1) Del mutamento di destinazione d’uso nella Regione Siciliana
Va osservato che la materia del mutamento di destinazione d’uso era regolata a livello na-zionale dalla L. 28/02/1985 n. 47, recante “Norme in materia di controllo dell’attività urbanisti-co – edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive”, che, all’art. 25, ultimo comma, recitava: “Le leggi regionali stabiliscono quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazio-ni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti siano subordinati ad autorizzazione”.
Tale comma, tuttavia, è stato abrogato dall’art. 136, commi 1 e 2, D.P.R. 06/06/2001, n.380, “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, a decorrere dal 30/06/2003, (cfr. art.3, D.L. 20/06/2002, conv., con modificazioni, in L. 01/08/2002, n.185), il quale sostituisce la disposizione abrogata con l’art. 10, comma secondo, che recita: ”Le regioni stabili-scono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di im-mobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire”.
Nella Regione Sicilia, che, come è noto, ha competenza legislativa esclusiva in materia ur-banistica, il menzionato testo unico non è però applicabile, in quanto lo stesso, all’art.2, comma 1, statuisce che soltanto per le regioni a statuto ordinario i "principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico" costituiscono limite all'esercizio del-la relativa potestà legislativa concorrente, mentre, al comma 2, statuisce che le regioni a statuto spe-ciale e le province autonome "esercitano la loro potestà legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limi-ti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione".
Tuttavia, l’abrogazione dell’ultimo comma dell’art. 25 L. 47/85, effettuata dal citato testo unico sull’edilizia, deve ritenersi operante anche nella Regione Siciliana, in virtù della L.R. 10/08/1985, n. 37, recante “Nuove norme in materia di controllo dell’attività urbanistico – edi-lizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive”, che, all’art. 1, prevede che la detta legge 28 febbraio 1985, n. 47 si applica nella Regione Siciliana con le successive modifiche ed in-tegrazioni, mentre non può ritenersi vigente l’art. 10 T.U. citato, che ha sostituito in sede nazionale il comma abrogato, perché, si ripete, il T.U. non è stato recepito in ambito regionale.
In altri termini, nonostante il testo unico sull’edilizia non sia stato recepito nella Regione Si-ciliana e, pertanto, non sia vigente nella nostra regione, tuttavia, nella parte in cui modifica la L. 47/85, come accaduto per l’abrogazione dell’ultimo comma dell’art. 25, ha efficacia, seppur indiret-ta e limitata a tale solo effetto, nella Regione Siciliana.
Sotto tale profilo, dunque, deve ritenersi venuto meno il filtro costituito dalla legislazione regionale, alla quale spettava, preventivamente, di fissare criteri e modalità per l’esercizio del potere di disciplina del mutamento di destinazione d’uso degli immobili.
Pertanto, ad oggi, ai sensi dell’art.10, L.R. 37/85 citata, residuerebbe unicamente l’obbligo, a carico dei Comuni, di individuare, negli strumenti urbanistici, gli ambiti del proprio territorio da assoggettare a regolamentazione per il cambio di destinazione d’uso. Tale articolo, al primo comma, dispone che: “In sede di formazione degli strumenti urbanistici generali devono essere previsti i ca-si in cui è consentita la variazione della destinazione d’uso degli immobili …(omissis)…, mentre al secondo comma, precisa che: “la variazione della destinazione d’uso degli immobili deve essere compatibile con i caratteri della zona territoriale omogenea in cui ricade l’immobile medesimo” e prosegue statuendo che: “La variazione della destinazione d’uso, ove consentita, è autorizzata dal sindaco previo parere dell’ufficio tecnico comunale e dell’ufficiale sanitario e previo conguaglio del contributo di concessione se dovuto”. Ma la novità, rispetto alla normativa statale, è data dall’ultimo comma, laddove si dispone che:  “In tutti i casi di inosservanza delle disposizioni di cui al presente articolo si applicano le sanzioni di cui all' art. 10 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ed il conguaglio del contributo di concessione se dovuto”.
