I
 

Tribunale Padova, 13 luglio 2003 (ord.) - Amenduni Estensore - Franzoi c. Moda Resy s.a.s., Maretto e altri.

Società - Società di persone - Società in accomandita semplice - Amministratori - Revoca giudiziale per giusta causa - Ammissibilità.

       (Codice civile, artt. 2315, 2259, 3o comma).

      

Società - Società di persone - Società in accomandita semplice - Amministratori - Revoca giudiziale - Provvedimento d’urgenza - Ammissibilità.

(Codice civile, artt. 2315, 2259, 3o comma; codice di procedura civile, art. 700).

Società - Società di persone - Società in accomandita semplice - Amministratori - Revoca giudiziale dell’unico accomandatario - Scioglimento della società - Esclusione.

(Codice civile, artt. 2315, 2259, 3o comma, 2323).

Società - Società di persone - Società in accomandita semplice - Nomina di amministratore giudiziario - Ammissibilità.

       (Codice civile, artt. 2315, 2259, 3o comma).
 

       In una società in accomandita semplice ciascun socio, anche accomandante, ha il potere di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa dell’amministratore ex art. 2259, c. 3, c.c. (1).

       Nelle società di persone, in assenza di una previsione analoga a quella dettata dall’art. 2409 c.c. per le società di capitali, la revoca giudiziale dell’amministratore può essere chiesta, laddove ne ricorrano i presupposti, in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. (2).

       In una società in accomandita semplice, la revoca giudiziale dell’amministratore che sia unico socio accomandatario non determina l’automatico scioglimento della società (3).

In una società in accomandita semplice, in caso di revoca per giusta causa dell’amministratore che sia unico socio accomandatario, l’Autorità Giudiziaria ha la facoltà di disporre la nomina di un amministratore giudiziario (4).

II
 

Tribunale Milano, 14 febbraio 2004 (sent.) - Riva Crugnola Giudice Unico - Maugini c. Bruno.

Società - Società di persone - Nomina di amministratore giudiziario - Ammissibilità - Esclusione.

       (Codice civile, art. 2259, 3o comma).
 

Nelle società di persone non è ammissibile la nomina di un amministratore giudiziario (5).

I
 

       Il G.D. osserva:

       Preliminarmente occorre risolvere la questione della revocabilità dell’amministratore per giusta causa nel caso di società in accomandita semplice.

Al riguardo, sia la giurisprudenza di merito che la Suprema Corte hanno fornito al problema una soluzione positiva: abbandonando il richiamo dell’art. 2409 c.c., dettato esclusivamente per società di capitali, si ritiene applicabile alla società in accomandita semplice, per effetto del rinvio operato dall’art. 2315 c.c., la disposizione dell’art. 2259 c.c. (cfr. Cass. 12.8.1976 n. 3028; Trib. Verona 9.6.94 in Le Società 1994, 1399; Trib. Napoli 2.3.94 ivi 1994, 1074; Trib. Milano 21.10.93 ivi 1994, 364).

       La invocabilità della cautela attraverso la misura atipica ex art. 700 c.p.c. si giustifica, poi, per l’assenza di una previsione per le società di persone analoga a quella dell’art. 2409 c.c..

       Di recente, con la pronuncia del 19.11.2001 n° 15197, la Suprema Corte ha affermato che «alle società in accomandita semplice è applicabile la disposizione, dettata per le società semplici, dell’art. 2259, 3 co. c.c., che consente al singolo socio di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa dell’amministratore, la quale non incide, peraltro, sulla qualità di socio dello stesso» (Cass. 15197/2001 in Giur. it. 2002, 772).

       Riconosciuta pertanto la revocabilità dell’amministratore della s.a.s., per intervento dell’Autorità Giudiziale, si pone l’ulteriore problema se alla revoca debba seguire, ove richiesta, la nomina di un amministratore giudiziale.

       Al riguardo la giurisprudenza di merito pare divisa tra una soluzione negativa ed una contraria, la quale ultima, a parere del giudicante, parte da una prospettiva sicuramente più conforme al sistema: intendiamo riferirci a quelle pronunce della giurisprudenza di merito che affermano che il Tribunale, allorché provveda su richiesta del socio accomandante a revocare in via d’urgenza l’amministratore per giusta causa, abbia la possibilità di nominarne uno giudiziario; tale soluzione si giustificherebbe in ragione del fatto che, se l’ordinamento prevede che in una s.a.s. solo i soci accomandatari possano essere amministratori e che si possa affidare la gestione ad un amministratore provvisorio nei casi di morte od esclusione degli stessi, non vi è motivo per non ritenere percorribile una simile soluzione nell’ipotesi di revoca per giusta causa.

       La revoca dell’amministratore che sia unico socio accomandatario non determina, tuttavia, l’automatico scioglimento della società, in quanto la perdita della qualità di amministratore non comporta anche la perdita della qualità di socio, rappresentando due fenomeni diversi, che operano su piani altrettanto diversi.

       Venendo a trattare dei presupposti per la concedibilità della misura cautelare invocata, occorre, in primo luogo, procedere all’individuazione delle condotte violative dei doveri incombenti sull’amministratore per poi addivenire ad un giudizio in termini di giusta causa.

       Si assume da parte ricorrente che il patrimonio immobiliare complessivo delle società M.R. s.a.s. e M.S. s.a.s., stimabile nel 1992 in circa 7.330 milioni di lire, è stato ceduto nel corso degli anni da parte degli amministratori a varie società così causando per la M.R. s.a.s. un danno di almeno 1.600 milioni di lire; a tale danno deve aggiungersi, sempre secondo parte ricorrente, un ulteriore danno per un finanziamento concesso da Mediovenezie per oltre 600 milioni; si assume che la liquidità ricavata dalle cessioni e dai finanziamenti non è stata utilizzata dagli amministratori per ridurre le passività esistenti, con ciò aggravando la situazione della società M.R. s.a.s..

       Oltre a questi profili, parte ricorrente ha indicato alcune operazioni compiute dagli amministratori in conflitto di interessi (p. 9 atto di citazione).

       Infine, sempre secondo il ricorrente, la contabilità è stata tenuta in maniera irregolare ed i bilanci non risultano veritieri.

       Tutte queste valutazioni sono state raccolte ed esposte nella relazione redatta dal dott. C. per conto del ricorrente.

       Accanto a queste condotte, il procuratore dell’attore assume che il proprio assistito non è stato posto in condizione di esercitare i suoi diritti amministrativi, per non aver rispettato la sig.ra M. il patto intervenuto in data 26.11.96 con il quale si era convenuto l’obbligo per quest’ultima di comunicare al F. le date in cui sarebbero intervenute le cessioni degli immobili di M.R. s.a.s., per consentire all’attore di partecipare agli atti di compravendita.

       Orbene, partendo da quest’ultimo addebito, non si può invocare tale comportamento sul piano della giusta causa, dal momento che esso rappresenta violazione di un patto parasociale, estraneo alla gestione in sé della società; tale condotta potrebbe al massimo consentire al F. di ottenere una pronuncia di condanna al risarcimento del danno per inadempimento contrattuale, ma non può sicuramente integrare gli estremi della giusta causa di revoca.

       Di diversa rilevanza sono le violazioni denunciate dall’attore, sufficienti ad integrare il requisito della giusta causa per la revoca dell’amministratore.

       Ricorre, nel caso di specie, il requisito del fumus boni iuris in quanto le condotte poste in essere dai soci accomandatari e in particolare dalla sig.ra M., sufficientemente dimostrate, ai fini della cautela, attraverso la relazione allegata, valgono ad integrare un’ipotesi di mala gestio.

       L’irreversibile deterioramento dei rapporti societari, reso evidente anche dall’esperimento dell’azione di responsabilità, nonché l’aggravamento della situazione passiva della società sono elementi sufficienti a giustificare l’adozione del provvedimento cautelare sotto il profilo del periculum in mora.

       Deve pertanto ritenersi accoglibile il ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso dal socio F. per la revoca dell’amministratore della s.a.s. M.R., con conseguente nomina di un amministratore da parte del Tribunale. (Omissis).
 

II
 

       Omissis. – Il presente procedimento, trattenuto in decisione dal g.i. in funzione di giudice unico ex art. 281-quinquies c.p.c., concerne la domanda svolta, con atto di citazione notificato il 16.7.1998, da M., quale socia della società semplice P., per l’accertamento di giusta causa di revoca ex art. 2259 c.c. dei poteri gestori di straordinaria amministrazione spettanti, secondo i patti sociali, all’altro socio, il coniuge separato B., e per la conseguente «conferma» di provvedimento cautelare già emesso da questo Tribunale inter partes il 19.6.1998: domanda in particolare fondata sulla omissione da parte del B. del rendiconto ex art. 2261 c.c. e accompagnata da richiesta di «verifica delle scritture contabili e bancarie della società semplice P. al fine di individuare l’entità dei debiti della medesima contratti e l’esatta riferibilità degli stessi ai legittimi creditori». Le domande dell’attrice sono state contrastate dal convenuto, il quale si è costituito alla prima udienza, richiamando le difese già svolte in sede cautelare in ordine alla riferibilità esclusivamente ai propri apporti del patrimonio immobiliare della P. ed alla già piena conoscenza in capo all’attrice delle vicende finanziarie della società, proprietaria di un solo immobile in Sardegna, e conseguentemente chiedendo la revoca del provvedimento cautelare 19.6.1998 ed il rigetto delle domande dell’attrice. (Omissis).

       Rispetto a tali posizioni delle parti reputa il giudicante debba essere ritenuta sussistente giusta causa di revoca dei poteri di straordinaria amministrazione della società P. attribuiti al B. dai patti sociali. Come già illustrato nell’ordinanza cautelare del 19.6.1998, va infatti condiviso l’orientamento per il quale «la giusta causa di revoca dell’amministratore societario può derivare anche da fatti non integranti inadempimento, ma richiede pur sempre un quid pluris rispetto al mero dissenso (alla radice di ogni recesso ad nutum), ossia esige situazioni sopravvenute (provocate o meno dall’amministratore stesso) che minino il pactum fiduciae, elidendo l’affidamento inizialmente riposto sull’idoneità dell’organo di gestione» (così Cass. n. 11801/1998): situazioni sopravvenute che, appunto, nella fattispecie vanno individuate nel complessivo mutamento dei rapporti personali tra i due soci già coniugi e nella conseguente conflittualità tra gli stessi insorta in particolare in relazione alla misura ed all’assolvimento degli obblighi di mantenimento dell’uno verso l’altra e verso il figlio e in relazione alla necessità di sistemazione dei complessivi rapporti di dare e avere inerenti il finanziamento dei vari enti societari nei quali entrambi erano o sono tuttora coinvolti. Conflittualità che dunque, come ampiamente illustrato dall’attrice, impedisce di valutare oggi l’esercizio dei poteri di gestione straordinaria da parte del convenuto di per sé idoneo ad assicurare gli interessi di entrambi i soci e della stessa società, in sostanza risolvendosi, nei fatti, in decisioni liquidatorie del cespite sociale assunte dal B. (non più sul presupposto di una complessiva comunanza di interessi con l’altro socio ma) sul presupposto del personale interesse alla soddisfazione dei propri crediti verso la società per conferimenti (in particolare corrispondenti alla provvista per l’acquisto dell’immobile sito in Sardegna), interesse al quale viene a contrapporsi in via diretta l’interesse della M. ad un accertamento non «unilaterale» della effettiva situazione patrimoniale della società in particolare per quanto riguarda la consistenza proprio dei crediti del coniuge separato verso la società.

       E in tale specifico sopravvenuto contesto, dunque, le stesse risultanze istruttorie del giudizio di merito deponenti da un lato per la sostanziale ricostruibilità ad opera della socia attrice dei costi riferibili alla società tramite la documentazione prodotta (solo) in giudizio dal convenuto e dall’altro per la effettiva sussistenza di crediti del B. verso la società per conferimenti (cfr. deposizione dei testi escussi), non paiono al giudicante elidere la valutazione di sostanziale sopravvenuta inadeguatezza della gestione del B. rispetto agli interessi dell’altra socia, essendo in discussione nella presente controversia non tanto la consistenza dei diritti patrimoniali dei soci ovvero la necessità di vendita del cespite sociale quanto la idoneità del B., ormai in posizione di insanabile conflitto con l’altro socio per motivi attinenti allo scioglimento del vincolo coniugale, a svolgere il mandato gestorio nell’interesse dell’intera compagine. Idoneità che, va ancora aggiunto, pare di per sé smentita, oltre che dallo stesso sopravvenuto mutamento dei rapporti di cui si è detto, anche dalle modalità per così dire «informali» di adempimento dei patti sociali emerse in causa, modalità che, per loro natura, se potevano essere adeguate ad una situazione di comunanza coniugale degli interessi dei due soci, non trovano più giustificazione nella attuale situazione di radicale contrasto tra i due. Al riguardo va fatto particolare riferimento alla disposizione di cui alla clausola VII dei patti sociali, nella quale si prevede la chiusura degli esercizi sociali al 31 dicembre di ogni anno e si dispone che «entro i quattro mesi successivi alla chiusura di ciascun esercizio dovrà essere redatto a cura dell’amministratore il rendiconto della gestione»: rendiconto di fatto mai comunicato dal B. alla M. prima della introduzione del presente giudizio e neppure predisposto nelle more della lite, essendosi in particolare il convenuto limitato a produrre in causa documentazione di costi (in parte già trasmessa alla M. prima dell’inizio della lite), nonché copia degli estratti conto bancari e delle dichiarazioni fiscali (cfr. le produzioni di entrambe le parti), affermando l’avvenuta destinazione dei proventi della locazione dell’immobile sardo (ad altra società facente capo ai coniugi) a non meglio precisate ristrutturazioni dello stesso immobile curate dalla M., senza dunque adempiere in modo puntuale all’obbligo specifico di formale rendiconto, su di lui gravante secondo i patti sociali e al cui rispetto era stato ripetutamente richiamato dall’attrice.

       Per quanto fin qui detto, in accoglimento delle conclusioni di cui sub 1 e 2 dell’attrice, va dunque disposta ex art. 2259 c.c. la richiesta revoca per giusta causa dei poteri di straordinaria amministrazione spettanti al B., secondo i patti sociali, nella società P., con assorbimento in tale pronuncia del provvedimento cautelare 19.6.1998 di questo Tribunale recante in via d’urgenza la medesima disposizione. Non può invece essere accolta la ulteriore domanda dell’attrice di cui sempre al punto 2 delle conclusioni definitive di tale parte per l’attribuzione di tali poteri «se del caso» «in forma congiunta con l’attrice» ovvero per la nomina di amministratore giudiziario, la relativa pronuncia risolvendosi in una disposizione integrativa e sostitutiva della originaria convenzione sociale non ammissibile secondo la disciplina della società semplice nel vigente ordinamento. (Omissis).
 

