Premessa
L’Unioncamere apprezza molto lo sforzo intrapreso dalla Direzione
Generale Giustizia e Affari Interni per la definizione dei principi generali in
materia di conciliazione civile e commerciale.
Questo documento, infatti, è in linea con le opinioni che il sistema
camerale italiano aveva espresso in seguito al questionario presentato con il
Libro Verde sulle ADR nel corso del 2002. In tale occasione si era
sottolineata la necessità di un intervento di carattere generale che
sottolineasse le caratteristiche dell’istituto conciliativo senza tuttavia
ingessarne la flessibilità con norme che dettassero regole di carattere
procedurale. I motivi di soddisfazione sono maggiori anche in
considerazione delle previsioni in ordine agli altri aspetti ed alle
conseguenze giuridiche nascenti dal ricorso alla conciliazione: ci si
riferisce, in particolar modo, alla interruzione dei termini di prescrizione,
all’efficacia esecutiva del verbale di conciliazione, alla riservatezza, e della
conciliazione suggerita dal giudice. Sono proprio questi gli aspetti che
meritano di essere disciplinati per rendere davvero preferibile il percorso
alternativo alla giustizia ordinaria al fine di garantire a tutti i cittadini (con
particolare riferimento ai consumatori) il diritto di accesso alla giustizia; in
questo modo l’Unione Europea può davvero compiere il passo ulteriore per
definire il quadro giuridico di riferimento per lo sviluppo di una cultura
europea della conciliazione.
Forte di questa convinzione anche il legislatore italiano, nel quadro della
riforma del diritto societario, ha inteso rispondere efficacemente a queste
esigenze che gli venivano poste dal sistema camerale (unico ad ottenere un
riconoscimento esplicito) ma anche da tutti gli altri operatori ed esperti di
ADR in Italia.
Il decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003 ha infatti disciplinato un
modello di conciliazione per la soluzione delle controversie societarie che
si caratterizza per i seguenti elementi:
a) Non obbligatorietà: lo statuto delle società o dei contratti da questi
stipulati possono contenere l’impegno ad espletare, in caso di
controversia, un tentativo di conciliazione.
b) Accreditamento degli organismi di conciliazione: la legge prevede che
presso il Ministero della Giustizia possano ottenere l’accreditamento
tutti i centri pubblici e privati che intendano gestire procedure di
conciliazione nelle materie regolamentate. Il Ministero conferirà
l’accreditamento a coloro che, sulla base dei regolamenti e delle tariffe e
della organizzazione, offriranno garanzie di serietà ed efficienza. Ciò
garantisce un sistema di libera concorrenza tra soggetti pubblici e
privati.
c) Vincolatività della clausola di conciliazione: per la prima volta viene
previsto nell’ordinamento italiano che il Giudice chiamato a dirimere
una controversia in ordine ad un contratto in cui sia prevista una
clausola di conciliazione, sospenda il giudizio ordinario intrapreso senza
il preventivo tentativo di conciliazione e rinvii le parti all’organismo che
esse hanno scelto ovvero ad uno di quelli iscritti nel registro.
d) Incentivi fiscali: la riforma del diritto societario prevede che il verbale
di conciliazione e tutti gli atti e/o documenti prodotti durante la
procedura siano completamente esenti dall’imposta di bollo e da ogni
spesa, tassa, o diritto di qualsiasi specie o natura. Il verbale è altresì
esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 25.000 euro.
e) Interruzione dei termini di prescrizione e di decadenza: la riforma
prevede che la comunicazione ( fatta alle altre parti con mezzo idoneo a
provarne la ricezione) con la quale viene presentata l’istanza di
conciliazione produce i medesimi effetti della domanda giudiziale sulla
prescrizione. Con tale comunicazione inoltre la decadenza è impedita.
f) Efficacia esecutiva del verbale di conciliazione: con questo
provvedimento si prevede che il verbale di conciliazione possa ottenere
efficacia di titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione in
forma specifica e l’iscrizione di ipoteca giudiziale previa omologazione
del Tribunale in seguito ad un controllo formale.
Come si vede il legislatore italiano è il primo che, in Europa, abbia recepito
in un provvedimento di diritto positivo le indicazioni che la Commissione
Europea aveva sottoposto all’attenzione degli Stati Membri con il Libro
Verde. Tali indicazioni, inoltre, erano già emerse in vari contesti,
comunitari ed internazionali, che avevano riunito gli esperti di ADR: basti
pensare al progetto comunitario MARC 2000 nonché ai lavori
dell’UNCITRAL che hanno dato vita alla relativa Model law sulla
conciliazione commerciale internazionale. L’unico elemento che
caratterizza l’intervento normativo italiano (e che sembra discostarsi dalle
richiamate indicazioni) è una sorta di collegamento con il processo civile
eventualmente instaurato in seguito al fallimento del tentativo di
conciliazione, laddove si prevede che la mancata comparizione di una delle
parti e le posizioni assunte dinanzi al conciliatori (laddove le parti siano
d’accordo a farle verbalizzare dal conciliatore) possano essere valutate dal
Giudice ai fini della ripartizione delle spese processuali nonché ai fini della
condanna per lite temeraria. Tale norma, che giustamente è stata
considerata una lesione del principio di riservatezza, è stata comunque letta
quale modalità attraverso cui rendere più effettivo e collaborativo
l’intervento delle parti durante la conciliazione: esse, infatti, orienteranno
maggiormente i loro comportamenti ai canoni generali di buona fede e
correttezza allorquando potranno temere che il Giudice potrebbe
condannarle alle spese, anche contravvenendo ai generali principi della
soccombenza.
Le indicazioni di carattere sistematico che possono trarsi dalla lettura delle
norme della riforma sono ancora più significative se si considera che il
modello immaginato dal legislatore del diritto societario sembra che verrà
ripreso anche da una serie di interventi legislativi che dovranno essere
approvati nel nostro Paese.
Osservazioni alla proposta di Direttiva sulla conciliazione in materia
civile e commerciale
Con queste premesse di carattere generale presentiamo le nostre
osservazioni al documento preliminare alla proposta di direttiva sulla
conciliazione

