1990, in cui si osserva che, poichè il contratto di agenzia contiene rilevanti elementi caratteristici del mandato, ad esso si estende la revoca per giusta causa prevista dagli artt. 1723 e 1725 c.c., la cui valutazione deve essere eseguita dal giudice di merito alla stregua dei principi generali che regolano la risoluzione per inadempimento, della quale costituisce una particolare e specifica applicazione.
Sotto il profilo del riferimento alla disciplina del mandato può richiamarsi anche Cass. n. 3348/1994, che ricorda come, anche prima della espressa disciplina sul punto di cui al D.L. n. 576 del 1978, art. 6, convertito nella L. n. 738 del 1978, si riteneva che il rapporto di agenzia si sciogliesse di diritto in caso di fallimento dell'agente, in applicazione della L. Fall., art. 78, comma 2, facente riferimento al fallimento del mandatario. La richiamata sentenza n. 8448/1990 può mettersi in collegamento anche con Cass. n. 5209/1984, secondo cui, a proposito della giusta causa che giustifica il recesso del mandante in ipotesi di mandato oneroso a tempo determinato, a norma dell'art. 1725 c.c.
di ricorrenza di una giusta causa, essendo il rapporto di agenzia senza dubbio ascrivibile a quel genere di rapporti, come quelli di lavoro subordinato o di mandato - per i quali il punto è espressamente regolato -, per i quali, in considerazione del loro particolare oggetto (diretta collaborazione giuridica o materiale all'attività di un altro soggetto) sono previsti meccanismi risolutivi affidati, salvo gli eventuali e successivi controlli giudiziali, alle dirette determinazioni delle parti interessate anche in caso di inadempimento.
Rispetto al problema di una più puntuale determinazione dei presupposti dell'integrazione di una giusta causa e di quello della validità di eventuali clausole risolutive espresse, punto di partenza sembra dover essere quello a secondo cui il codice civile ha fornito una disciplina piuttosto circostanziata relativamente alle modalità di svolgimento dell'attività dell'agente e agli obblighi reciproci delle parti: in altri termini ha configurato un rapporto giuridico incisivamente tipizzato. Correlativamente ha senza dubbio inteso qualificare e proteggere l'attività professionale dell'agente in un quadro di norme inderogabili da integrare con una disciplina "corporativa", ovverosia, nel nuovo quadro istituzionale, mediante una disciplina affidata agli accordi collettivi di categoria. Da questo punto di vista si giustifica il prevalente riferimento da parte degli interpreti, al fine di integrare le norme sul recesso, alla disciplina dei rapporti di lavoro subordinato, piuttosto che a quella sul mandato, indubbiamente meno tipizzata in senso professionale. Nè deve dimenticarsi al riguardo che anche per i rapporti di agenzia si procedette, in applicazione della L. 14 luglio 1959, n. 741 (c.d. legge Vigorelli), alla estensione erga omnes della efficacia degli accordi collettivi all'epoca in vigore allo scopo di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo ai prestatori d'opera.
Deve ritenersi quindi che l'art. 1750 c.c., debba essere integrato con il riferimento ad una nozione di giusta causa che assume, non diversamente che nel rapporto di lavoro subordinato, un'efficacia non derogabile dalle parti del contratto individuale, perchè la contraria conclusione attribuirebbe alle parti stesse la facoltà di incidere in senso limitativo su quel quadro di tutele normative minime delineato dal legislatore. Ne consegue che una clausola risolutiva espressa possa ritenersi legittima (similmente, in qualche misura, alle clausole dei contratti collettivi che prevedano ipotesi di licenziamento disciplinare) solo nei limiti in cui (oltre a non porsi in contrasto con eventuali previsioni in materia di accordi collettivi applicabili al rapporto) non venga a giustificare un recesso senza preavviso in situazioni concrete a norma di legge non legittimanti un recesso in
tronco, e fermo restando che la clausola stessa può comportare la cessazione del rapporto di durata di agenzia solo per il futuro.
Diverso problema è quello della concretizzazione della causale della "giusta causa". Al riguardo deve osservarsi che la formula dell'art. 2119 c.c., "causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto" mira indubbiamente a garantire nei limiti della ragionevolezza il rispetto dell'obbligo di preavviso, ma non può ritenersi preclusiva della considerazione delle esigenze poste anche dai rapporti di agenzia , tenuta presente la genericità della formula, la sussistenza negli stessi rapporti di lavoro subordinato di un'amplissima e differenziata tipologia di situazioni, in rapporto anche alla posizione del dipendente nell'organizzazione aziendale, e la applicabilità della stessa nozione di giusta causa anche alle dimissioni del dipendente. Del resto, come si è già visto, la giurisprudenza ha ritenuto necessario considerare la diversità di ruoli degli agenti rispetto ai lavoratori subordinati.