 (1-5)   La revoca giudiziale per giusta causa dell’amministratore unico accomandatario di società in accomandita semplice.

Sommario: 1. I fatti oggetto delle controversie. Premessa. – 2. La revoca giudiziale per giusta causa dell’amministratore nella società in accomandita semplice. – 3. Revoca giudiziale per giusta causa ex art. 2259, c. 3, c.c. e provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c.. – 4. (segue) Revoca giudiziale per giusta causa dell’amministratore unico accomandatario e scioglimento della società. – 5. La nomina di un amministratore giudiziario. – 6. (segue) Riflessioni critiche e spunti interpretativi a seguito della recente riforma della disciplina della società a responsabilità limitata. – 7. Conclusione.
 

1.         I fatti oggetto delle controversie. Premessa. – Nella fattispecie oggetto delle decisioni del Tribunale di Padova, il sig. F. diveniva il 27 novembre 1995 socio accomandante, con una quota pari al 25% del capitale sociale, della M.R. s.a.s.. In pari data, il sig. M. acquistava una quota pari al 50% del capitale, divenendone socio accomandatario, nonché amministratore. La precedente amministrazione si era caratterizzata per il compimento di atti valutabili come idonei a pregiudicare o compromettere la consistenza del patrimonio sociale, costituito essenzialmente dai numerosi immobili di proprietà, e ad occultarne il deterioramento. Secondo il ricorrente, la contabilità era tenuta in modo irregolare e i rendiconti sociali erano redatti in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 2423 ss. c.c., evidenziando omissioni e/o alterazioni di poste sia attive sia passive. Il sig. M. gestiva la M.R. s.a.s. per un certo lasso di tempo, durante il quale la società non promuoveva alcuna azione di responsabilità nei confronti del precedente amministratore. A seguito della morte del sig. M., succedevano nella sua quota del 50% del capitale sociale gli eredi ex lege: la figlia del sig. M. diveniva unica socia accomandataria, nonché amministratrice, della società. Secondo il ricorrente, la nuova amministratrice procedeva a vendere gli immobili della società con operazioni realizzate in conflitto di interessi. Non solo: la liquidità ottenuta sarebbe stata utilizzata, anziché per ridurre le passività accumulate ed evitare alla società di maturare nuove perdite, per restituire i finanziamenti concessi dalla socia accomandataria e dai suoi parenti alla società. Sempre secondo il ricorrente, la contabilità sociale continuava a essere tenuta non rispettando i criteri di legge e i rendiconti sociali evidenziavano una situazione patrimoniale ed economica non rispondente al vero. Il sig. F. promuoveva l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori che si erano succeduti nella gestione della M.R. s.a.s. per i danni arrecati al patrimonio sociale dalla violazione dei doveri loro imposti dalla legge e dal contratto sociale e, in corso di causa, chiedeva la revoca giudiziale per giusta causa ex artt. 2315 e 2259, c. 3, c.c., in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c., della figlia del sig. M. dalla carica di amministratrice e la nomina di un amministratore giudiziario. La revoca veniva concessa, con l’ampia ordinanza che si annota, dal Giudice Istruttore e confermata per relationem dal Collegio in sede di reclamo. Il Tribunale provvedeva, inoltre, a nominare un amministratore giudiziario.

         Nel caso preso in esame dal Tribunale di Milano, la sig.ra M., socia della società semplice P., contestava, in particolare, all’altro socio, il coniuge separato sig. B., al quale erano attribuiti dai patti sociali i poteri di straordinaria amministrazione, l’omissione del rendiconto ex art. 2261 c.c. sul medesimo gravante secondo i menzionati patti sociali e al cui rispetto era stato ripetutamente richiamato dalla medesima. La sig.ra M., dopo avere ottenuto un provvedimento cautelare con cui il Tribunale aveva disposto, in via d’urgenza, la revoca per giusta causa dei poteri di straordinaria amministrazione spettanti al sig. B., promuoveva il relativo giudizio di merito, chiedendo, in particolare, oltre alla conferma del provvedimento cautelare già emesso, la nomina di un amministratore giudiziario. Il Tribunale confermava la richiesta di revoca per giusta causa dei poteri di straordinaria amministrazione spettanti al sig. B., ma negava l’ammissibilità della nomina di un amministratore giudiziario.

         In conclusione, il Tribunale di Padova ha ritenuto (1) che, in una società in accomandita semplice, il potere di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa dell’amministratore ex art. 2259, c. 3, c.c. spetti anche al socio accomandante in virtù del rinvio operato dall’art. 2315 c.c. e (2) che, in assenza di una previsione analoga a quella dettata dall’art. 2409 c.c. per le società di capitali, la revoca giudiziale dell’amministratore può essere chiesta, laddove ne ricorrano i presupposti, in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c.. Ha, inoltre, precisato (3) che la revoca giudiziale dell’amministratore che sia unico socio accomandatario non determina l’automatico scioglimento della società e statuito (4) che, in caso di revoca per giusta causa dell’amministratore che sia unico socio accomandatario, l’Autorità Giudiziaria ha la facoltà di disporre la nomina di un amministratore giudiziario.

         Il Tribunale di Milano ha ritenuto, invece, (5) che nelle società di persone non è ammissibile la nomina di un amministratore giudiziario.

         Il presente lavoro ha preso spunto dal contrasto rilevato tra le pronunzie del Tribunale di Padova, da un lato, e del Tribunale di Milano, dall’altro, in merito alla possibilità di nominare un amministratore giudiziario nelle società personali. Poiché, peraltro, la pur autorevole decisione del Tribunale di Milano è stata sul punto motivata in modo succinto, nel prosieguo l’analisi degli istituti richiamati prenderà le mosse dalle argomentazioni formulate dal Tribunale di Padova.

         È, altresì, doveroso anticipare, da un lato, che l’eventuale soluzione della questione non può non tenere conto dell’influenza che può eventualmente esercitare sulla disciplina delle società personali il nuovo modello di società a responsabilità limitata connotato in senso più spiccatamente personalistico. E, dall’altro, che la soluzione che si intenda adottare in merito alla possibilità di nominare un amministratore giudiziario nelle società personali potrebbe costituire un eventuale criterio interpretativo per la soluzione del problema che si presenta in termini non dissimili nella normativa recentemente dettata in tema di società a responsabilità limitata.
 

         2.    La revoca giudiziale per giusta causa dell’amministratore nella società in accomandita semplice. – La disciplina della revoca giudiziale per giusta causa dell’amministratore di società di persone è contenuta nell’art. 2259, c. 3, c.c. in tema di società semplice, la cui applicazione alla società in nome collettivo deriva dal rinvio operato dal legislatore con l’art. 2293 c.c. [1].

         La revoca giudiziale può essere richiesta da ciascun socio [2], quando sussista una giusta causa [3], «in ogni caso», vale a dire quali che siano state le modalità di nomina dell’amministratore [4], con il contratto sociale, con atto separato, oppure con l’applicazione, nel silenzio del contratto sociale, del modello legale di amministrazione disgiuntiva di cui all’art. 2257, c. 1, c.c..

         Il Tribunale di Padova ha ritenuto che il potere di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa spetti, in una società in accomandita semplice, oltre che ai singoli soci accomandatari, anche ai soci accomandanti.

         Con riferimento ai soci accomandatari non si sono posti dubbi, in considerazione della loro equiparazione ai soci di società in nome collettivo (art. 2318, c. 1, c.c.).

         Si è, invece, dubitato che il potere di cui al menzionato art. 2259, c. 3, c.c. possa essere attribuito anche ai soci accomandanti [5], in primo luogo, a causa delle peculiari caratteristiche di questi ultimi, in quanto soci “capitalisti” che godono del beneficio della responsabilità limitata alla quota conferita (art. 2313 c.c.). Si è sottolineato, inoltre, che, tra i poteri di controllo spettanti ai soci accomandanti ed elencati dal legislatore nella disposizione di cui all’art. 2320 c.c., non è stato richiamato quello previsto dall’art. 2259, c. 3, c.c. [6]. Si è sostenuta l’incompatibilità dell’istituto della revoca giudiziale per giusta causa dell’amministratore con la specifica normativa dettata per la società in accomandita semplice, facendo leva sull’art. 2319 c.c. che statuisce, per la revoca dell’amministratore nominato con atto separato, una disciplina diversa rispetto a quella prevista per la società semplice dall’art. 2259, c. 2, c.c. [7]. Un’ulteriore opinione ha ripreso le argomentazioni svolte già sotto l’impero del codice abrogato [8] per affermare che, attraverso la revoca, si verrebbe ad attribuire al socio accomandante un’influenza determinante nella vita della società e, pertanto, il riconoscimento del potere di chiedere la revoca giudiziale per giusta causa costituirebbe riconoscimento di un potere di amministrazione, come tale vietato ai sensi dell’art. 2320 c.c. [9]. Si è, in particolare, rimarcato che i soci accomandanti non potrebbero revocare ai sensi dell’art. 2259, c. 3, c.c. l’unico socio accomandatario (o tutti gli accomandatari), in quanto la società in accomandita semplice senza soci accomandatari non potrebbe funzionare (art. 2318, c. 2, c.c.) [10].

         L’orientamento giurisprudenziale [11] e dottrinale [12] maggioritario sembra, però, condividere la soluzione adottata dal Tribunale di Padova, secondo la quale anche al socio accomandante deve attribuirsi la facoltà di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa dell’amministratore. In particolare, la dottrina più attenta ha replicato alle contrarie argomentazioni appena esposte, osservando, in primo luogo, che il potere di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa dell’amministratore - la cui previsione è ricompresa tra le disposizioni in tema di società semplice - è espressamente attribuito a «ciascun socio» e, pertanto, anche al socio la cui responsabilità sia stata pattiziamente limitata ai sensi dell’art. 2267 c.c. [13]. Il mancato richiamo del potere previsto dall’art. 2259, c. 3, c.c. tra quelli espressamente attribuiti dall’art. 2320 c.c. al socio accomandante, inoltre, non può essere considerato indice di una precisa scelta del legislatore, soprattutto là dove, come nel caso della società in accomandita semplice, quest’ultimo ha provveduto a formulare espressamente una norma di rinvio a tutte le disposizioni relative alla società in nome collettivo, in quanto compatibili (art. 2315 c.c.) [14]. A tal proposito, si è rilevato [15] che, se non si riconoscesse ai soci accomandanti il potere di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa dell’amministratore, si porrebbe una limitazione ingiustificata ai poteri di questi ultimi, sempre ove si ritenga che - in virtù del rinvio di cui all’art. 2315 c.c. - anche ai soci accomandanti spettino i poteri di controllo di cui all’art. 2261 c.c. [16]. Si sottolinea, ancora, che l’incompatibilità con la specifica disciplina dettata per la società in accomandita semplice dall’art. 2319 c.c. riguarda solo ed esclusivamente il secondo comma dell’art. 2259 c.c. - secondo cui la revoca dell’amministratore nominato con atto separato, dovendo avvenire in base alle norme sul mandato [17], dovrebbe richiedere il consenso di tutti i soci - e non si estende al primo e al terzo comma che paiono pienamente compatibili con le disposizioni e i principi concernenti la società in accomandita semplice e a questa applicabili in forza del richiamo contenuto nell’art. 2315 c.c. [18]. Inoltre, il potere di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa dell’amministratore può essere visto come una difesa contro la cattiva amministrazione in relazione al potere di controllo di cui all’art. 2320 c.c., diretto ad impedire, attraverso il ricorso all’Autorità Giudiziaria [19], il protrarsi del dannoso comportamento dell’amministratore [20]. Pertanto, attribuire al socio accomandante il potere di cui all’art. 2259, c. 3, c.c. significa attribuire a colui che ha un interesse normativamente riconosciuto al controllo della gestione (a sua volta finalizzato alla tutela di un interesse alla corretta gestione) [21] uno strumento per esercitare tale controllo, se pure indiretto, sull’efficienza e la correttezza della direzione dell’attività [22]. Si ritiene, comunque, che l’esercizio del potere di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa dell’amministratore non costituisca atto di amministrazione e, pertanto, nessuna contraddizione sia ravvisabile con il principio per cui l’amministrazione nelle società in accomandita semplice spetta esclusivamente ai soci accomandatari (art. 2318, c. 2, c.c.), in quanto il legislatore ha previsto l’intervento necessario dei soci accomandanti non solo per ogni modificazione del contratto sociale (art. 2252 c.c.), ma altresì per la nomina degli amministratori con il contratto sociale e per la nomina e la revoca degli amministratori nominati con atto separato (art. 2319 c.c.) [23]. Con riferimento alla società in accomandita semplice con un unico socio accomandatario (su cui mi intratterrò più diffusamente infra, § 5), si è, infine, rimarcato che l’attribuire al socio accomandante la facoltà prevista dall’art. 2259, c. 3, c.c. costituisce l’unica forma di tutela che quest’ultimo può azionare per reprimere gli abusi commessi da parte dell’unico socio accomandatario e, pertanto, da parte dell’unico amministratore [24].
 

         3.    Revoca giudiziale per giusta causa ex art. 2259, c. 3, c.c. e provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c.. – Il Tribunale di Padova, inoltre, ha riconosciuto legittima la richiesta in via d’urgenza - tramite lo strumento cautelare atipico di cui all’art. 700 c.p.c. - di revoca per giusta causa dell’amministratore (unico) socio accomandatario.

         Nello stesso senso si esprimono la giurisprudenza [25] e la dottrina [26] prevalenti.

         Si è osservato che, a favore di tale soluzione, milita, in primo luogo, la constatazione che il legislatore non ha dettato per le società personali alcuna misura cautelare tipica, contrariamente a quanto previsto per le società di capitali e, conseguentemente, deve valere il rispetto della funzione residuale che si è voluta attribuire al provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. [27].

         Si è, inoltre, evidenziato che la revoca immediata - atteso che l’amministratore contestato conserva tutti i suoi poteri fino al momento della pronuncia della sentenza definitiva di revoca - consentirebbe di evitare che la gestione della società risenta delle ripercussioni negative conseguenti alla permanenza in carica di quest’ultimo per tutta la durata del giudizio ordinario di revoca [28].

         Si è, infine, rimarcato che, se la richiesta di revoca giudiziale dell’amministratore accomandatario è ammissibile in via ordinaria, la stessa deve ritenersi ammissibile anche in via d’urgenza, posto che il provvedimento ex art. 700 c.p.c. mira a fare valere provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito [29].
 

         4.    (segue) Revoca giudiziale per giusta causa dell’amministratore unico accomandatario e scioglimento della società. Nulla quaestio nel caso in cui fosse revocato dalla carica di amministratore uno solo dei soci accomandatari: la sostituzione dell’accomandatario revocato comporterà l’applicazione del regime di amministrazione disgiuntiva per gli altri soci appartenenti alla stessa categoria [30].