Art. 2 Definitions
Pur essendo apprezzabile il tentativo di prevedere una definizione ampia di
conciliazione, sarebbe comunque utile sottolineare quantomeno la
distinzione tra il modello facilitativo e valutativo, specificando
necessariamente che – in ogni caso – anche laddove il conciliatore potesse
esprimere una proposta di soluzione, questa non sarebbe mai vincolante per
le parti, che hanno quindi il diritto di accettarla o meno.
Una nozione come questa è quella contenuta proprio nella Model law
dell’UNICITAL.
Con specifico riferimento al terzo sarebbe opportuno sottolineare che il
termine “party” non è inteso in senso tecnico e cioè quale centro di interessi
rilevante nella dinamica contrattuale, ma in senso atecnico, inteso quale
terza persona, neutrale ed imparziale, che interviene nella procedura di
conciliazione limitandosi ad aiutare le parti nella ricerca di una soluzione
ovvero a suggerire una proposta di accordo, comunque mai vincolante.
Alla luce di questa osservazione si suggerisce una diversa formulazione
dell’espressione third party con una più appropriata di third person (cfr.
UNCITRAL Model Law) ovvero con quella di third neutral person.

Art. 3 Referral to mediation
Questa norma merita una notevole apprezzamento; tuttavia al fine di
rendere davvero efficace il ruolo del Giudice nel rinviare le parti in
conciliazione sarebbe necessario prevedere un obbligo formativo nei
confronti della Magistratura. Le circostanze del caso cui fa riferimento
l’articolo 3 della proposta, in base alle quali il giudice dovrebbe valutare
l’opportunità di rinviare le parti in conciliazione, non possono essere
soltanto dettate da considerazioni di carattere giuridico e processuale ma
nascono anche da valutazioni di carattere psicologico e comunicativo, che
richiedono necessariamente conoscenze ad hoc. Ciò sarebbe utile anche al
fine di evitare tentativi strumentali di decongestione dei carichi pendenti.