8. E' opportuno rilevare che la disciplina del codice conseguente all'attuazione della direttiva comunitaria conferma sostanzialmente il riferimento ad una nozione di giusta causa del tenore di quella prevista dall'art. 2119 c.c.. Deve infatti procedersi ad un'interpretazione del quadro normativo basata sulla correlazione tra il tenore dell'inciso dell'art. 1751 c.c. (relativo alla "indennità in caso di cessazione del rapporto"), secondo cui "l'indennità non è dovuta: quando il preponente risolve il contratto per un'inadempienza imputabile all'agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto (...)" e il tenore degli artt. 16 e 18 della direttiva comunitaria 86/653/CE. L'art. 16 della direttiva prevede infatti che la direttiva medesima "non può interferire nella legislazione degli Stati membri qualora quest'ultima preveda l'estinzione immediata del contratto di agenzia :
a) per l'inadempienza di una delle parti nell'esecuzione di tutti o parte dei suoi obblighi; b) in caso di insorgenza di circostanze eccezionali". Correlativamente, l'art. 18 prevede che l'indennità di estinzione del rapporto di cui all'art. 17 non è dovuta "quando il preponente risolve il contratto per un'inadempienza imputabile all'agente commerciale, la quale
giustifichi, in virtù della legislazione nazionale, la risoluzione immediata del contratto .
Orbene, l'ipotesi adottata dal legislatore nazionale per l'esclusione del diritto all'indennità di cessazione del rapporto non può non regolare anche la facoltà di risolvere il rapporto
senza preavviso in caso di inadempimento dell'agente, in quanto la direttiva prevede appunto l'esclusione del diritto all'indennità quando ricorra un inadempimento che secondo la legislazione nazionale giustifichi la risoluzione immediata del rapporto. D'altra parte la Corte di giustizia, nella sentenza 28 ottobre 2010 nella causa C-203/09 (Volvo Car Germany GmbH contro Autohof Weidensdorf GmbH) ha evidenziato, sia pure a fini diversi, la stretta correlazione esistente nella direttiva tra recesso attuato senza preavviso, per un'inadempienza imputabile all'agente, che secondo la legislazione nazionale giustifichi la risoluzione immediata del contratto , e la perdita del diritto dell'indennità di clientela o di cessazione del contratto (la Corte di giustizia ha escluso che possa farsi valere, ai fini della esclusione dell'indennità, un inadempimento dell'agente verificatosi nel periodo intercorrente tra la comunicazione del recesso e la conclusione del periodo di preavviso).
Sembra anche potersi affermare che, sussistendo nell'ambito della disciplina ora vigente, una disposizione testuale indubbiamente riferibile - come si è visto - anche ai presupposti del recesso senza preavviso dell'impresa preponente, sia ancora più problematico che nell'ambito del diritto previgente ritenere liberamente operante una clausola risolutiva espressa .
9. In conclusione, i motivi quinto e sesto devono essere accolti perchè il giudice di appello ha basato la sua decisione sulla affermazione, erronea in linea di diritto, che nel contratto di agenzia , il ricorrere di un inadempimento previsto da una clausola risolutiva espressa giustifichi di per sè il recesso in tronco dell'impresa preponente, senza necessità di verificare la sussistenza di un inadempimento che integri una giusta causa a norma dell'art. 2119 c.c., e cioè che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto.
Il settimo motivo è assorbito, investendo un punto deciso dal giudice di merito in via meramente consequenziale.
Consegue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa ad altro giudice - stessa Corte d'appello in diversa composizione - che farà applicazione del seguente principio: "nel rapporto di agenzia , secondo la disciplina del codice civile in vigore prima delle modifiche introdotte, in attuazione della direttiva comunitaria 86/653/CE del 18 dicembre 1986, dal D.Lgs. 10 settembre 1991 n. 303, non applicabile prima dell'1.1.1994 ai rapporti già in corso alla data dell'1 gennaio 1990, il recesso senza preavviso
dell'impresa preponente è consentito nel caso in cui intervenga una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto (art. 2119 c.c.) e, in caso di ricorso da parte dell'impresa preponente a una clausola risolutiva espressa, che può ritenersi valida nei limiti in cui non venga a giustificare un recesso in tronco attuato in situazioni concrete e con modalità a norma di legge o di accordi collettivi non legittimanti un recesso per giusta causa, il giudice deve verificare anche che sussista un inadempimento dell'agente integrante giusta causa di recesso". Il giudice di rinvio, quindi, riesaminati i motivi del recesso, procederà agli accertamenti e alle valutazioni necessarie per stabilire se ricorra nella specie un'ipotesi di giusta causa, provvedendo quindi circa le domande consequenziali.
Allo stesso giudice si rimette anche la regolazione delle spese del giudizio di cassazione.
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