         Problemi particolari pone l’ipotesi in cui la richiesta di revoca giudiziale riguardi l’amministratore unico accomandatario. Un’opinione sostiene che tale revoca, pur possibile, dovrebbe comportare l’automatico scioglimento della società per impossibilità di funzionamento e, precisamente, per sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale ai sensi dell’art. 2272, c. 1, n° 2, c.c. (richiamato per la società in nome collettivo dall’art. 2308 c.c. al quale rinvia l’art. 2323 c.c.) [31]. Tale opinione fa leva, in particolare, sulla disposizione secondo cui è indispensabile per il regolare funzionamento della società l’esistenza della duplice categoria di soci, accomandanti e accomandatari, con la conseguenza che il venire meno della categoria dei soci accomandatari rende impossibile il regolare funzionamento della società, originando una causa di scioglimento ai sensi dell’art. 2308 c.c. [32]. Secondo questa impostazione, intervenuta la revoca e, conseguentemente, lo scioglimento della società, spetterà ai soci attivarsi per la nomina di un liquidatore; in caso di mancato accordo, gli stessi dovranno richiederne la nomina al Presidente del Tribunale ai sensi dell’art. 2275 c.c..

         In merito allo scioglimento della società, il Tribunale di Padova si limita ad osservare che «la perdita della qualità di amministratore non comporta anche la perdita della qualità di socio, rappresentando due fenomeni diversi, che operano su piani altrettanto diversi» [33]. Il rapporto di società deve essere, infatti, tenuto distinto da quello di amministrazione soggetto ad autonoma disciplina, essendo regolato, ai sensi dell’art. 2260 c.c., dalle norme sul mandato [34]. Dal rapporto di amministrazione derivano, pertanto, diritti, poteri, obblighi e responsabilità diversi e distinti da quelli che derivano dallo status di socio, tanto che la violazione degli obblighi imposti all’amministratore può determinare la revoca dalla carica e l’azione di risarcimento dei danni, mentre la violazione degli obblighi in capo al socio può determinare lo scioglimento del vincolo sociale [35]. La revoca dell’amministratore non genera esclusione dalla società dell’unico socio accomandatario, in quanto la decadenza dalla carica di amministratore è evento diverso da quello che determina lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio. Solo nel caso in cui l’unico socio accomandatario sia non solo revocato dalla carica di amministratore, ma altresì escluso dalla società, i soci accomandanti sono legittimati a nominare un amministratore provvisorio ai sensi dell’art. 2323, c. 2, c.c. [36].

         Resta in ogni caso da esaminare il problema dell’impasse che, in relazione all’amministrazione, si viene a determinare in una società in accomandita semplice in cui viene revocato dalla carica di amministratore l’unico socio accomandatario, ma lo stesso non viene escluso dalla società [37], di guisa che se, da un lato, non possono sorgere problemi di funzionamento relativi al regime di responsabilità illimitata di almeno uno dei soci - che è, come visto, l’unico profilo esaminato dalla pronunzia patavina -, dall’altro si pone il problema dell’attribuzione del potere di amministrazione. Infatti, da un lato, opera il principio secondo cui nella società in accomandita semplice l’amministrazione non può essere affidata ad estranei ai sensi dell’art. 2318, c. 2, c.c. [38] e, dall’altro, non si viene a determinare esattamente la fattispecie in cui i soci accomandanti sono legittimati a nominare un amministratore provvisorio ai sensi dell’art. 2323, c. 2, c.c. [39].

         Un recente orientamento giurisprudenziale sembra ritenere che lo scioglimento della società per impossibilità di funzionamento possa essere quanto meno ritardato, concedendo al socio accomandante - che ha richiesto e ottenuto la revoca dell’amministratore unico accomandatario - l’autorizzazione a compiere «singoli affari», richiamando quanto disposto dall’art. 2320, c. 1, c.c. [40].

         Viene comunque da chiedersi se, anche nel caso in cui l’unico socio accomandatario sia solo revocato dalla carica di amministratore e non escluso dalla società, non si possa nominare un amministratore provvisorio [41] secondo il combinato disposto degli artt. 2319 e 2323, c. 2, c.c.. Si può, infatti, sostenere che la norma di cui all’art. 2323, c. 2, c.c. non deve ritenersi eccezionale ed è, pertanto, suscettibile di applicazione analogica [42]. Se si ammette che sia principio generale quello secondo cui l’ordinamento si preoccupa di conservare l’originario contratto sociale voluto dalle parti - come espressione del generale principio di conservazione del contratto - tanto che concede alle stesse, nel caso in cui venga meno una categoria di soci caratterizzante la stessa disciplina, un termine per porvi rimedio e ricostituire la categoria autorizzando la nomina di un amministratore provvisorio, non si vede perché non si possa pervenire al medesimo risultato nel caso in cui l’unico socio accomandatario sia semplicemente revocato dalla carica di amministratore, senza che venga meno la categoria dei soci accomandatari [43]. La norma prevede che la nomina dell’amministratore provvisorio sia rimessa alla volontà dei soci e, pertanto, ai sensi dell’art. 2319 c.c. [44], si richiederebbe il consenso dell’unico socio accomandatario privato del potere di gestione [45]. Così ammettendo, i soci tutti avrebbero un termine di sei mesi per concordare l’ingresso di un ulteriore socio accomandatario al quale affidare l’amministrazione della società. Solo nel caso in cui non si trovasse l’accordo nel termine di sei mesi, la società dovrebbe sciogliersi per la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale ai sensi dell’art. 2272, c. 1, n° 2, c.c. [46].
 

         5.    La nomina di un amministratore giudiziario. – Il Tribunale di Padova ha ritenuto di condividere parzialmente la tesi da ultimo riferita e di potere, peraltro, nominare, contestualmente alla revoca immediata dell’amministratore unico socio accomandatario, un amministratore giudiziario, precisando che, «se l’ordinamento prevede che in una s.a.s. solo i soci accomandatari possano essere amministratori e che si possa affidare la gestione ad un amministratore provvisorio nei casi di morte od esclusione, non vi è motivo per non ritenere percorribile una simile soluzione nell’ipotesi di revoca per giusta causa». In senso contrario all’ammissibilità della nomina di un amministratore giudiziario, ma in una società semplice, si è, invece, espresso il Tribunale di Milano nel secondo dei provvedimenti che si annota, ritenendo che tale soluzione contrasterebbe con la disciplina vigente.

         Riprendendo l’analisi delle argomentazioni prospettate sul punto, non pare condivisibile quell’orientamento [47] che risolve negativamente la questione, facendo leva sul tenore letterale dell’art. 2259, c. 3, c.c. il quale prevede la revoca giudiziale dell’amministratore per giusta causa, ma non la sua sostituzione. La conseguenza dello scioglimento del vincolo sociale [48] che viene fatta discendere dal non avere il legislatore espressamente contemplato la possibilità di nominare nelle società personali un amministratore giudiziario sembra, infatti, eccessiva, soprattutto alla luce di considerazioni di carattere sistematico: se si accoglie, in particolare, la tesi secondo cui l’interesse che la normativa in tema di revoca giudiziale dell’amministratore per giusta causa nelle società personali intende perseguire è quello di tutelare l’interesse alla conservazione della società, al proseguimento della sua attività di impresa e alla sua corretta amministrazione, si deve anche accettare l’idea che, nel caso in cui si verifichi un vuoto gestorio nell’amministrazione della società in conseguenza di un provvedimento giurisdizionale di revoca per giusta causa, tale interesse debba e possa trovare un’adeguata e consequenziale tutela.

         Non paiono, tuttavia, condivisibili nemmeno quegli orientamenti che ammettono la possibilità di nominare un amministratore giudiziario, ricorrendo all’applicazione analogica vuoi dell’art. 1105, c. 4, c.c., vuoi dell’art. 2409 c.c..

         Vi è stato sul tema un primissimo orientamento che, in considerazione del vuoto normativo sul punto e al fine di garantire la continuità nella gestione sociale e di evitare, pertanto, che il perdurare del disaccordo tra i soci potesse portare allo scioglimento della società per la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale ai sensi dell’art. 2272, c. 1, n° 2, c.c., ha ritenuto di optare per l’applicazione in via analogica della disciplina prevista in materia di comunione dall’art. 1105, c. 4, c.c. [49]. Secondo tale impostazione, l’ipotesi di comunione senza amministratore e l’ipotesi di società personale il cui amministratore sia stato revocato ex art. 2259 c.c. sarebbero accomunate da una medesima situazione, vale a dire dall’impossibilità di funzionamento o dalla paralisi della gestione [50]. Tale orientamento non resiste, però, alla critica di chi nega l’ammissibilità del ricorso in via analogica all’art. 1105, c. 4, c.c., in quanto radicali sono le differenze strutturali e funzionali che contraddistinguono la comunione dalla società [51]. Per limitarsi ad alcune soltanto di quelle ritenute più evidenti, l’art. 1105 c.c. è norma finalizzata alla conservazione ed al godimento del bene comune, cosa ben diversa dall’amministrazione di un’impresa sociale che comporta il rischio della gestione e la responsabilità per le obbligazioni sociali. Si reputa, inoltre, che il verificarsi dei presupposti di applicazione della disposizione che attribuisce, in tema di comunione, all’Autorità Giudiziaria il potere di nominare un amministratore (art. 1105, c. 4, c.c.), riassumibili nella mancata adozione delle misure di ordine gestorio per contrasti sorti tra i comunisti, comporti, nella disciplina delle società personali, l’applicazione delle specifiche norme relative allo scioglimento del vincolo sociale (art. 2272, c. 1, n° 2, c.c.) [52].

         Del pari, l’orientamento giurisprudenziale [53] e dottrinale [54] maggioritario nega che si possa colmare il vuoto normativo presente nella disciplina delle società personali in conseguenza della revoca giudiziale dell’amministratore per giusta causa, ricorrendo all’applicazione analogica dell’art. 2409 c.c.. Si ritiene, infatti, che nella disciplina delle società personali non vi sia alcuna lacuna, proprio in quanto i poteri di controllo e di intervento attribuiti ai soci sono tali da assicurare il buon funzionamento della società grazie alla sola iniziativa dei medesimi che può spingersi fino a chiedere la revoca giudiziale, anche mediante il ricorso all’art. 700 c.p.c., dell’amministratore che abbia commesso eventuali abusi [55]. Si evidenzia, altresì, la collocazione sistematica dell’art. 2409 c.c., che non è espressamente richiamato da alcuna norma che regola le società personali [56] e che, dopo la recente riforma del diritto delle società di capitali, non è più oggetto di rinvii né di richiami neppure da parte della disciplina relativa alla società a responsabilità limitata [57]. La nuova collocazione sistematica fornisce, altresì, ulteriori elementi per ritenere la norma eccezionale e, come tale, non suscettibile di applicazione analogica ex art. 14 preleggi [58]: infatti, a seguito della recente riforma, la denunzia al Tribunale non è più lo strumento ordinario e generale per attivare il controllo giudiziario nelle società di capitali, ma si presenta come rimedio tipico e forse, dunque, eccezionale per le sole società per azioni e in accomandita per azioni. Tanto è vero che, secondo l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale prevalente, il legislatore, nel momento in cui, nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata, ha inteso dare rilievo centrale alle persone dei singoli soci [59], ha al contempo ritenuto di non dovere più rinviare, per il caso di gravi irregolarità nella gestione, all’art. 2409 c.c. [60], ma di prevedere un’apposita disciplina (art. 2476, c. 3, c.c.) [61]. Posizione, invero, contrastata da quell’orientamento giurisprudenziale e dottrinale [62], secondo cui il procedimento ex art. 2409 c.c. continuerebbe ad applicarsi alle società a responsabilità limitata di maggiori dimensioni, dove il collegio sindacale è obbligatorio, in quanto a favore di tale soluzione deporrebbero, in primo luogo, il rinvio dettato dall’art. 2477, c. 4, c.c. alle disposizioni in tema di società per azioni relative al collegio sindacale tra le quali è ricompreso l’art. 2409 c.c.; in secondo luogo, l’iniziativa e il ruolo affidati al collegio sindacale nel prodecimento di denunzia al Tribunale; e, infine, soprattutto la tutela di interessi generali che il controllo giudiziale garantisce, tutela che, secondo questo orientamento, non può essere sostituita da un provvedimento cautelare di revoca degli amministratori lasciato all’iniziativa dei soci [63]. Sempre per sostenere l’inammissibilità dell’applicazione analogica dell’art. 2409 c.c. alle società personali, una parte della dottrina e della giurisprudenza avanza la tesi che il procedimento di denunzia al Tribunale sarebbe posto a tutela dell’interesse pubblico alla corretta gestione dell’impresa [64], interesse che, nel diverso ambito delle società personali, secondo tale impostazione, potrebbe ritenersi indirettamente protetto dal correttivo del regime della responsabilità illimitata e solidale dei soci per l’adempimento delle obbligazioni sociali [65]. Un’ulteriore argomentazione fa, invece, leva sulla «concezione contrattualistica» che informerebbe le società personali, in base alla quale la realizzazione dell’interesse comune sarebbe rimessa esclusivamente alla volontà dei soci, per escludere la possibilità di nominare amministratore un soggetto terzo estraneo alla compagine sociale [66] - che, inoltre, non potrebbe mai essere illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali [67] - e, quindi, per concludere che è inammissibile ricorrere in via analogica all’art. 2409 c.c. per nominare nelle società personali un amministratore giudiziario. Ancora, si è fatta discendere da un’asserita natura di volontaria giurisdizione del procedimento di denunzia al Tribunale [68] l’incompatibilità con il procedimento contenzioso di cui all’art. 2259, c. 3, c.c. [69]. Un’ultima argomentazione a favore del carattere eccezionale dell’art. 2409 c.c. e, pertanto, della sua inapplicabilità in via analogica si è desunta dalla originaria scelta del legislatore di prevedere specifiche ed eccezionali ipotesi di nomina giudiziale di amministratori: ed, infatti, oltre al menzionato art. 2409 c.c., il legislatore aveva previsto la possibilità di nominare un amministratore giudiziario nel caso di inosservanza da parte dell’imprenditore degli obblighi imposti dall’ordinamento corporativo nell’interesse della produzione in modo da determinare grave danno all’economia nazionale (art. 2091 c.c.) [70])
 