Art. 4 Ensuring the quality of mediation
La formulazione della norma del comma 2 è piuttosto dubbia; sarebbe
dunque il caso di modificarla al fine di evitare possibili malintesi.
Il principio espresso, peraltro condivisibile, dovrebbe chiarire infatti che i
conciliatori debbano essere adeguatamente formati al fine di illustrare alle
parti le possibili diverse modalità di gestione della procedura, in modo tale
da permettere loro di compiere un’eventuale scelta consapevole. In questo
senso l’espressione “in the manner expected by the parties” potrebbe essere
correttamente intesa nel senso di modo in cui la conciliazione è stata
prospettata alle parti nel momento in cui queste hanno inteso ricorrervi. In
altre parole andrebbe garantito che i conciliatori abbiano un’adeguata
formazione nelle diverse tecniche di conciliazione in modo tale da
illustrarle alle parti e conseguentemente espletare il relativo incarico in
conformità alle caratteristiche del modello prescelto.
La formulazione dell’articolo potrebbe essere, dunque, la seguente: “… un
corso di formazione sulle tecniche di conciliazione per permettere alle parti
….”

Art. 6 Confidentiality of mediation
Innanzitutto andrebbe previsto un obbligo generale di riservatezza (cfr. art.
9 UNCITRAL Model law).
Per quanto ovvio, andrebbe specificato che l’obbligo di riservatezza
dovrebbe sussistere sia in capo ai conciliatori che a tutti coloro che si
occupano della procedura, anche a prescindere dall’esistenza di un giudizio
civile.
In ordine alle singole circostanze sulle quali ricade l’obbligo di riservatezza
merita di essere sottolineata la previsione di cui al punto d) laddove si fa
riferimento alla proposta fatta dal conciliatore.
Tenuto conto delle osservazioni a margine della definizione di
conciliazione, con particolare riferimento alle due modalità di gestione
della procedura (facilitative mediation e evaluative mediation) sarebbe il
caso di specificare che tale proposta rappresenta soltanto una possibilità,
condizionata dal modello procedurale prescelto. Si potrebbe dunque
intervenire sul testo specificando “eventuale proposta fatta dal
conciliatore”.

Art. 7 Suspension of limitation periods
Anche questa previsione deve essere considerata con favore, pur se la
pratica rende meno rilevante l’applicazione di questo principio. Data la
celerità delle procedure di conciliazione, l’incidenza del relativo tentativo è
estremamente ridotta rispetto al decorso dei termini per la proposizione
della domanda giudiziale. Tuttavia è condivisibile il principio ispiratore che
sottolinea la necessità di rendere preferibili ed efficaci gli strumenti di
giustizia alternativa.
Una della cause previste di interruzione è l’accordo delle parti nell’esperire
il tentativo di conciliazione: sarebbe auspicabile, nel rispetto delle
legislazioni dei singoli stati membri prevedere che l’evento interruttivo
della prescrizione sia non tanto la comune manifestazione di volontà delle
parti quanto l’atto con il quale una parte comunichi all’altra la richiesta di
avvio della procedura di conciliazione, purché ciò avvenga con mezzo
idoneo a dimostrarne l’avvenuta ricezione.
La norma richiamata, peraltro, non fa alcun riferimento, tra le possibilità di
suspension of limitation periods, alla possibilità di predisporre una
mediation clause.
Tenuto conto di tali osservazioni la norma andrebbe correttamente
riformulata in questo senso: “… il decorso dei termini di prescrizione può
essere sospeso o interrotto anche quando viene presentata una domanda di
conciliazione o sulla base di una clausola inserita nel contratto o sulla base
di un accordo, a controversia già insorta, ovvero quando il ricorso alla
conciliazione dia disposto dal giudice, o l’obbligo di ricorrere alla
conciliazione sia previsto dalla legge nazionale dello Stato Membro”.