Infatti, se così non fosse, inutile si rivelerebbe l'indagine sull'epoca della irreversibile trasformazione, la quale sarebbe un mero fatto giuridicamente irrilevante ai fini della produzione dell'effetto traslativo della proprietà. È noto che la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ha censurato con vigore le forme di "espropriazione indiretta" elaborate nell'ordinamento italiano anche e soprattutto in sede giurisprudenziale (come l'accessione invertita) e le ha configurate come illecito permanente perpetrato nei confronti di un diritto dell'uomo fondamentale, garantito dall'art. 1 del Protocollo addizionale n. 11 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296, senza che alcuna rilevanza possa assumere in contrario il dato fattuale dell'intervenuta realizzazione di un'opera pubblica sul terreno interessato, e non potendo giammai l'acquisizione del diritto di proprietà conseguire a un illecito (v., tra le tante, le sentenze Ventura c. Italia, 30 maggio 2000; Scordino c. Italia, 15 e 29 luglio 2004; Acciardi c. Italia, 19 maggio 2005; De Angelis c. Italia, 21 dicembre 2006; Pasculli c. Italia, 4 dicembre 2007).
In un'altra sentenza (Scordino c. Italia n. 3, 6 marzo 2007) la Corte di Strasburgo ha ritenuto che "lo Stato dovrebbe, prima di tutto, adottare misure tendenti a prevenire ogni occupazione fuori legge dei terreni, che si tratti d'occupazione sine titulo dall'inizio o di occupazione inizialmente autorizzata e divenuta sine titulo successivamente ... Inoltre lo Stato convenuto deve scoraggiare le pratiche non conformi alle norme delle espropriazioni lecite, adottando disposizioni dissuasive e ricercando le responsabilità degli autori di tali pratiche. In tutti i casi in cui un terreno è già stato oggetto d'occupazione senza titolo ed è stato trasformato in mancanza di decreto d'espropriazione, la Corte ritiene che lo Stato convenuto dovrebbe eliminare gli ostacoli giuridici che impediscono sistematicamente e per principio la restituzione del terreno" (il medesimo concetto è espresso nella sentenza Carletta c. Italia, 15 luglio 2005: "il meccanismo dell'espropriazione indiretta permette in generale all'amministrazione di passare oltre le regole fissate in materia di espropriazione, col rischio di un risultato imprevedibile o arbitrario per gli interessati, che si tratti di un'illegalità dall'inizio o dì un'illegalità sopraggiunta in seguito").
La Corte europea (v. anche le sentenze Sciarrotta c. Italia, 12 gennaio 2006; Serrao c. Italia, 13 gennaio 2006; Dominici c. Italia, 15 febbraio 2006; Sciselo c. Italia, 20 aprile 2006; Cerro sas c. Italia, 23 maggio 2006) si dice anche "convinta che l'esistenza in quanto tale di una base legale non basti a soddisfare il principio di legalità", non potendo l'espropriazione indiretta comunque costituire un'alternativa ad un'espropriazione "in buona e dovuta forma".
Inoltre il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, nella risoluzione adottata il 14 febbraio 2007 (ResDH 2007-3), ha invitato "le autorità italiane a proseguire i loro sforzi e ad adottare rapidamente tutte le misure necessarie addizionali al fine di rimediare in maniera definitiva alla pratica della espropriazione indiretta e di assicurare che qualsiasi occupazione di terreni da parte dell'amministrazione sia conforme al principio di legalità, quale è codificato dalla Convenzione".
Una recente decisione di questa Corte (2^ sezione, 14 gennaio 2013 n. 705) ha ritenuto non più predicabile "il principio (da ultimo ribadito in Cass., Sez. 2, 16 gennaio 2007, n. 869, e in Cass., Sez. 1, 7 marzo 2008, n. 6195) secondo cui l'occupazione appropriativa per fini di pubblica utilità non seguita da espropriazione determina, comunque, l'acquisto della proprietà, in capo alla P.A., dell'area occupata per effetto della realizzazione dell'opera pubblica ... Ciò è confermato dalla presenza, nel sistema del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), di una norma, l'art. 42-bis, aggiunto dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 34, comma 1, conv., con mod., dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, il quale, anche con riguardo ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, disciplina le modalità attraverso le quali, a fronte di una utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, è possibile - con l'esercizio di un potere basato su una valutazione degli interessi in conflitto - pervenire ad una acquisizione, non retroattiva, della titolarità del bene al patrimonio indisponibile della P.A., sotto condizione sospensiva del pagamento, al soggetto che perde il diritto di proprietà, di un importo a titolo di indennizzo".
Questo nuovo orientamento è condiviso dalla sezione I della Cassazione che lo recepisce nella propria sentenza n. 1804 del 2013.