         6.    (segue) Riflessioni critiche e spunti interpretativi a seguito della recente riforma della disciplina della società a responsabilità limitata. – L’eventuale soluzione del problema dell’ammissibilità della nomina di un amministratore giudiziario non può non tenere conto, come si è anticipato, dell’influenza che può esercitare sulla disciplina delle società personali il nuovo modello di società a responsabilità limitata connotato, come si è visto, in senso più spiccatamente personalistico. Il legislatore, con l’accentuazione del significato contrattuale dei rapporti sociali, ha voluto decisamente accentuare la natura privata del controllo su tali società [71], demandandolo, oltre che al collegio sindacale laddove obbligatorio o statutariamente previsto, a ciascun socio sul modello di quanto previsto nelle società personali. In tale contesto acquistano significato, da un lato, la disposizione ai sensi della quale i soci che non partecipano all’amministrazione si vedono riconosciuti penetranti diritti di informazione e di controllo (art. 2476, c. 2, c.c.) [72], dall’altro, quella che ha attribuito a ciascun socio non solo la legittimazione ad esperire l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori, ma soprattutto, per quel che rileva in questa sede, la facoltà di chiederne in via cautelare [73] la revoca in presenza di gravi irregolarità [74] nella gestione della società (art. 2476, c. 3, c.c.), nonché il mancato richiamo del controllo giudiziale ex art. 2409 c.c.. L’introduzione della nuova tutela cautelare non può esimere l’interprete dal chiedersi se, comunque, il socio possa chiedere giudizialmente la revoca degli amministratori in presenza del possibile diverso presupposto della giusta causa, applicando in via analogica l’art. 2259, c. 3, c.c. dettato in tema di società personali [75]. Una risposta affermativa potrebbe derivare, in primo luogo, dalla considerazione che, nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata, il legislatore ha inteso dare rilievo centrale alle persone dei singoli soci; in secondo luogo, dalla circostanza che, tra le materie riservate alla competenza degli stessi (art. 2479, c. 2, c.c.) [76], manca una riserva del potere di revoca degli amministratori in merito alla quale i soci sono chiamati a pronunciarsi all’unanimità o a maggioranza, diversamente da quanto previsto nella disciplina della società per azioni dall’art. 2364, c. 1, n° 2, c.c. [77]; e, infine, dall’argomento secondo cui la facoltà della revoca giudiziale per giusta causa dell’amministratore può farsi rientrare tra i poteri di controllo che spettano a ciascun socio nell’ambito del rapporto con ogni amministratore [78]. Per contro, si può osservare che, in una prospettiva in cui viene accentuato il carattere personalistico del modello legale, il fatto che il legislatore, da un lato, non abbia ritenuto di richiamare la disposizione di cui all’art. 2259, c. 3, c.c. e, dall’altro, abbia espressamente attribuito a ciascun socio la facoltà di chiedere giudizialmente la revoca degli amministratori solo ed esclusivamente in via cautelare e in presenza del rigoroso presupposto delle gravi irregolarità nella gestione della società, può costituire un chiaro indizio della volontà di non attribuire al socio la facoltà di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa [79].

         A tale conclusione si potrebbe, tuttavia, ribattere, osservando che l’art. 2476, c. 3, c.c. disciplina solo una misura cautelare e non può essere prova della volontà consapevole di escludere un’azione ordinaria di cognizione o, ancora, che il rimedio in esame deve ricondursi alla sola ipotesi in cui le gravi irregolarità gestionali abbiano causato un danno patrimoniale alla società, essendo strumentalmente inserito, come si è già osservato, nell’azione di risarcimento dei danni provocati alla società da parte degli amministratori, mentre ben potrebbero verificarsi situazioni in cui l’amministratore violi doveri imposti dalla legge o dallo statuto i quali, pur non provocando un danno al patrimonio sociale, minino il rapporto fiduciario. Nel caso in cui si ritenesse di dovere accogliere le argomentazioni contrarie all’esperibilità del rimedio in esame, è però doveroso sottolineare che il socio di società a responsabilità limitata, cui il legislatore ha voluto dare nella nuova disciplina un rilievo centrale, godrebbe probabilmente di una tutela fortemente attenuata sia rispetto al socio di società per azioni che, pur meno centrale, può giovarsi delle potenzialità del penetrante controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. [80], sia rispetto al socio di società personale che può richiedere giudizialmente, sia in via d’urgenza sia con il giudizio ordinario di cognizione, la revoca degli amministratori in presenza della giusta causa, presupposto più ampio rispetto a quello delle gravi irregolarità gestionali che abbiano causato un danno patrimoniale alla società.

         Per tornare al problema della possibilità di nominare un amministratore giudiziario nelle società personali, l’eventuale soluzione della questione, come si è detto, non può non tenere conto delle ricadute della nuova disciplina della società a responsabilità limitata su quella delle società personali. A seguito della recente riforma, la legge non si esprime in merito alla nomina del nuovo amministratore a seguito della sua revoca ex art. 2476, c. 3, c.c.. Si è detto che l’attribuzione in capo a ciascun socio dell’azione sociale di responsabilità e della tutela cautelare di revoca degli amministratori in caso di gravi irregolarità nella gestione della società costituirebbero, nell’intenzione del legislatore, rimedi per bilanciare la mancata previsione del controllo giudiziario sulla gestione ex art. 2409 c.c.. Poiché la nuova disciplina della società a responsabilità limitata non contiene alcun riferimento all’amministrazione giudiziaria, sembra, in difetto di una esplicita previsione normativa, che, a seguito della revoca, i nuovi amministratori debbano essere nominati dall’assemblea o da chi deve esercitare tale potere a norma dell’atto costitutivo ai sensi del combinato disposto degli artt. 2475, c. 1 e 2479, c. 2, n° 2, c.c. [81]. Nel caso in cui i soci non si dovessero accordare sulla nomina del nuovo amministratore, la società si dovrebbe sciogliere per l’impossibilità di funzionamento ai sensi dell’art. 2484, c. 1, n° 3, c.c.. Si può, pertanto, concludere con la considerazione che, se il legislatore non ha ritenuto di dovere espressamente prevedere la nomina di un amministratore giudiziario nella nuova disciplina di una società il cui modello presenta caratteri fortemente personalistici, tale scelta può fortemente influenzare la soluzione che si intende adottare per risolvere la questione che si pone in termini non dissimili nelle società personali a seguito della revoca giudiziale dell’amministratore per giusta causa ex art. 2259, c. 3, c.c..

         È, altresì, evidente che la soluzione che si ritenga di dovere adottare nella disciplina delle società personali può, a sua volta, costituire un valido ciriterio interpretativo per la soluzione del problema che si presenta in termini non dissimili, come si è visto, nella normativa recentemente dettata in tema di società a responsabilità limitata a seguito della revoca cautelare degli amministratori in caso di gravi irregolarità nella gestione della società ex art. 2476, c. 3, c.c..
 

         7.    Conclusione.I limiti imposti al presente lavoro non consentono di approfondire ulteriormente una questione complessa e delicata quale quella relativa alla nomina di un amministratore giudiziario nelle società personali. Peraltro, in prima approssimazione, riterrei condivisibile l’orientamento di chi ritiene la soluzione della questione legata alla risposta che si voglia dare al problema di stabilire a chi competa nelle società personali la legittimazione a decidere di promuovere l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori e a chi spetti il suo esercizio in giudizio [82]. L’orientamento giurisprudenziale è costante [83] nell’affermare che le società di persone danno vita a centri di imputazione giuridica autonomi rispetto ai singoli soci e sono dotate di una soggettività processuale distinta da quella dei soci. Da tale premessa viene fatta discendere la conseguenza che la legittimazione ad esperire l’azione sociale di responsabilità spetta alla società medesima e, per essa, a chi ne ha la rappresentanza legale [84]. A seguire tale impostazione, sembrerebbe, pertanto, che anche la decisione in ordine all’esercizio dell’azione spetti alla società e, per essa, ai soci con decisione da assumersi all’unanimità o a maggioranza [85]. Ragionando in questi termini, il singolo socio può chiedere ex art. 2259, c. 3, c.c. ed ottenere la revoca giudiziale per giusta causa dell’amministratore, ma non potrebbe poi decidere di promuovere né esercitare l’azione sociale di responsabilità nei suoi confronti: situazione “paradossale”, in quanto non di rado il fatto doloso o colposo che ha integrato gli estremi della giusta causa di revoca dell’amministratore è lo stesso costitutivo della sua responsabilità. Tornando al caso di specie, il socio accomandante, che ha chiesto e ottenuto la revoca dell’amministratore unico accomandatario che ha commesso gravi irregolarità nella gestione, non potrebbe, pertanto, a volere accogliere la menzionata impostazione, esercitare l’azione sociale di responsabilità nei suoi confronti. La decisione di promuovere l’azione sarebbe, infatti, rimessa alla maggioranza dei soli soci accomandanti, in quanto l’unico socio accomandatario revocato dalla carica di amministratore si dovrebbe astenere per essere portatore di un interesse in palese conflitto con quello sociale. La disciplina della società in accomandita semplice contiene, come si è visto, una disposizione che consente, ai sensi dell’art. 2323, c. 2, c.c., la nomina di un amministratore provvisorio nel caso in cui vengano a mancare tutti gli accomandatari. La ratio di tale norma, che è evidentemente finalizzata alla conservazione dell’impresa [86], discende dal fatto che nella società in accomandita semplice l’amministrazione può essere conferita solo ai soci accomandatari. Pertanto, il venire a mancare di questi ultimi determina un vuoto gestorio che non può essere colmato dalla presenza dei soci accomandanti: vuoto gestorio che può derivare non solo dallo scioglimento del rapporto sociale (morte, recesso ed esclusione), ma, altresì, dalla revoca dell’amministratore unico accomandatario o di tutti gli amministratori accomandatari. La norma prevede, come si è visto nel paragrafo precedente, che la nomina dell’amministratore provvisorio sia rimessa alla volontà dei soci e, pertanto, ai sensi dell’art. 2319 c.c., si richiederebbe il consenso dell’unico socio accomandatario privato del potere di gestione. La nomina rimessa ai soci potrebbe, tuttavia, comportare che rimangano sotto silenzio le gravi irregolarità nella gestione che hanno integrato gli estremi della giusta causa di revoca dell’amministratore. Nel caso in cui il socio che ha chiesto ed ottenuto la revoca non trovi collaborazione nella restante compagine sociale connivente con l’amministratore revocato, sia pure non in palese conflitto di interessi secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza, sembrerebbe che non vi sia altra soluzione per chi ha denunciato gli inadempimenti in capo a quest’ultimo che invocare la giusta causa per recedere dalla società ex art. 2285, c. 2, c.c. [87]. è, però, evidente che il socio recedente, essendo la liquidazione della quota fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento ai sensi dell’art. 2289, c. 2, c.c., potrebbe subire un grave pregiudizio economico proprio a causa della diminuzione del valore della quota determinata dai comportamenti imputati al socio amministratore che hanno integrato gli estremi della giusta causa di revoca. Non potrebbe, peraltro, soccorrere l’esercizio dell’azione diretta di responsabilità in applicazione analogica dell’art. 2395 c.c. ed espressione del più ampio principio dell’art. 2043 c.c. [88]. Infatti, come noto, l’azione individuale è diretta ad ottenere il risarcimento dei soli danni arrecati direttamente al patrimonio del singolo socio dal comportamento colposo o doloso dell’amministratore, non anche dei danni che colpiscono il patrimonio sociale e solo in via mediata e di riflesso quello del singolo socio [89]. In una situazione quale quella qui descritta - ovvero di una società in accomandita semplice il cui unico accomandatario sia stato revocato giudizialmente per giusta causa dalla carica di amministratore su richiesta del socio accomandante al quale non spetta l’azione sociale di responsabilità e che è minoranza all’interno della categoria (composta, per di più, da parenti dell’accomandatario revocato) - è lecito chiedersi se, da un lato, si possa applicare analogicamente l’art. 2323, c. 2, c.c. [90] e se, dall’altro, possa essere nominato, ex art. 700 c.p.c., un amministratore giudiziario [91] che garantisca la necessaria indipendenza da chi si reputa responsabile del compimento di gravi irregolarità nella gestione dell’impresa sociale [92].
 

                                                                                                                          Nicola Battistini

[1] Vale fin d’ora la pena di notare la diversità del rinvio alla disciplina della s.n.c. operato dal legislatore con l’art. 2315 c.c. - che presuppone non solo la mancanza di una disciplina specifica, ma altresì la compatibilità delle norme richiamate con quelle specifiche dettate in tema di s.a.s. - rispetto al rinvio alla disciplina della s.s. operato dal legislatore con l’art. 2293 c.c., che presuppone solo la mancanza di una disciplina specifica nelle norme che regolano la s.n.c.. Rivolta, In tema di società in accomandita semplice, in questa Rivista, 2003, I, 119-120, ha sottolineato come tale diversità comporti che, nel caso di rinvio di cui all’art. 2293 c.c., «per potere trasferire la norma, è sufficiente constatare la lacuna», mentre, nel caso di rinvio di cui all’art. 2315 c.c., «non basta constatare la lacuna, ma occorre valutare la “compatibilità” della norma da trasferire. “Compatibilità” che va apprezzata non con angusto riferimento alle statuizioni specifiche nel loro enunciato testuale, ma con riguardo anche alla “intenzione” legislativa sottesa ad esse (art. 12 preleggi) e, in definitiva, al sistema della disciplina particolare».

[2] Si prescinde, pertanto, dalla manifestazione di volontà collettiva di tutti i soci o della maggioranza di essi che, al contrario, è elemento essenziale delle ipotesi di revoca volontaria o stragiudiziale. Conforme all’attuale testo dell’art. 2259, c. 3, c.c. è il nuovo testo dell’art. 2272, c. 4 dello «schema di disegno di legge per la revisione delle disposizioni generali sulla società e per la riforma delle società di persone» predisposto dalla commissione di studio per la revisione sistematica del diritto commerciale, presieduta dal dott. L. Rovelli, magistrato addetto all’ufficio legislativo del Ministero di Giustizia (così detto Progetto Rovelli). Il Progetto Rovelli ha il suo precedente in quello elaborato dalla Commissione ministeriale istituita nel 1988 e presieduta dal prof. F. Di Sabato (progetto e relazione pubblicati ne Il ruolo attuale delle società di persone e le prospettive di riforma della disciplina codicistica, a cura di F. Di Sabato, Napoli, 1993, 153).

[3] Se, in prima battuta, si può definire giusta causa ogni evento, anche non imputabile all’amministratore, che renda impossibile il naturale svolgimento del rapporto di gestione, va detto che la giurisprudenza ha fatto rientrare nel concetto di giusta causa non solo gli inadempimenti a specifici obblighi assunti, ma altresì ulteriori comportamenti i quali incidono comunque per la loro significatività e gravità sul rapporto fiduciario, rendendone intollerabile la prosecuzione. V., in particolare, Cass., 21 novembre 1998, n° 11801, in Giur. it., 1999, 562, che si è pronunciata in tema di revoca di un amministratore di società di capitali; nello stesso senso, la sentenza del Tribunale di Milano che si annota. Si osservi che la nozione di giusta causa di cui all’art. 2259, c. 3, c.c. non richiede né la gravità dell’inadempimento (diversamente da quanto previsto nell’art. 2286 c.c. in tema di esclusione del socio, che può avere luogo per inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale, qualora connotate da tale ulteriore requisito), né l’attualità dei fatti contestati (diversamente da quanto previsto nell’art. 2409 c.c. che richiede la “sussistenza”, ovvero l’attualità delle gravi irregolarità gestionali), non essendo stati tali presupposti espressamente indicati dal legislatore. In merito alle difficoltà che il socio non amministratore può incontrare per raggiungere la prova della giusta causa di revoca, anche, e soprattutto, a causa del comportamento ostruzionistico dell’amministratore, v. Bonaiti, La reazione del socio non amministratore alle irregolarità dell’amministratore nelle società in nome collettivo, in Riv. soc., 1996, 1313, che evidenzia come tale prova dovrebbe essere raggiunta anche, e soprattutto, mediante l’esercizio del diritto di controllo ex art. 2261 c.c..