Alla luce dell’impianto normativo su esposto, appare evidente che, in subiecta materia, la competenza generale rimane attribuita ai Comuni, quale espressione del più ampio potere di pianifi-cazione del territorio, e che il cambio di destinazione d’uso c.d. funzionale, o anche strutturale, an-corché eseguito mediante l’esecuzione di opere soggette ad autorizzazione, è sottoposto, a sua volta, a semplice autorizzazione, e non a concessione. Si prevede, altresì, che i cambi di destinazione d’uso, anche non conformi agli strumenti urbanistici locali e, quindi, non autorizzati né autorizzabi-li, non siano sottoposti a sanzioni penali ma a semplici sanzioni amministrative, ex art. 10 ultimo comma.
Orbene, in sintesi è possibile affermare che laddove i sindaci si siano avvalsi, in sede di for-mazione degli strumenti urbanistici comunali, della facoltà di prevedere i casi in cui è consentita la variazione della destinazione d’uso degli immobili e questi siano eseguiti senza la realizzazione di opere per le quali sia necessario il rilascio della concessione edilizia, il regime cui sono assoggettati è quello autorizzatorio, mentre, in assenza di indicazioni in tal senso negli strumenti urbanistici vi-genti, non vige alcun obbligo di ottenere un’autorizzazione sindacale per poter effettuare modifiche alla destinazione d’uso degli immobili.
Per completezza, va chiarita la fondamentale distinzione, innanzi utilizzata, circa il muta-mento di destinazione d’uso:
a) STRUTTURALE, ovvero conseguito attraverso la realizzazione di opere, soggette in ogni caso al regime normativo che governa le modalità di realizzazione delle opere medesime (conces-sione o autorizzazione, a seconda dei casi).
b) FUNZIONALE, ovvero conseguito senza realizzazione di opere edilizie allo stesso preordi-nate.
Tale distinzione è fondamentale per le diverse discipline giuridiche che ne conseguono.
Infatti, si ripete, solo il c.d. mutamento di destinazione d’uso funzionale, approdo di un tra-vagliato iter giurisprudenziale, può schematizzarsi, secondo il Consiglio di Stato (Sez. V, dec.  n. 159 del  10/03/1999), nella “sostanziale libertà di introdurre qualsivoglia utilizzo dei fabbricati esi-stenti, benché la nuova insedianda funzione non risulti difforme (non consentita) dalle previsioni del piano regolatore. Il mutamento d’uso c.d. funzionale, dunque, non è subordinato ad alcun prov-vedimento autorizzatorio o concessorio”.
2) Del mutamento di destinazione d’uso degli immobili adibiti ad uso turistico - alberghiero nella Regione Siciliana
Per ciò che concerne gli immobili destinati ad attività turistico alberghiera, la problematica del mutamento di destinazione d’uso porta con se un altro annoso problema, l’esistenza o meno, ed il possibile superamento di un vincolo di destinazione ex lege.
In passato tale vincolo di destinazione relativamente alle strutture turistico - alberghiere po-teva essere ravvisato, nella vigenza dell’art. 8 della L. 217/83, che lo prevedeva per le “…aree de-stinate agli insediamenti turistici produttivi…” nell’ambito delle previsioni dei piani regolatori ge-nerali e relative varianti, salva “…la rimozione su istanza del proprietario ove venisse comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva e previa restituzione di contributi ed agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti ed opportunamente rivalutati, qualora lo svinco-lo avvenisse prima della scadenza del finanziamento agevolato…”
A seguito dell’abrogazione di tale riferimento normativo, avvenuto con l’art. 11 della L. 135/01, non è più ipotizzabile l’esistenza di un vincolo permanente di destinazione d’uso turistico, sia per la carenza del dato normativo, sia perché, laddove esistente, sarebbe in stridente contrasto con il citato art. 10 L.R. 37/85, sia, in ultimo, perché affermare il contrario paleserebbe una viola-zione dell’art. 41 del testo Costituzionale, secondo cui l’iniziativa economica privata è libera, e dell’art. 42 dello stesso testo, in quanto limiterebbe in modo pregiudizievole il godimento della pro-prietà privata (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 ottobre 2002 n. 5856).