In effetti la base legale dell'istituto dell'accessione invertita (o occupazione appropriativa/acquisitiva) - già discussa evidenziandosi il suo mancato riconoscimento nel "testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità", qual è il D.P.R. n. 327 del 2001 (che ha abrogato della L. 27 ottobre 1988, n. 458, art. 3, in materia di edilizia residenziale pubblica, e della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65, in cui si è talora ravvisata la fonte del suo riconoscimento nel diritto interno) - è oggi insussistente. Una decisiva conferma viene dal già citato art. 42 bis, che non si è limitato a sanare il vizio formale che aveva determinato la dichiarazione (con sentenza della Corte cost. 7 luglio 2010 n. 293) di illegittimità costituzionale dell'art. 43 del medesimo D.P.R. del 2001 per eccesso di delega legislativa, ma ha ridisegnato alcuni profili sostanziali controversi della disciplina originaria.
In particolare, l'art. 42 bis dispone che "l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità" (nonché quando tali atti siano annullati) può disporre che sia acquisito al suo patrimonio indisponibile "non retroattivamente" e dietro pagamento di un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale; il provvedimento di acquisizione, che "comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute", deve indicare le "circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio" e dev'essere "specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l'emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l'assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione"; l'autorità che emana il provvedimento è tenuta ad informare tempestivamente la Corte dei conti per le eventuali azioni nei confronti dei funzionari il cui comportamento ha reso necessario il ricorso al suddetto istituto; soprattutto l'art. 42 bis trova "applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione". Quest'ultima disposizione (diversamente dall'art. 43 che non si applicava alle occupazioni verificatesi prima dell'entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001: v. Cass., sez. 1, 28 luglio 2008 n. 20543) assume particolare rilievo, al punto di sovrapporsi al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 55, di cui potrebbe essere predicata ex art. 15 disp. att. c.c., l'abrogazione per incompatibilità, se interpretato nel senso che consente ancora all'Amministrazione di acquisire la proprietà dell'immobile, contro la volontà del privato e pure in mancanza di un provvedimento espropriativo ex art. 42 bis, nelle più antiche procedure non concluse con un valido provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996.
Il nuovo istituto, per come configurato dal già citato art. 42 bis, porta a compimento una lunga e complessa evoluzione normativa e giurisprudenziale, sancendo l'espunzione dal nostro ordinamento delle c.d. espropriazioni indirette, tra le quali senza dubbio rientra la c.d. accessione invertita, così come qualunque altra forma che consenta all'Amministrazione di acquisire la proprietà altrui in violazione del principio di legalità e con modalità "arbitrarie", tali dovendosi considerare quelle caratterizzate dalla mancanza di un "giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo" (v. Cedu, Ucci c. Italia, 22 giugno 2006; Belvedere Alberghiera c. Italia, 30 maggio 2000). In caso di occupazioni illegittime (ab origine o divenute tali successivamente) l'Amministrazione può legittimamente acquisire la proprietà altrui solo attivando il procedimento che si conclude con il provvedimento acquisitivo ex art. 42 bis che è sindacabile in sede giurisdizionale. Il sistema acquista in tal modo linearità e chiarezza.
Il trasferimento della proprietà privata in favore dell'Amministrazione può avvenire, oltre che a mezzo dello strumento negoziale o per usucapione, soltanto mediante il procedimento espropriativo ordinario o quello "espropriativo semplificato" previsto dall'art. 42 bis in via eccezionale. La legalità del procedimento è presupposto necessario dell'acquisto, in coerenza con una solida tradizione costituzionale che ha origine nell'art. 29 dello Statuto Albertino ("... quando l'interesse pubblico legalmente accertato lo esiga, si può essere tenuti a cedere le proprietà in tutto o in parte") e consacrazione nella Costituzione italiana (il cui art. 42, commi 2 e 3, prevede che la proprietà privata, "di cui la legge determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti", può essere espropriata, per motivi di interesse generale, "nei casi previsti dalla legge", cioè conformemente a legge). Analogamente l'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione dei diritti dell'uomo dispone che "Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale".
In entrambe le suddette forme di espropriazione il diritto sul bene si converte in diritto alla giusta indennità che il privato può far valere dinanzi al giudice ordinario (è significativo che, diversamente dall'originario art. 43 che riconosceva al privato il risarcimento del danno, il 42 bis gli riconosca un "indennizzo", oltre al risarcimento per il periodo di occupazione senza titolo).
In tutti gli altri casi in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia mancante o carente dei termini (ed. usurpativa pura) o sia annullata (c.d. usurpativa spuria) o il decreto di esproprio non sia emesso o sia annullato, l'occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell'Amministrazione si configurano come un illecito di diritto comune, ovvero come un comportamento "mero", insuscettibile di determinare il trasferimento della proprietà in suo favore, fermo il diritto al risarcimento dei danni arrecati anche in forma specifica.
La "legalità" della procedura non è garantita o soddisfatta dalla mera presenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità che sia provvista dei relativi termini, ma è necessario che questa non venga successivamente annullata (le due ipotesi sono accomunate già da Corte cost. 7 luglio 2010 n. 293) e che la procedura si concluda anche con un valido provvedimento di esproprio. Altrimenti, per acquisire comunque il bene, legalmente, l'Amministrazione ha solo il potere di attivare il procedimento dì esproprio semplificato di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis: non attivarlo fa sì che il suo comportamento in nessun modo possa configurarsi come esercizio, pure illegittimo, di una funzione pubblica, ma soltanto come invasione della proprietà privata in carenza di potere.