[4] L’opinione dottrinale maggioritaria ritiene, infatti, che la locuzione «in ogni caso» debba intendersi «a prescindere dalle modalità della nomina dell’amministratore»: così, Cagnasso, La società semplice, in Trattato Sacco, I singoli contratti, vol. VI, Torino, 1998, 153 ss.; G.F. Campobasso, Diritto commerciale 2. Diritto delle società, ed. V, Torino, 2002, 103; Cottino-Weigmann, Società di persone e consorzi, in Trattato Cottino, Padova, 2004, 162; Cottino, Diritto commerciale Le società e le altre associazioni economiche, I, 2, Padova, 1994, 171, che precisa come «l’unico limite pare essere quello della non compromettibilità in arbitri dell’azione, di cui è – sola – competente a decidere l’Autorità Giudiziaria» (v. ora, a seguito dell’attuazione dell’art. 12 della l. 3 ottobre 2001, n° 366, gli artt. 34 ss. del d. lgs. 17 gennaio 2003, n° 5, secondo cui il potere di nomina di tutti gli arbitri deve essere, a pena di nullità, attribuito dalla clausola compromissoria ad un soggetto estraneo alla società); cfr., in giurisprudenza, in particolare, Cass., 10 marzo 1975, n° 879, in Foro it., 1976, I, 791; Trib. Roma, 9 ottobre 1987, in Società, 1988, 248. Il punto non è, però, pacifico: nel senso che la locuzione «in ogni caso» si riferirebbe, al contrario, solo alle due ipotesi di amministratore nominato nel contratto sociale e di amministratore nominato con atto separato, in quanto la revoca ex art. 2259 c.c. «non è possibile e non avrebbe senso nel caso in cui l’amministrazione spetti a tutti i soci … mancando in tale ipotesi un socio che abbia la veste di mandatario degli altri», v., in particolare, Pret. Milano, 4 giugno 1991 (ord.), in Foro pad., 1992, I, 172. V., anche, M. Ghidini, Società personali, Padova, 1972, 400 ss., laddove precisa che «l’espressione “in ogni caso” va intesa … nel senso che il diritto di ciascun socio, ad agire giudizialmente per la revoca per giusta causa, non può venir escluso dal contratto sociale (così questo non può stabilire che l’azione debba venir proposta da più soci, che rappresentino un minimo di capitale sociale)».

[5] Si consideri che, sotto il c. comm. del 1882, la revoca dell’amministratore era prevista e regolata soltanto per la s.a.p.a. (art. 119), nulla essendo disposto nella s.a.s.. La dottrina, peraltro, riteneva che, nel silenzio del contratto sociale, gli accomandanti, da un lato, potevano concorrere con gli accomandatari alla nomina degli amministratori, dall’altro non potevano concorrere per la revoca, in quanto avrebbero così esercitato un’influenza decisiva sull’andamento della società. Per un approfondimento, v. Brunetti, Trattato del diritto delle società, vol. I, Milano, 1948, 584, nt. 66.

[6] I poteri di controllo attribuiti agli accomandanti ai sensi dell’art. 2320 c.c. divergono dai poteri di controllo spettanti agli accomandatari non amministratori di cui all’art. 2261 c.c.: per i primi, infatti, si tratta - «in ogni caso» (vale a dire in assenza di ulteriori diritti riconosciuti nel contratto sociale) - di un controllo che può essere esercitato solo alla fine dell’esercizio tramite, in particolare, il diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite e di riscontrarne l’esattezza consultando i libri e gli altri documenti della società (intendendo per tali anche i libri e le scritture contabili); per i secondi si tratta, invece, di un controllo continuo che si esercita, in particolare, tramite il diritto «di avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali, di consultare i documenti relativi all’amministrazione e di ottenere il rendiconto quando gli affari per cui fu costituita la società sono stati compiuti». La diversa incisività dei poteri deriva, in particolare, dal diverso regime di responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali e dall’esistenza o meno di un obbligo di astenersi dalla concorrenza a danno della società. Trib. Milano, 30 gennaio 1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 257, ritiene che i diritti riconosciuti all’accomandante dall’art. 2320, c. 3, c.c. siano sostitutivi di quelli di cui gode il socio di s.s. ai sensi dell’art. 2261 c.c.. In dottrina, v., in particolare, F. Vassalli, Responsabilità d’impresa e potere di amministrazione nelle società personali, Milano, 1973, 219. Ritengono, invece, applicabile anche al socio accomandante l’art. 2261 c.c. in forza del rinvio di cui all’art. 2315 c.c., in dottrina, Casadei, Le società di persone, Milano, 1997, 230 ss.; Montalenti, Il socio accomandante, Milano, 1985, 201 ss.; Foschini, Il diritto dell’azionista all’informazione, Milano, 1959, 34; in giurisprudenza, in particolare, Cass., 9 luglio 1957, n° 2735, in Riv. dir. comm., 1958, II, 111, secondo cui gli accomandanti, come apportatori di capitale, hanno diritto di esercitare un controllo sull’operato degli amministratori ex artt. 2261 e 2320, cc. 2 e 3, c.c.. A favore di tale ultima tesi milita ora anche il nuovo testo dell’art. 2320, c. 3 del Progetto Rovelli, il quale attribuisce agli accomandanti gli stessi diritti di controllo attributi ai soci accomandatari non amministratori e, quindi, ai soci non amministratori di una s.n.c..

[7] Secondo Brunetti, (nt. 5), 585, l’art. 2319 è preciso nel richiamare soltanto il secondo comma del 2259, quindi inclusio unius exclusio alterius; cfr., in giurisprudenza, Trib. Firenze, 8 aprile 1953, in Giur. tosc., 1953, 305.

[8] V., in particolare, Vivante, Le società commerciali, in Trattato di diritto commerciale, vol. II, Milano, 1912, n° 400, nota 14.

[9] Così, in dottrina, Galgano, Il principio di maggioranza nelle società personali, Padova, 1960, 103 ss. [ma v. Id., Diritto commerciale Le società, Bologna, 2001, 120, per una diversa opinione, su cui infra, nt. 19]; sostanzialmente conforme M. Casella, Sulla revoca degli amministratori nelle società in accomandita semplice, in Riv. dir. comm., 1951, II, 248; in giurisprudenza, Trib. Firenze, 8 aprile 1953, (nt. 7); App. Milano, 5 giugno 1951, in Riv. dir. comm., 1951, II, 240.

[10] Secondo Dalmartello, Revoca per giusta causa del potere d’amministrazione spettante all’unico accomandatario di accomandita semplice?, in Studi in onore di Antigono Donati, II, Roma, 1970, 167, in tema di s.a.s., «esiste, a ben vedere, una disposizione che è incompatibile con la norma sulla revoca dell’amministratore per giusta causa, ed è l’art. 2318, c. 2, c.c., se è vero che la revoca dell’amministratore solo in tanto è possibile in quanto alla società rimanga, dopo la revoca, una possibilità di funzionamento, cioè di vita».

[11] Così, nella giurisprudenza di legittimità, Cass., 29 novembre 2001, n° 15197, in Giur. it., 2002, 778, sia pure implicitamente; Cass., 12 agosto 1976, n° 3028, in Giur. it., 1977, I, 1, 2202; nella giurisprudenza di merito, ex multis, Trib. Milano, 1° luglio 2002 (ord.), in Giur. it., 2002, 2330; Trib. Roma, 4 maggio 2000 (ord.), in Dir. prat. soc., 2000, 13, 67; Trib. Siracusa, 11 settembre 1999 (ord.), in Società, 2000, 463; Trib. Roma, 24 luglio 1997 (ord.), in Gius, 1998, 130; Trib. Roma, 22 maggio 1997 (ord.), in Gius, 1998, 130; Trib. Perugia, 17 aprile 1996 (ord.), in Rass. giur. umbra, 1996, 641; Trib. Roma, 4 dicembre 1995 (ord.), in Giust. civ., 1996, I, 1819.

[12] Così, ex multis, Bussoletti, voce Società in accomandita semplice, in Enc. dir., vol. XLII, Milano, 1990, 964; G.F. Campobasso, (nt. 4), 141; Cottino-Weigmann, (nt. 4), 162 e 223; Denozza, Società in accomandita, in Enc. giur., Roma, 1993, 5; F. Di Sabato, Manuale delle società, Milano, 1995, 206; G. Ferri, Delle società, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 484; Galgano, Diritto commerciale Le società, (nt. 9), 120 [mutando opinione rispetto a Id., Il principio di maggioranza nelle società personali, (nt. 9), 103]; M. Ghidini, (nt. 4), 401; Jaeger-Denozza, Appunti di diritto commerciale, Milano, 2000, 191; Macrì, Revoca dell’amministratore (socio accomandatario) con provvedimento d’urgenza, in Società, 1995, 1350 ss.; Montalenti, (nt. 6), 308 ss.; Musso, La revoca dell’amministratore nella società in accomandita semplice, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, 580; Serra, Unanimità e maggioranza nelle società di persone, Milano, 1980, 211, nt. 133; Tommaseo, Revoca dell’amministratore di una società in accomandita semplice e inibitoria con provvedimento d’urgenza degli ulteriori atti di gestione, in Giur. it., 1977, I, 2, 189.

[13] Cfr. M. Ghidini, (nt. 4), 391 ss..

[14] Cfr., in particolare, G. Ferri, (nt. 12), 484.

[15] Cfr., in particolare, Cass., 9 luglio 1957, n° 2735, (nt. 6).

[16] In merito all’attribuzione al socio accomandante dei poteri di controllo previsti dall’art. 2261 c.c., v., supra, nt. 6.

[17] Si tenga presente, in particolare, l’art. 1726 c.c. che regola l’ipotesi di revoca del mandato collettivo, richiedendo il consenso di tutti i mandanti, salvo appunto che ricorra una giusta causa. G. Ferri, (nt. 12), 485, sottolinea che è «principio generale, valido in tutte le ipotesi di mandato collettivo, quello della revocabilità del mandato da parte di ciascun mandante quando ricorra una giusta causa (art. 1726 c.c.), a prescindere dalla maggiore o minore rilevanza dell’interesse che il mandante singolo abbia nell’affare».

[18] Secondo Cass., 9 luglio 1957, n° 2735, (nt. 6), l’art. 2319 c.c. è «chiaramente indirizzato allo scopo di restringere i poteri dei soci accomandanti … quando per qualsiasi motivo e, quindi, anche all’infuori dell’esistenza di una giusta causa, si voglia revocare l’amministratore nominato con atto separato».

[19] Secondo Montalenti, (nt. 6), 308, attribuire al socio accomandante il potere di chiedere la revoca giudiziale dell’amministratore significa provocare esclusivamente l’intervento dell’Autorità Giudiziaria, «senza che la … volontà [del socio istante] produca alcun effetto sul fenomeno della revoca, per cui non si vede come possa ravvisarsi un fenomeno di ingerenza nell’amministrazione sociale». Secondo Galgano, Diritto commerciale Le società, (nt. 9), 120, il socio accomandante, assumendo l’iniziativa della revoca, eserciterebbe un sindacato di mera legittimità sulla condotta degli amministratori. G. Ferri, (nt. 12), 485, sottolinea che «la revoca non è l’effetto di un atto di volontà del socio, ma è l’effetto di una sentenza che accerta la ricorrenza di una giusta causa». Sulla non necessarietà di dovere ricorrere a tale argomentazione per riconoscere ai soci accomandanti la facoltà prevista dall’art. 2259, c. 3, c.c., v. Macrì, (nt. 12), 1351, secondo cui «sotto il profilo processuale è evidente che l’iniziativa giudiziaria presuppone una denunzia circostanziata delle ragioni della richiesta di revoca, una valutazione, da parte degli accomandanti, della gestione».

[20] V., in particolare, G. Ferri, (nt. 12), 485; cfr. Macrì, (nt. 12), 1351.

[21] Su cui infra, nt. 64 e testo corrispondente.

[22] Secondo Montalenti, (nt. 6), 309, il controllo che il socio in tal modo esercita sarebbe, peraltro, un controllo di merito: in particolare, gli «atti di ispezione e di sorveglianza» attribuiti al socio accomandante ex art. 2320, c. 2, c.c. «ricomprendono tutti gli atti necessari od opportuni, comunque strumentali, all’esercizio di un controllo di legalità e di merito sull’amministrazione sociale» [così, Id., (nt. 6), 198].

[23] Così, Cass., 9 luglio 1957, n° 2735, (nt. 6); cfr. Macrì, (nt. 12), 1350 ss., con riferimento al potere di nomina. Schlesinger, Recensione a Galgano, Il principio di maggioranza nelle società personali, in Riv. soc., 1962, 92 ss., pone in rilievo la difficoltà di ricomprendere nella nozione di atto di amministrazione «la partecipazione alla nomina e alla revoca degli amministratori, che attiene più alla struttura (vorrei dire alla costituzione) dell’ente, che non alla sua gestione»; cfr. Musso, (nt. 12), 579; Venditti, Nuove riflessioni sull’organizzazione collegiale delle società di persone, in Dir. giur., 1962, 393, secondo cui «dall’art. 2319 si desume … la conferma del principio che il potere di nomina e di revoca degli amministratori è cosa diversa dagli atti d’ingerenza, vietati dal successivo a. 2320, in quanto è esplicitamente previsto l’intervento degli accomandanti nelle relative deliberazioni». Secondo Galgano, Il principio di maggioranza nelle società personali, (nt. 9), 90 ss., gli accomandanti, in assenza della disposizione di cui all’art. 2319 c.c., non potrebbero in alcun modo concorrere alla nomina e alla revoca degli amministratori, in quanto ritenuti atti di amministrazione e, pertanto, vietati ai sensi dell’art. 2320 c.c.. In giurisprudenza, v., in particolare, Cass., 9 luglio 1957, n° 2735, (nt. 6), secondo cui non potrebbe ravvisarsi un’incompatibilità» dell’art. 2259, c. 3, c.c. con i principi che regolano le s.a.s. e, in particolare, la loro amministrazione, affidata solo agli accomandatari, perché il consentire agli accomandanti – «che, come apportatori di capitali, hanno diritto di esercitare un controllo sull’operato degli amministratori (artt. 2261 e 2320, cc. 2 e 3) – di compiere quelle attività che la legge consente a ciascun socio e che costituiscono … una facoltà il cui esercizio è in stretta correlazione con il diritto di controllo sull’operato degli amministratori, eventualmente pregiudizievole alla società…, non importa un’indebita ingerenza degli accomandanti nell’amministrazione» della stessa; cfr. Trib. Napoli, 18 dicembre 1987 (ord.), in Dir. fall., 1988, II, 580. Per una puntuale ricostruzione delle opinioni che dottrina e giurisprudenza hanno elaborato in merito alla ratio dell’art. 2320 c.c., v. Denozza, (nt. 12), 2 ss..

