In proposito va evidenziato che la pratica di reiterare vincoli preordinati all'espropriazione, contenuti nel piano regolatore generale ovvero in altri strumenti urbanistici è stata stigmatizzata dalla Corte Costituzionale che ritenne illegittima la disciplina recata dalla legge urbanistica (l. 17 agosto 1942 n. 1150), che prevedeva la possibilità di imporre alla proprietà privata, in sede di pianificazione, vincoli preordinati all'espropriazione, senza alcun limite temporale e senza indennizzo (cfr., Corte Cost., 29 maggio 1968, n. 55).
A seguito di tale decisione, il legislatore intervenne con la legge 19 novembre 1968 n. 1187, il cui art. 2 ha provveduto a fissare in cinque anni il periodo entro cui detti vincoli devono, a pena di decadenza, tradursi in piani esecutivi o, comunque, deve avviarsi in modo certo il procedimento espropriativo.
Secondo la giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato (sez. V, 3 gennaio 2001 n. 3; sez. IV, 17 aprile 2003 n. 2015 e 22 giugno 2004 n. 4426, Ad. Pl. 24 maggio 2007, n. 7), costituiscono vincoli soggetti a decadenza solo quelli preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificazione, e che dunque svuotino il contenuto del diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero diminuendone in modo significativo il suo valore di scambio.
La decadenza del vincolo non esclude che l'amministrazione, mediante il ricorso al procedimento per l'adozione delle varianti agli strumenti urbanistici, possa reiterare i vincoli preordinati all'espropriazione, fornendo congrua motivazione in ordine alla persistenza delle ragioni di interesse pubblico che sorreggono la predetta reiterazione (Cons. Stato, sez. IV, 24 settembre 1997 n. 1013 e 22 giugno 2004 n. 4397), così da escludere un contenuto vessatorio o comunque ingiusto dei relativi atti.
Si è, in particolare, affermato quanto all'adeguatezza della motivazione, che, se in linea di principio può ritenersi giustificato il richiamo alle originarie valutazioni, in occasione di una prima reiterazione, quando il rinnovato vincolo sia a sua volta decaduto, è necessario che la motivazione dimostri che l'autorità amministrativa abbia provveduto ad una ponderata valutazione degli interessi coinvolti, esponendo le ragioni (riguardanti il rispetto degli standard, le esigenze della spesa, ovvero specifici accadimenti riguardanti le precedenti fasi procedimentali) che inducano ad escludere profili di eccesso di potere e ad ammetterne l'attuale sussistenza dell'interesse pubblico (Consiglio di Stato sez. IV, 06 maggio 2013, n. 2432).
In quest’ottica, la Corte Costituzionale (cfr., sent. 20 maggio 1999 n. 179 e 18 dicembre 2001 n. 411) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 l. n. 1150/1942 e 2, primo comma, della legge n. 1187/1968 "nella parte in cui consente alla "amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione di indennizzo".
Secondo la Corte, "la reiterazione in via amministrativa dei vincoli decaduti (preordinati all'espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo) non sono fenomeni di per sé inammissibili dal punto di vista costituzionale", ma tale fenomeno assume aspetti patologici allorché vi sia una indefinita reiterazione dei vincoli o una loro proroga sine die, o quando il limite temporale sia indeterminato.
In presenza delle suddette situazioni patologiche, sorge obbligo di indennizzo che "opera una volta superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla legge (periodo di franchigia)". In altre parole, la permanenza del vincolo oltre i termini previsti, e senza alcun inizio serio dell'espropriazione, "non può essere dissociato... dalla previsione di un indennizzo".
L’Ad. Pl. del Consiglio di Stato (cfr., sent. 7/2007 cit.) ha poi chiarito che la mancata previsione dell’indennizzo non inficia la legittimità del provvedimento amministrativo; inoltre, ha precisato che l'Autorità urbanistica, quando decide la reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio, deve procedere con una ponderata valutazione degli interessi coinvolti, esponendo le ragioni - riguardanti il rispetto degli standard, le esigenze della spesa, specifici accadimenti riguardanti le precedenti fasi procedimentali - che inducano ad escludere profili di eccesso di potere e ad ammettere l'attuale sussistenza dell'interesse pubblico.
Il T.A.R. Lombardia nella fattispecie sottoposta alla sua attenzione ritiene che le delibere impugnate abbiano adeguatamente esposto le ragioni che hanno imposto la reiterazione del vincolo, evidenziando la permanenza dell’interesse dell’amministrazione comunale a procedere all’acquisizione delle “residue” aree di proprietà della società ricorrente, nonché spiegando le ragioni della mancata attivazione del procedimento espropriativo (sussistenza di un lungo contenzioso con il proprietario). Né può ritenersi che non sia adeguatamente rappresentato l’interesse pubblico che consente la reiterazione del vincolo, in considerazione della zona interessata che è soggetta da tempo a vincoli ambientali e paesaggistici, in considerazione proprio della particolare esigenza pubblica sottesa.