Il sistema di indennizzi e risarcimenti previsto dal testo unico espropri è attualmente centrato sulla corrispondenza del valore venale del bene espropriato. Il serio ristoro che l'art. 42 Cost., comma 3, riconosce al sacrificio della proprietà per motivi d'interesse generale, si identifica con il giusto prezzo nella libera contrattazione di compravendita.
Con il t.u. espropri la disciplina dell’indennità di espropriazione è contenuta nel capo VI, del tit. II, che concerne appunto l’entità dell’indennità di espropriazione e che si divide in quattro sezioni: 1) disposizioni generali; 2) opere private di pubblica utilità; 3) determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area edificabile o edificata; 4) determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area non edificabile (Cass., 27 giugno 2017, n. 15939).
L’art. 32 del nuovo t.u. riporta i criteri da seguire nella determinazione del valore del bene.
Salvi gli specifici criteri previsti dalla legge, l’indennità di espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio, valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista, anche nel caso di espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà o di imposizione di una servitù.
Il valore del bene è determinato senza tenere conto delle costruzioni, delle piantagioni e delle migliorie, qualora risulti, avuto riguardo al tempo in cui furono fatte e ad altre circostanze, che esse siano state realizzate allo scopo di conseguire una maggiore indennità. Si considerano realizzate allo scopo di conseguire una maggiore indennità le costruzioni, le piantagioni e le migliorie che siano state intraprese sui fondi soggetti ad esproprio dopo la comunicazione dell’avvio del procedimento.
Il proprietario, a sue spese, può asportare dal bene i materiali e tutto ciò che può essere tolto senza pregiudizio dell’opera da realizzare.
L’art. 32 riafferma principi consolidati in giurisprudenza: in materia di espropriazione per pubblica utilità, non influiscono sulla misura dell’indennità che compete all’espropriato i vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione, poiché la liquidazione dell’indennizzo relativo, non essendo effettuata all’epoca dell’imposizione dei medesimi, deve intendersi rinviata al momento in cui si perfeziona il procedimento ablatorio del suolo assoggettato al vincolo (Cass. civ., sez. I, 15.12.1980, n. 6485).
Poiché sussiste un indissolubile collegamento tra l’indennità di espropriazione ed il momento del trasferimento della proprietà del bene, attraverso l’espropriazione per pubblica utilità, nel senso che l’ammontare dell’indennità deve determinarsi con riferimento alla data del provvedimento ablatorio, non è possibile alcuna statuizione su detto ammontare, se il provvedimento di espropriazione non è sopravvenuto, costituendo tale sopravvenienza presupposto indefettibile e, quindi, condizione dell’azione di determinazione definitiva dell’indennità (Cass. civ., Sez. U, 29.11.1999, n. 833).
Ai fini della determinazione dell'indennità espropriativa, il legislatore ha prescelto, quale unico criterio per individuare la destinazione urbanistica del terreno espropriato, quello dell'edificabilità legale, per cui un'area va ritenuta edificabile quando essa risulti classificata come tale dagli strumenti urbanistici al momento della vicenda ablativa, senza possibilità legale di edificazione tutte le volte in cui la zona sia stata concretamente vincolata da un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) dallo strumento urbanistico vigente. Nè rileva, in tali ultime ipotesi, che la destinazione zonale consenta la costruzione di edifici e attrezzature pubblici, atteso che l'attività di trasformazione del suolo per la realizzazione dell'opera pubblica rimessa inderogabilmente all'iniziativa pubblica non è assimilabile al concetto di edificazione agli effetti indennitari, da intendersi come estrinsecazione dello "ius aedificandi" connesso al diritto di proprietà (Cass., 17 maggio 2017, n. 12375; Cass., 23 maggio 2014, n. 11503; Cass., 24 marzo 2011, n. 6873; Cass., 17 maggio 2005, n. 10343).
Tuttavia per i suoli non aventi natura edificatoria, rivestono valore a fini indennitari e risarcitori le possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.), sempre che siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Cass., 15 giugno 2017, n. 14889).
Rende, invece, edificabile l'area oggetto di esproprio agli effetti indennitari una variante urbanistica riguardante un'intera porzione del territorio, incidendo su una generalità di beni e su una pluralità indifferenziata di soggetti, con funzione conformativa, che classifichi l'ambito in zona D8, dove sia consentita l'edificazione di insediamenti commerciali e industriali superando la pregressa destinazione agricola.
La determinazione del valore del fondo può avvenire sia con il metodo analiticoricostruttivo, teso ad accertare il valore di trasferimento del fondo, sia con il metodo sintetico-comparativo, volto invece a desumere dall’analisi del mercato il valore commerciale del fondo.
Il criterio sintetico-comparativo è quel metodo d’indagine che consente di determinare il valore di un bene, deducendolo da quello altrove di fatto attribuito a un altro bene che presenti caratteristiche simili a quella oggetto di accertamento. In tale procedimento è essenziale l’identificazione di beni omogenei da utilizzare per la comparazione, l’individuazione degli eventuali elementi di diversità e lo svolgimento degli opportuni calcoli necessari a perequare il risultato alle caratteristiche proprie del bene oggetto di accertamento.
Il metodo analitico-ricostruttivo deve, invece, fondarsi sull’analisi di tutti gli elementi che concorrono in concreto alla determinazione del costo di trasformazione del terreno da valutare e alla formazione del valore venale di quanto si costruisce sull’area (entità del costruibile in base agli indici urbanistici d’edificabilità, costo di costruzione e degli oneri di urbanizzazione, tributi, spese tecniche e generali, oneri di acquisizione delle aree, utile d’impresa in rapporto alla redditività dei capitali investiti e a un tasso d’attualizzazione per il tempo occorrente a realizzare le costruzioni).
Altro aspetto che questo metodo deve considerare è la densità volumetrica esprimibile in base all’indice di fabbricabilità del piano di zona in cui è incluso.
Non è possibile stabilire tra i due criteri (analiticoricostruttivo e sintetico-comparativo) un rapporto di regola/eccezione, essendo la scelta rimessa al prudente apprezzamento del giudice, purché il metodo di stima sia improntato, per quanto possibile, a criteri di effettività. In realtà il metodo sinteticocomparativo (in base al quale si utilizzano le indicazioni dei prezzi pagati per immobili omogenei) viene spesso preferito; tuttavia non è in alcun modo prescritto dalla legge, nella quale manca l’indicazione di criteri vincolanti di valutazione.
La giurisprudenza, in assenza di elementi idonei di raffronto, ha sempre infatti ammesso anche l’adozione del metodo analitico-ricostruttivo, consistente nell’individuazione del prezzo che un eventuale acquirente sarebbe disposto a sborsare indipendentemente dall’andamento del mercato (Cass. sez. lav., 28.1.1993, n. 1056, GCM, 1993, 153; Cass. sez. I, 12.10.1989, n. 4080, GCM, 1989, 10); rilevando che, nella determinazione di detto prezzo, l’obiettivo è il valore di trasformazione del suolo, quale risulta dalla differenza tra probabile valore venale dell’edificio costruibile sull’area interessata e probabile valore di costo dello stesso edificio, compresi gli oneri di urbanizzazione (Cass. sez. I, 1.9.1999, n. 9207, GCM, 1999, 1883).