[24] Secondo G.F. Campobasso, (nt. 4), 142, è questa la sola strada praticabile quando unico è il socio accomandatario ed unico perciò è l’amministratore. Cfr. Ferrara jr.-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1992, 366, nt. 2; Ragusa Maggiore, Trattato delle società, vol. I, Le società in generale. Le società di persone, Padova, 2000, 585.

[25] Si vedano, ex multis, con particolare riferimento ad una s.a.s., Trib. Milano, 1° luglio 2002 (ord.), (nt. 11); Trib. Roma, 4 maggio 2000 (ord.), (nt. 11); Trib. Siracusa, 11 settembre 1999 (ord.), (nt. 11); Trib. Roma, 24 luglio 1997 (ord.), (nt. 11); Trib. Roma, 22 maggio 1997 (ord.), (nt. 11); Trib. Perugia, 17 aprile 1996 (ord.), (nt. 11); Trib. Napoli, 14 marzo 1996, in Società, 1996, 712; Trib. Roma, 4 dicembre 1995 (ord.), (nt. 11); Trib. Prato, 26 aprile 1995 (ord.), in Società, 1995, 1349. Si noti, con riferimento ad una s.n.c., Trib. Napoli, 8 novembre 2000 (ord.), in Foro nap., 2000, 269, che tiene a precisare come il provvedimento d’urgenza consisterebbe non già in una revoca, bensì nella sospensione dell’amministratore medesimo; cfr. Trib. Trieste, 12 dicembre 1990 (ord.), in Società, 1991, 818. La sentenza del Tribunale di Milano che si annota giunge alle medesime conclusioni per la s.s..

[26] Si vedano, in particolare, G. Ferri, Le società, in Trattato Vassalli, Torino, 1987, 227; M. Ghidini, (nt. 4), 391 ss.; Jaeger-Denozza, (nt. 12), 149; Macrì, (nt. 12), 1351; Marcinkiewicz, Revoca giudiziale di socio accomandatario, in Società, 1988, 594; Patelli, Revoca dell’amministratore di società personale, in Società, 1990, 518; ritiene, invece, inammissibile un provvedimento d’urgenza di revoca dell’unico amministratore che sia anche il solo accomandatario di s.a.s., in particolare, Dalmartello, (nt. 10), 165 ss., sul presupposto che il Giudice non possa, con una sentenza costitutiva di merito, revocare il potere di amministrazione all’unico accomandatario di s.a.s..

[27] Cfr., in particolare, Trib. Catania, 10 novembre 2003 (ord. inedita); Trib. Perugia, 17 aprile 1996 (ord.), (nt. 11); Pret. Piombino, 5 ottobre 1979 (ord.), in questa Rivista, 1980, II, 765; in dottrina, Macrì, (nt. 12), 1351; Marcinkiewicz, (nt. 26), 594.

[28] V., anche, App. Catania, 24 maggio 1967, in Dir. fall., 1968, II, 72, secondo cui «la revoca dell’amministratore di una società di persone non è subordinata all’esito del giudizio di responsabilità promosso contro l’amministratore; tale giudizio è, infatti, relativo al risarcimento dei danni provocati dall’amministratore».

[29] Così, in particolare, Trib. Napoli, 18 dicembre 1987 (ord.), (nt. 23); cfr. Pret. Milano, 19 febbraio 1979 (ord.), in Giur. it., 1982, I, 2, 487; Pret. Roma, 22 aprile 1977 (ord.), in questa Rivista, 1978, II, 589.

[30] V., per tutti, M. Ghidini, (nt. 4), 409, secondo cui dalla disposizione dell’art. 2323, c. 2, c.c. si ricava, per la s.a.s., una palese deroga al regolamento dettato dall’art. 1730 c.c.: «sembra … che la cessazione dall’incarico di amministratore di uno (o più) dei soci accomandatari, non faccia venire meno il potere amministrativo degli altri accomandatari». Secondo un’opinione isolata, il regime legale di amministrazione di una s.a.s. in presenza di una pluralità di amministratori non è quello dell’amministrazione disgiuntiva di cui all’art. 2257 c.c., ma è quello di amministrazione congiuntiva ai sensi del successivo art. 2258 c.c.. Tale opinione giustifica la conclusione adottata rilevando l’incompatibilità dell’art. 2257, c. 3, c.c. (secondo cui tutti i soci sono chiamati a decidere sull’opposizione di un amministratore ad un altro) - disposizione ritenuta «aspetto essenziale» del regime di amministrazione disgiuntiva - con la posizione caratteristica degli accomandanti, in quanto in tale modo questi ultimi verrebbero a decidere sull’amministrazione della società, violando il disposto di cui all’art. 2320 c.c.: così, Rivolta, (nt. 1), 124 ss.. Il problema, in realtà, può essere superato se si aderisce a quella posizione dottrinale secondo cui i soli accomandatari sarebbero chiamati alla decisione sull’opposizione e, pertanto, se si ritiene di potere adattare quella previsione dell’art. 2257, c. 3, c.c., secondo la quale «la maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili, decide sull’opposizione»: così, Bussoletti, (nt. 12), 974; G.F. Campobasso, (nt. 4), 144; F. Di Sabato, La società in accomandita semplice, in Trattato Rescigno, vol. XVI, Torino, 1985, 177; Galgano, Il principio di maggioranza nelle società personali, (nt. 9), 103 ss.; Salandra, Manuale di diritto commerciale, I, Bologna, 1949, 232; F. Vassalli, (nt. 6), 218. Ritengono, invece, che a decidere sull’opposizione sarebbero chiamati anche gli accomandanti, Montalenti, (nt. 6), 311 ss.; Venditti, Collegialità e maggioranza nelle società di persone, Napoli, 1955, 78.

[31] V., in particolare, Cass., 28 novembre 1992, n° 12732, in N. giur. civ. comm., 1993, I, 828.

[32] La paralisi dell’attività determinata dalla revoca dell’amministratore unico accomandatario comporterebbe, dunque, un’impossibilità di funzionamento e di conseguimento dell’oggetto sociale.

[33] Si esprimono per l’autonomia del rapporto sociale da quello di amministrazione, nel senso che, da un lato, è possibile la revoca dell’amministratore senza l’esclusione del socio e, dall’altro, non essendo configurabile l’ipotesi dell’amministratore non socio (in quanto l’amministratore estraneo non risponderebbe delle obbligazioni sociali), l’esclusione da socio determina il venire meno della posizione di amministratore, in dottrina, Belviso, Contratto di società e contratto di amministrazione nelle società di persone, in Riv. soc., 2001, 713 ss.; Cagnasso, (nt. 4), 153 ss.; G.F. Campobasso, (nt. 4), 103; Cottino-Weigmann, (nt. 4), 163; F. Di Sabato, (nt. 12), 127; G. Ferri, (nt. 26), 228, secondo cui, però, il venire meno della qualità di socio può non importare il venire meno della qualità di amministratore; Greco, Le società nel sistema legislativo italiano. Lineamenti generali, Torino, 1959, 329; Lolli, Revoca giudiziale dell’amministratore di s.a.s., in Società, 2000, 465 ss.; Tarantino, Revoca ed esclusione del socio amministratore nelle società personali, in questa Rivista, 1980, II, 303 ss.; F. Vassalli, (nt. 6), 156; nella giurisprudenza di legittimità, v., da ultimo, Cass., 29 novembre 2001, n° 15197, (nt. 11); nella giurisprudenza di merito, con riferimento ad una s.a.s., Trib. Roma, 4 maggio 2000 (ord.), (nt. 11); Trib. Siracusa, 11 settembre 1999 (ord.), (nt. 11); Trib. Verona, 9 giugno 1994 (decr.), in Società, 1994, 1399; Trib. Milano, 21 ottobre 1993, in Società, 1994, 364; con riferimento ad una s.n.c., v., in particolare, Trib. Milano, 14 ottobre 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, 305. Sostiene, in particolare, che la correlazione tra facoltà di amministrare e responsabilità illimitata sia un fenomeno che investe tutte le società personali, Galgano, Degli amministratori di società di persone, Padova, 1963, 47 ss.. Nota è l’autorevole contraria opinione di Denozza, Responsabilità dei soci e rischio di impresa nelle società personali, Milano, 1973, 258.

[34] Contrariamente a quanto avveniva sotto il c. comm. del 1882, i cui artt. 186 ss. prevedevano che l’inadempimento agli obblighi di amministratore comportasse l’esclusione del socio dalla società.

[35] V., in particolare, Trib. Catania, 10 novembre 2003 (ord.), (nt. 27), con riferimento ad una s.n.c. composta da due soli soci.

[36] Così, Trib. Torino, 12 ottobre 1981, in questa Rivista, 1983, II, 335.

[37] Una soluzione pattizia utile al fine di prevenire il menzionato impasse potrebbe essere quella di inserire nel contratto sociale clausole che prevedano, nel caso in cui l’unico socio accomandatario venga revocato dalla carica di amministratore, la conversione della quota in quella di accomandante: in tale modo si verificherebbe l’ipotesi di cui all’art. 2323, c. 2, c.c. e gli accomandanti potrebbero nominare un amministratore provvisorio.

[38] È doveroso tenere presente che, contrariamente alle altre società personali in cui è dibattuto se il potere di amministrazione possa essere attribuito ad estranei, nella s.a.s., ai sensi dell’art. 2318, c. 2, c.c., «l’amministrazione della società può essere conferita soltanto a soci accomandatari». La sola ipotesi in cui è previsto che possa essere nominato amministratore un soggetto estraneo alla compagine sociale è quella di cui al menzionato art. 2323, c. 2, c.c..

[39] Vale a dire il caso in cui vengano a mancare tutti i soci accomandatari, limitatamente al periodo necessario per il ripristino della categoria, in ogni caso non superiore a sei mesi.

[40] Così, Trib. Milano, 1° luglio 2002 (ord.), (nt. 11). È, però, evidente che tale soluzione non può essere considerata risolutiva.

[41] Secondo l’orientamento prevalente, la nomina dell’amministratore provvisorio può ricadere sia su di un estraneo, sia su un socio accomandante: a sostegno di tale soluzione milita, infatti, da un lato, il dato testuale, in quanto l’affermazione contenuta nella norma – per la quale «l’amministratore provvisorio non assume la qualità di socio accomandatario» – ha senso soltanto se riferita all’accomandante scelto per la carica, dall’altro, un argomento di ordine logico, in quanto il legislatore avrebbe individuato proprio nell’accomandate il soggetto più idoneo a garantire una continuità nella gestione sociale: v., in dottrina, G.F. Campobasso, (nt. 4), 147, che però esclude (nt. 3) che la norma sia applicabile analogicamente quanto l’unico socio accomandatario cessa di essere amministratore per revoca giudiziale ex art. 2259, c. 3, c.c.; in giurisprudenza, sia pure indirettamente, Cass., 28 novembre 1992, n° 12732, (nt. 31).

[42] Così, Trib. Catania, 19 dicembre 2003 (ord.), in Società, 2004, 881, che non ravvisa nella norma di cui all’art. 2323 c.c. «alcun rilievo eccezionale o di norma eccezionale, ed anzi la stessa espressamente ponendo un rimedio provvisorio endogeno alla stessa società ed idoneo a rimediare momentaneamente la mancanza dell’organo amministrativo»; cfr., in giurisprudenza, Trib. Roma, 24 luglio 1997 (ord.), (nt. 11); Trib. Napoli, 2 marzo 1994 (ord.), in Società, 1994, 1074; Pret. Venezia, 20 marzo 1991 (ord.), in Giur. it., 1991, I, 2, 891. In particolare, secondo Trib. Napoli, 18 dicembre 1987 (ord.), (nt. 23), la previsione secondo cui l’amministratore provvisorio può compiere solo atti di ordinaria amministrazione supera «l’obiezione riguardante l’illimitata responsabilità dell’accomandatario che continuerebbe a coesistere con la qualità sociale (specie per tutta l’attività pregressa), ma non potrebbe essere, in alcuna misura, aggravata dal tipo di attività consentita all’amministratore provvisorio di cui si è detto»; in dottrina, in particolare, Scotti Galletta, Partecipazioni di società di capitali a società di persone-amministratore giudiziario di società di persone: profili problematici e ricostruttivi, in Dir. fall., 1987, II, 725 ss.; dello stesso avviso paiono Macrì, (nt. 12), 1351; Marcinkiewicz, (nt. 26), 594. V., anche, Montalenti, (nt. 6), 209 ss., che ritiene applicabile la norma in via analogica alle non troppo dissimili ipotesi di assenza o di impedimento dell’accomandatario amministratore «per un periodo di tempo significativo, ma non eccessivamente dilatato». Diversa impostazione è adottata da Cass., 28 novembre 1992, n° 12732, (nt. 31), secondo la quale applicare in via analogica l’art. 2323 c.c. postulerebbe «l’estensione dell’operatività della norma ad un caso ontologicamente diverso, evidente essendo la differenza che sussiste tra il venire meno dell’accomandatario ed il venire meno della facoltà di amministrare»; cfr., nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano, 1° luglio 2002 (ord.), (nt. 11); Trib. Roma, 4 maggio 2000 (ord.), (nt. 11); Trib. Siracusa, 11 settembre 1999 (ord.), (nt. 11); in dottrina, v., in particolare, Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1963, 157.

[43] V., in particolare, Montalenti, (nt. 6), 212 ss., il quale dall’analisi di alcune norme dettate sia in materia di impresa (artt. 2089 ss.), sia in materia societaria (artt. 2386, c. 5; 2274 e 2486; 2385, c. 2, c.c.), deriva l’esistenza di un principio generale del diritto commerciale definito come «principio di tutela della continuità della gestione dell’impresa».

[44] La delibera di nomina dell’amministratore provvisorio dovrebbe essere adottata, ai sensi dell’art. 2319 c.c., con il consenso del socio accomandatario e l’approvazione di tanti soci accomandanti che rappresentano la maggioranza del capitale dagli stessi sottoscritto: cfr. Cass., 28 novembre 1992, n° 12732, (nt. 31). Scotti Galletta, (nt. 42), 729, ritiene, invece, che tale delibera possa essere adottata dai soli soci accomandanti.