Devesi ritenere, pertanto, che non sia ravvisabile un vincolo di destinazione d’uso alberghie-ro permanente e, se posto, lo stesso sarebbe manifestamente illegittimo in quanto privo di fonda-mento giuridico e/o contrastante con norme di pari o superiore grado, nella gerarchia delle fonti normative.
Né è, per altro verso, ipotizzabile che tale vincolo sia desumibile dall'art. 8 L. 47/85, vigente nella Regione Siciliana per l’espresso richiamo che ne fa l’art. 4 L.R. 37/85, il quale, nel definire le variazioni essenziali include tra esse (primo comma lett. a) il mutamento di destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal D.M. 1444/68. Risulta, infatti, evidente che tale norma disciplina gli interventi edilizi abusivi che vengono identificati a fini sanzionatori e, dunque, di fattispecie completamente diverse da quelle che trovavano la loro disciplina nell'art. 25 L. 47/85, il quale demandava alla legge regionale di stabilire quali mutamenti connessi o non connessi a tra-sformazioni fisiche dell'uso degli immobili o di loro parti fossero da subordinare a concessione ov-vero ad autorizzazione, ed oggi nel citato art. 10, L.R. 37/85.
Al riguardo il generale orientamento della giurisprudenza è nel senso che, in mancanza della disciplina regionale, e tenuto conto che nel sistema delineato dalla legge n. 47/1985 (v., oltre agli artt. 7 e 8 e 25, anche gli artt. 15 e 26) il mutamento di destinazione d'uso degli immobili ha rilievo sotto il profilo urbanistico solo se accompagnato da opere edilizie, non sia necessaria la concessione (Cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 luglio 2003, n. 4102).
Pertanto, nel caso in cui non si ritenga economicamente vantaggioso proseguire l’esercizio dell’attività turistico - alberghiera, appare corretto inoltrare formale istanza al Sindaco del Comune di competenza, a norma dell’art. 10 della L.R. nr 37/85, al fine di ottenere un mutamento di destina-zione della stessa, previo eventuale conguaglio del contributo di concessione se dovuto, senza che il Sindaco, previo parere dell’ufficio tecnico e dell’ufficiale sanitario, possa entrare nel merito delle scelte imprenditoriali. Fatta salva la possibilità di denegare il mutamento di destinazione nell’ipotesi in cui lo stesso appaia manifestamente incompatibile con il tessuto urbanistico (Cons. di Stato, sez. V, n. 77/97), sempre che, nello strumento urbanistico comunale vigente, determinate zone abbiano funzione di servizio.
Tale incompatibilità non può, comunque, essere ravvisata qualora, l’immobile inizialmente adibito ad uso alberghiero, venga poi trasformato a residenze di civile abitazione, senza la realizza-zione di ulteriori opere edilizie.
3) Del mutamento di destinazione d’uso conseguito mediante accesso a finanziamenti pubblici
Riguardo la regolamentazione dell’accesso ai finanziamenti concessi dalla Regione Sicilia, per il rilancio dell’attività turistico - alberghiera, nell’ambito del POR 2000-2006, si osserva che l’art. 81 della L.R. 32 del 23/12/2000, rubricato “Vincolo alla destinazione ed all’investimento”, prevede espressamente che il vincolo di destinazione d’uso perduri anche nell’ipotesi di estinzione anticipata fino alla durata del mutuo. Nel caso di mutamento di destinazione d’uso o di chiusura anticipata dell’attività, l’Assessorato Regionale del Turismo, delle comunicazioni e dei trasporti, revoca il contributo e procede al recupero delle somme erogate opportunamente rivalutate.
Affinché si proceda alla revoca del contributo nel caso di mutamento di destinazione d’uso, è necessario che tale mutamento si verifichi nell’arco temporale coincidente con la durata del mu-tuo, non potendo, neanche per tale aspetto, ammettersi l’esistenza di un vincolo apposto sine die.
Diversamente opinando si incorrerebbe in un grave violazione dei principi costituzionali, di libertà dell’iniziativa economica privata ed eccessiva coercizione della proprietà privata. Quindi in aderenza ai dettami costituzionali tale norma non può che essere interpretata in tal senso.
Avv. Antonio Maria Cardillo