[45] In quanto altrimenti si ammetterebbe che gli accomandanti possano affidare ad un terzo compiacente la gestione di una società i cui effetti comunque ricadrebbero sull’unico socio accomandatario che, benché privato dei poteri di amministrazione, resterebbe esposto alla responsabilità illimitata per i futuri debiti della società.

[46] Così, Trib. Catania, 19 dicembre 2003 (ord.), (nt. 42).

[47] Così, Buonocore, L’impresa societaria a base personale, in Aa. Vv., Manuale di diritto commerciale, a cura di Buonocore, Torino, 1997, 176; G.F. Campobasso, (nt. 4), 103, nt. 1; Piscitello, Società di persone a struttura aperta e circolazione delle quote, Torino, 1995, 174, nt. 104; in giurisprudenza, Pret. Venezia, 20 marzo 1991 (ord.), (nt. 42); Pret. Mirandola, 20 febbraio 1985 (ord.), in Foro it., 1985, I, 2797.

[48] Secondo Cass., 13 gennaio 1987, n° 134, (nt. 44), con riferimento ad una s.n.c., «ove nelle società personali si verifichino i presupposti di applicazione della norma (consistente in un’impossibilità di gestione del patrimonio sociale per discordia tra i soci o per altra causa) … tornano applicabili le norme relative allo scioglimento del vincolo sociale (art. 2272, n. 2, c.c.)»; cfr. App. Cagliari, 28 febbraio 1985, in Riv. giur. sarda, 1986, 349, con riferimento ad una società occulta; Trib. Reggio Emilia, 17 novembre 1983 (decr.), in Società, 1984, 681 ss.; in dottrina, Galgano, Sull’amministratore giudiziario di società di persone, in Giur. it., 1967, I, 2, 170; Scalfi, Giurisprudenza e … legislazione del Pretore di Milano sui provvedimenti di urgenza in tema di società collettive, in Temi, 1962, 56; Tedeschi, Il controllo giudiziario sull’amministrazione delle società di capitali, Padova, 1965, 559.

[49] Così, Cass., 7 maggio 1963, n° 1113, in Dir. fall., 1963, II, 483 ss., che ha giustificato il provvedimento con cui era stato nominato in una s.n.c. a richiesta di tutti i soci un amministratore giudiziario, in quanto tale provvedimento «è dettato … da ragioni di convenienza, avendo i soci ritenuto opportuno affidare ad un terzo l’amministrazione della cosa comune al fine di porre rimedio ai contrasti insorti fra loro e di assicurare il funzionamento dell’amministrazione stessa attraverso l’opera di persona qualificata»; cfr., in giurisprudenza, in un’ipotesi di revoca per giusta causa degli amministratori di una s.a.s., App. Napoli, 31 marzo 1987, in Dir. fall., 1987, II, 705 ss.; con riferimento ad una s.n.c., Trib. Catania, 28 luglio 1980 (ord.), in Dir. fall., 1980, II, 463 ss.; in dottrina, M. Ghidini, (nt. 4), 404, secondo cui l’Autorità Giudiziaria, nel caso in cui i soci - una volta revocato l’amministratore dalla carica - non riuscissero a nominarne un altro, può provvedere ai sensi degli artt. 1105 c.c. e 78 c.p.c.: l’amministratore «una volta nominato … esercita la funzione … avvalendosi dei poteri che gli derivano dalla legge e dal contratto» ed è, pertanto, «da escludere che … possa ricevere direttive o autorizzazioni, per il compimento delle operazioni di gestione, da parte dell’Autorità Giudiziaria»; cfr. Di Francia, Le società in nome collettivo nella giurisprudenza, Padova, 1974, 237. Sempre Ghidini ritiene, inoltre, che la nomina dell’amministratore non possa avvenire ai sensi dell’art. 700 c.p.c., in quanto tale articolo presuppone un giudizio contenzioso ordinario, mentre la nomina ai sensi degli artt. 1105 c.c. e 78 c.p.c. appartiene al genus dei provvedimenti di giurisdizione volontaria; cfr., in dottrina, Marcinkiewicz, (nt. 26), 595; in giurisprudenza, in particolare, Pret. Mirandola, 20 febbraio 1985 (ord.), (nt. 47); Pret. Venezia, 20 marzo 1991 (ord.), (nt. 42). Sminuisce l’importanza della menzionata sentenza resa dalla Suprema Corte di Cassazione, Tedeschi, (nt. 48), 559, in quanto la nomina dell’amministratore giudiziario era stata domandata da tutti i soci.

[50] Così, Vittoria, Amministratore giudiziario e società di persone: trent’anni di dialogo tra dottrina e giurisprudenza, in Contr. imp., 1988, 711 ss..

[51] Per un approfondita ricostruzione del sistema nel quale opera l’art. 1105, c. 4, c.c., v., in particolare, Galgano, (nt. 48), 169, che evidenzia come nella comunione il Giudice abbia sempre il potere di sostituirsi alle parti inerti o discordi e di prendere, in loro vece, i «provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune» e che «la gestione dell’impresa sociale è, a differenza dell’amministrazione della cosa comune, rimessa all’arbitrio del gruppo. Il socio non può, nelle società di persone non meno che in quelle di capitali, impugnare una deliberazione sociale adducendo che l’operazione deliberata è – secondo il linguaggio dell’art. 1109 – “gravemente pregiudizievole” per la società». Cfr., in dottrina, Marcinkiewicz, (nt. 26), 595; Montagnani, Diritti d’informazione, controllo individuale e controllo giudiziario nelle società prive di collegio sindacale, in Riv. dir. civ., 1983, I, 403; Patelli, (nt. 26), 519; Piscitello, (nt. 47), 174; Scotti Galletta, (nt. 42), 721; in giurisprudenza, con riferimento ad una s.a.s., Trib. Napoli, 24 gennaio 1990 (ord.), in Dir. giur., 1990, 793; Trib. Napoli, 18 dicembre 1987 (ord.), (nt. 23); con riferimento ad una s.n.c., Cass., 13 gennaio 1987, n° 134, (nt. 44); Trib. Lecce, 29 novembre 1989 (decr.), in Società, 1990, 199; con riferimento ad una società di fatto, Trib. Ascoli Piceno, 5 luglio 1986 (decr.), in Società, 1987, 173. V., anche, Tedeschi, (nt. 48), 560, che rimarca, in particolare, come l’applicazione dell’art. 1105 c.c. non ha come presupposto necessario il compimento di «gravi irregolarità», essendo la ratio delle norme in tema di comunione l’esigenza che la cosa comune venga amministrata.

[52] Così, in particolare, Cass., 13 gennaio 1987, n° 134, (nt. 44). Trib. Catania, 19 dicembre 2003 (ord.), (nt. 42), nel riportare alcuni argomenti che militano a sfavore dell’applicazione analogica dell’art. 1105 c.c. nella disciplina delle società personali, afferma incidentalmente un’asserita natura eccezionale della norma attributiva al giudice del potere di intervenire sull’amministrazione della comunione. V., inoltre, le osservazioni di quella dottrina secondo cui, nelle società personali, i soci, contrariamente ai comunisti, non possano eliminare la responsabilità personale con la rinuncia al proprio diritto di gestione: per G. Ferri, (nt. 12), 163, in particolare, «la responsabilità personale [dei soci] … non può, come è invece nella comunione, essere eliminata con la rinunzia al proprio diritto (art. 1104)». Bonaiti, (nt. 3), 1318, sottolinea, inoltre, che «la stessa tesi che invoca l’art. 1105 c.c. per la nomina dell’amministratore giudiziario nelle società espressamente sostiene che detta norma “vada integrata con quanto stabilito dall’art. 92 disp. di att. per l’amministratore giudiziario di società di capitali ex art 2409 c.c.” per concludere che “l’amministratore provvisorio sarà in questo caso un ausiliario del Giudice, non diversamente da come viene generalmente qualificato l’amministratore giudiziario delle società di capitali». Si tenga, anche, presente che, ai sensi dell’art. 1106, c. 2, c.c., l’amministratore della comunione può essere soggetto ad essa estraneo e, pertanto, non si esige una corrispondenza tra lo status di comunista e l’incarico di amministratore.

[53] V., con riferimento ad una s.a.s., ex multis, Trib. Roma, 4 maggio 2000 (ord.), (nt. 11); Trib. Napoli, 14 marzo 1996, (nt. 25); Trib. Roma, 4 dicembre 1995 (ord.), (nt. 11); Trib. Prato, 26 aprile 1995 (ord.), (nt. 25); con riferimento ad una s.n.c., Trib. Napoli, 8 novembre 2000 (ord.), (nt. 25); Trib. Lecce, 29 novembre 1989 (decr.), (nt. 51); Trib. Roma, 5 marzo 1982 (ord.), (nt. 44); Trib. Vigevano, 21 luglio 1966 (ord.), in Foro it., 1966, I, 1868; con riferimento ad una società di fatto, Trib. Ascoli Piceno, 5 luglio 1986 (decr.), (nt. 51).

[54] Così, Auletta, Nomina e revoca da parte dell’Autorità Giudiziaria dell’amministratore di una società in nome collettivo, in Dir. giur., 1953, 308 ss., che, però, adombra la possibilità di un’applicazione analogica della norma limitata alle sole ipotesi in cui gli amministratori potrebbero essere nominati senza la collaborazione della minoranza che abbia ottenuto la revoca e sempre che si ritenga che il singolo socio non possa esercitare l’azione di responsabilità contro gli amministratori; G.F. Campobasso, (nt. 4), 103, nt. 1; Cottino-Weigmann, (nt. 4), 162 ss.; Dalmartello, (nt. 10), 165 ss.; Galgano, (nt. 33), 52; Lolli, (nt. 33), 465 ss.; Macrì, (nt. 12), 1351; Mainetti, in Aa. Vv., Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, vol. I, Torino, 2004, sub art. 2409, 926 ss.; Patelli, (nt. 26), 517 ss.; D. Pettiti, Ancora sul procedimento dell’art. 2409 cod. civ., in Riv. dir. comm., 1961, II, 57; Piscitello, (nt. 47), 174, nt. 104; Quatraro-Confalonieri-Propersi, La volontaria giurisdizione societaria, Milano, 1991, 169 ss.; Ragusa Maggiore, (nt. 24), 241; Scalfi, (nt. 48), 55; Scotti Galletta, (nt. 42), 715 ss.; Smiroldo Bongiorno, Rassegna delle principali questioni controverse in tema di controllo giudiziario delle società di capitali secondo l’art. 2409, in Dir. fall., 1957, I, 226; Tedeschi, (nt. 48), 558; Tommaseo, (nt. 12), 194; Vitrò, Controllo giudiziario e provvedimenti cautelari nelle società di capitali, Milano, 1992, 2. Avanza qualche dubbio nei confronti di una «così singolare concordia di dottrina e giurisprudenza», Montagnani, Ambito di applicazione dell’art. 2409 c.c. e controllo giudiziario delle società personali, in Giur. it., 1982, I, 489.

[55] Rinviando a quanto si dirà in conclusione, è importante fin da ora notare che si tratta non tanto di risolvere il problema del silenzio normativo in merito alla possibilità di una revoca cautelare dell’unico amministratore di società personali (cui provvedono l’art. 2259, c. 3, c.c. e la norma processuale dell’art. 700 c.p.c.), quanto quello di provvedere giudizialmente in via cautelare alla sua sostituzione, per la quale l’art. 700 c.p.c. non trova positivo e sostanziale sostegno nelle norme in tema di società personali. Cfr., in giurisprudenza, con particolare riferimento ad una s.a.s., Trib. Napoli, 17 giugno 1992 (decr.), in Società, 1992, 1386; in dottrina, Cagnasso, (nt. 4), 153 ss.; Patelli, (nt. 26), 518. Ragusa Maggiore, (nt. 24), 240, ritiene, peraltro, che la procedura di revoca degli amministratori nelle società personali sia «più forte» dell’amministrazione giudiziaria.

[56] è doveroso, però, tenere conto che l’art. 89 del d. lgs. 8 luglio 1999, n° 270, recante la nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di liquidazione statuisce che «il commissario giudiziale, il commissario straordinario e il curatore dell’impresa dichiarata insolvente possono proporre la denuncia prevista dall’art. 2409 c.c. contro gli amministratori e i sindaci delle società del gruppo», le quali possono essere anche società personali.

[57] A seguito del d. lgs. 17 gennaio 2003, n° 6, recante la «riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative», in attuazione della l. delega 366/2001, l’art. 2409 c.c. è contenuto nel § 3 rubricato «del collegio sindacale» della sezione VI-bis «dell’amministrazione e del controllo» del capo V delle «società per azioni». Prima della riforma, la collocazione sistematica dell’art. 2409 c.c. nel § 3 «del collegio sindacale» della sezione VI «degli organi sociali» del capo V sulle «società per azioni» stava a dimostrare che l’istituto era stato voluto dal legislatore per le sole società di capitali, tramite un sistema articolato di rinvii (art. 2464 c.c. per la s.a.p.a.) e richiami (art. 2488, c. 4, c.c. per la s.r.l.).

[58] Cfr., in giurisprudenza, Trib. Napoli, 17 giugno 1992 (decr.), (nt. 55); in dottrina, Cagnasso, (nt. 4), 153 ss..

[59] Tra i principi generali dettati dal legislatore delegante ai quali si doveva uniformare la riforma della disciplina della s.r.l., l’art. 3, c. 1, lett. a) della l. 366/2001 espressamente contemplava il «principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci». V., anche, la Relazione Ministeriale illustrativa al d. lgs. 6/2003, § 11 «della società a responsabilità limitata», in Riv. soc., 2003, 147 ss., ove si spiega che, come già avvenuto in altri ordinamenti, tale società «cessa di presentarsi come una piccola società per azioni ed abbandona la tradizione del nostro ordinamento che ne faceva risalire il più immediato antecedente storico alla anonima per quote. Essa si caratterizza invece come una società personale la quale, perciò, pur godendo del beneficio della responsabilità limitata (che del resto, dopo la generale ammissibilità della società unipersonale a responsabilità limitata, non può più ritenersi necessariamente presupporre una rigida struttura organizzativa di tipo corporativo), può essere sottratta alle rigidità di disciplina richieste per la società per azioni».

[60] Ritengono che, nella nuova disciplina della s.r.l., non vi sia alcuno spazio per il ricorso all’art. 2409 c.c., in dottrina, Abriani, La società a responsabilità limitata. Decisione dei soci. Amministrazione e controlli, in Aa. Vv., Diritto delle società [Manuale breve], Milano, 2004, 290 ss.; Angelici, La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, Padova, 2003, 115 ss.; Arato, Il controllo individuale dei soci e il controllo legale dei conti nella s.r.l., in Società, 2004, 1194 ss.; Associazione Disiano Preite, Il nuovo diritto delle società, Bologna, 2003, 261 ss.; Bussoletti, Il procedimento ex art. 2409 c.c., in Riv. soc., 2003, 1227 ss.; Cagnasso, in Aa. Vv., Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, vol. II, Torino, 2004, sub art. 2476, 1876 ss.; G.F. Campobasso, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, Torino, 2004, 203 ss.; Cavalli, Il controllo legale dei conti nelle società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2003, I, 717 ss.; Consolo, Note sul potere di revoca fra diritto e processo: è vera misura cautelare? Quale disciplina? Ante causam la revoca dell’amministratore, ma non la inibitoria delle delibere?, in Corr. giur., 2005, 272; De Vitis, in Aa. Vv., La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, Torino, 2003, sub art. 2409, 604 ss.; Mannoni, I controlli, in Aa. Vv., La nuova s.r.l. Prime letture e proposte interpretative, Milano, 2004, 279 ss.; Parrella, in Aa. Vv., La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, Torino, 2003, sub art. 2476, 126 ss.; Salafia, La riforma del controllo giudiziario previsto dall’art. 2409 c.c., in Società, 2002, 1329 ss.; D.U. Santosuosso, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 222 ss.; Schirò, Il controllo dei soci e l’azione di responsabilità contro gli amministratori, in La riforma del diritto societario: nuovi modelli di s.r.l. e s.p.a., Atti del convegno Paradigma, Milano, 27-28-29 novembre 2002; in giurisprudenza, App. Roma, 12 aprile 2005 (decr.), ne Il Sole 24 ORE, 19 aprile 2005; Trib. Lecce, 16 luglio 2004 (decr.), sul sito internet www.judicium.it. V., anche, la Relazione Ministeriale, (nt. 59), 151, secondo cui, nella nuova disciplina della s.r.l., in cui viene accentuato il significato contrattuale dei rapporti sociali, «è sembrato logico che sulla base di questa soluzione divenisse sostanzialmente superflua ed in buona parte contraddittoria con il sistema la previsione di forme di intervento del Giudice quali quelle ora previste dall’art. 2409. Esse infatti sono sostanzialmente assorbite dalla legittimazione alla proposizione dell’azione sociale di responsabilità da parte di ogni socio e dalla possibilità di ottenere in quella sede provvedimenti cautelari come la revoca degli amministratori. La prospettiva è in sostanza quella di fornire ai soci uno strumento in grado di consentire ad essi di risolvere i conflitti interni alla società».

In posizione dubitativa, M. Rescigno, Osservazioni sul progetto di riforma del diritto societario in tema di società a responsabilità limitata, in Aa. Vv., Il nuovo diritto societario tra società aperte e società private, Milano, 2003, 47 ss.; cfr. Caccavale, L’amministrazione, la rappresentanza e i controlli, in Aa. Vv., La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2004, 389 ss.; Marciano, in Aa. Vv., La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, Torino, 2003, sub art. 2477, 138 ss..

[61] La natura eccezionale della procedura e dei poteri previsti dall’art. 2409 c.c. si ritiene confortata, altresì, da quanto previsto a seguito della riforma dalla disciplina dei controlli nelle società cooperative, in cui, da un lato, il nuovo testo dell’art. 2545-quinquiesdecies c.c. richiama espressamente lo strumento di cui all’art. 2409 c.c., dall’altro, il nuovo testo dell’art. 2545-sexiesdecies c.c. disciplina la gestione commissariale, coordinando il procedimento di denuncia al Tribunale con la disciplina dettata in tema di società cooperative. È noto, infatti, che, prima della recente riforma, il procedimento di cui all’art. 2409 c.c. non era ritenuto applicabile alle società cooperative in ragione del fatto che, in materia di controlli, l’art. 2542 c.c. rinviava alla legislazione di settore che prevedeva rimedi specifici. Per un approfondimento, v., in particolare, Bassi, Le società cooperative, Torino, 1995, 265.

[62] V., in giurisprudenza, in particolare, Trib. Treviso, 28 settembre 2004 (decr.), sul sito internet www.judicium.it; Trib. Roma, 6 luglio 2004 (decr.), sul sito internet www.ipsoa.it/lesocietà; in dottrina, v., in particolare, Rivolta, Profilo della nuova disciplina della s.r.l., in Banca, borsa, tit. cred., 2003, 689 ss.; cfr. S. Ambrosini, La responsabilità degli amministratori nella nuova società a responsabilità limitata, in Società, 2004, 293 ss.; Corapi, Il controllo interno delle s.r.l., in Società, 2003, 1574 ss.; D’Ambrosio, La denuncia al tribunale per gravi irregolarità ex art. 2409 nella riforma, in Società, 2004, 443; Mainetti, Il controllo dei soci e la responsabilità degli amministratori nella s.r.l., in Aa. Vv., La riforma delle società, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2003, 98 ss.; Nazzicone, La denunzia al tribunale per gravi irregolarità ex art. 2409 c.c.: le novità della riforma societaria, in Società, 2003, 1079; Ruggiero, La revoca dell’amministratore nella nuova s.r.l., in Società, 2004, 1090; Silvestrini, Responsabilità degli amministratori nelle s.p.a. e nella s.r.l. dopo la riforma societaria, in Società, 2004, 696.

[63] Si veda, in particolare, App. Trieste, 5 novembre 2004 (ord.), ne Il Sole 24 ORE, 10 novembre 2004, che, nonostante abbia aderito aderito alla soluzione che ritiene non più applicabile alle s.r.l., a seguito della riforma, l’art. 2409 c.c., ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in quanto «una così rilevante modificazione al sistema dei controlli societari pare in contrasto con quelle riconosciute esigenze di salvaguardia dell’interesse generale fatte proprie anche dal legislatore delegante del 2001, esigenze alla cui tutela l’art. 2409 c.c. è sempre risultato preordinato quale utile strumento ai fini di una corretta amministrazione e di una regolare gestione della società».

[64] In tale senso, si esprime la giurisprudenza dominante: tra le molte, Trib. Napoli, 17 giugno 1992 (decr.), (nt. 55); Trib. Milano, 15 ottobre 1985 (decr.), in questa Rivista, 1986, II, 459. In dottrina, v., in particolare, Galgano, Diritto commerciale Le società, (nt. 9), 300; Cerami, Il controllo giudiziario sulle società di capitali (art. 2409), Milano, 1954, 46; Smiroldo Bongiorno, (nt. 54), 227. Tedeschi, Il controllo giudiziario sulla gestione, in Trattato Colombo-Portale, tomo V, Torino, 1998, 187 ss., ricomprende, tra gli altri interessi pubblici che possono essere offesi, e quindi tutelati, «quelli dei risparmiatori, dei consumatori, dei dipendenti e di altre persone in rapporti vari con la società per azioni e, più in generale, gli interessi pubblici lesi dalle gravi irregolarità compiute da amministratori e sindaci».

Si osservi che, al contrario, la migliore dottrina tende a svalutare con differenti argomentazioni l’asserita finalità pubblicistica dell’art. 2409 c.c. a favore di un’interpretazione in chiave privatistica, osservando che la denunzia al Tribunale sarebbe diretta a tutelare gli interessi privati dei soci e della società: così, in particolare, G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2001, 841; cfr. Allegri, Denuncia di gravi irregolarità e tutela delle minoranze, in questa Rivista, 1980, II, 754; Bonell, Intervento giudiziario ex art. 2409 c.c. e “gravi irregolarità”, in Riv. dir. comm., 1969, II, 234; Conte, Sugli interessi tutelati dall’art. 2409 c.c., in questa Rivista, 1986, II, 468; De Martini, La tutela delle minoranze nel controllo giudiziario sugli atti delle società, in Riv. dir. comm., 1953, I, 41; Mignoli, L’interesse sociale, in La società per azioni – Problemi – Letture – Testimonianze, I, Milano, 2002, 103; D. Pettiti, (nt. 54), 57; Provinciali, Aspetti del controllo giudiziario sulle società per azioni di cui all’art. 2409 c.c., in Dir. fall., 1955, II, 383; Quatraro-Tosi, Il controllo giudiziario delle società ex art. 2409 c.c., Milano, 1994, 3 ss.; Vitrò, (nt. 54), 84. Tale impostazione sembra stata ulteriormente suffragata dal nuovo testo dell’art. 2409 c.c., in cui non solo la legittimazione del Pubblico Ministero viene circoscritta al solo settore delle s.p.a. che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ma soprattutto le «gravi irregolarità» nella gestione rilevanti vengono limitate unicamente a quelle potenzialmente dannose alla società o a una o più società controllate. V., anche, Graziani, Intervento del socio e procedura ex art. 2409 c.c., in Temi, 1958, 163, secondo cui l’interesse pubblico tutelato è l’interesse pubblico alla tutela dell’interesse sociale.

[65] Cfr., in giurisprudenza, Trib. Napoli, 17 giugno 1992 (decr.), (nt. 55). In particolare, secondo Trib. Lecce, 29 novembre 1989 (decr.), (nt. 51), «nelle società personali i soci sono normalmente amministratori essi stessi e l’esigenza di tutelare il patrimonio sociale per le irregolarità nella gestione in favore di creditori e di terzi, che giustifica l’intervento del Giudice ai sensi dell’art. 2409 c.c., non sussiste laddove concorre a garantire creditori e terzi il patrimonio individuale dei soci illimitatamente responsabili, la cui responsabilità per le obbligazioni sociali finisce per essere causa della titolarità del potere gestorio, al punto che non è possibile, senza il consenso dei diretti interessati, scindere autoritativamente il rischio e la responsabilità dell’impresa dal potere di amministrare»; cfr., in dottrina, Cagnasso, (nt. 4), 153 ss..

L’impostazione secondo cui nelle società personali il regime di responsabilità illimitata e solidale dei soci debba essere la sola ed unica tutela dei creditori e dei terzi sembra, però, smentita non solo dalla disposizione secondo cui, in caso di perdita del capitale sociale, fino a che esso non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente i soci non possono ripartirsi gli utili (art. 2303, c. 2, c.c.), ma soprattutto dalla constatazione che, tra gli interessi tutelati dall’art. 2409 c.c., quelli dei creditori e dei terzi lo sarebbero, in realtà, solo di riflesso. Infatti, da un lato, i creditori sociali non sono legittimati a denunciare le gravi irregolarità e, dall’altro, l’amministratore giudiziario può promuovere l’azione sociale di responsabilità, ma non l’azione dei creditori sociali.

[66] Secondo Trib. Vigevano, 21 luglio 1966 (ord.), (nt. 53), il Giudice, se potesse nominare un amministratore giudiziario nelle società personali, oltrepasserebbe i limiti della propria funzione, sostituendosi ai soci e modificando il contratto sociale; cfr., in giurisprudenza, Trib. Napoli, 2 marzo 1994 (ord.), (nt. 42); Trib. Napoli, 24 gennaio 1990 (ord.), (nt. 51); in dottrina, Scalfi, (nt. 48), 56. Pur ritenendo di aderire a quell’orientamento che ritiene applicabile analogicamente l’art. 1105 c.c., Vittoria, (nt. 50), replica alla tesi per cui la nomina di un amministratore giudiziario contrasterebbe con la concezione contrattualistica che informa le società di persone, osservando, con uno spunto interessante anche per la diversa tesi dell’applicazione in via analogica dell’art. 2409 c.c., che «la diversa previsione normativa di cui all’art. 1105, ponendo rimedio ad una carenza amministrativa, non determina nessuna arbitraria espropriazione del potere sovrano dei soci delle società personali di autodeterminarsi nella conduzione dell’impresa, ma offre adeguata tutela a chi è interessato alla continuazione dell’attività sociale, in attesa di superare la crisi di gestione. Il Giudice non interviene a modificare il contratto sociale, bensì a consentirne la realizzazione».

[67] L’amministratore giudiziario nel procedimento ex art. 2409 c.c. è, infatti, un pubblico ufficiale nominato dal Tribunale al quale deve rendere il conto della sua gestione e dal quale può essere revocato. Si ritiene che non possa costituire ostacolo all’applicazione dell’art. 2409 c.c. l’eventuale irresponsabilità di cui godrebbe l’amministratore giudiziario per il proprio operato, in quanto, anche nel caso di revoca dalla carica di amministratore dell’unico socio accomandatario, quest’ultimo rimarrebbe comunque illimitatamente responsabile delle obbligazioni sociali.

[68] Per la natura di volontaria giurisdizione del procedimento ex art. 2409 c.c., v., in dottrina, Cerami, (nt. 64), 94; Cottino, (nt. 4), 582; De Martini, (nt. 64), 41; Fazzalari, Giurisdizione volontaria (diritto processuale civile), in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 365; G. Ferri, Trasformazione di società in pendenza del procedimento ex art. 2409 cod. civile, in Temi, 1973, 189; Marescotti, Il controllo del Tribunale sulle irregolarità sociali, in Società, 1988, 748; D. Pettiti, (nt. 54), 62; Ruggiero, (nt. 62), 1101; Smiroldo Bongiorno, (nt. 54), 230; nella giurisprudenza di legittimità, Cass., 5 luglio 2002, n° 9828, in Foro it., 2003, I, 533; Cass., 8 maggio 2001, n° 6365, in Società, 2001, 1473; Cass., 1° dicembre 1997, n° 12180, in Società, 1998, 658; Cass., 2 ottobre 1997, n° 9636, in Società, 1998, 30; nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano, 21 dicembre 1987 (decr.), in Società, 1988, 410; App. Napoli, 29 gennaio 1988 (decr.), in Società, 1988, 736.

La natura di volontaria giurisdizione del procedimento ex art. 2409 c.c. non è assolutamente pacifica: anche nel caso in cui si volesse comunque accogliere tale assunto, non si ritiene che ciò possa comportare l’assoluta inapplicabilità dell’art. 2409 c.c.. Propendono, invece, per la natura contenziosa, in dottrina, Brunetti, (nt. 5), 409 ss.; Provinciali, (nt. 64), 383; Vitrò, (nt. 54), 228; Micheli, Forma e sostanza nella giurisdizione volontaria, in Riv. dir. proc., 1947, I, 121, «pur ritenendo che non si tratti di processi “volontari” giacché si tratta di fasi preparatorie di processi cautelativi e contenziosi (azione di responsabilità), aventi una loro autonomia strutturale e funzionale», ritiene che ai provvedimenti di cui all’art. 2409, cc. 2 e 3, c.c. vadano «applicate le norma sui procedimenti in camera di consiglio»; in giurisprudenza, App. Firenze, 21 settembre 1951 (ord.), in Giur. it., 1953, I, 2, 164; App. Genova, 29 agosto 1949 (decr.), in Foro it., 1950, I, 599. È stato autorevolmente osservato che «dalla ritenuta natura cautelare del procedimento ex art. 2409 è stata desunta la sua appartenenza alla giurisdizione contenziosa. La deduzione non è esatta in quanto può essere volontario non solo il processo di cognizione, ma anche il processo esecutivo e persino quello cautelare»: così, Tedeschi, (nt. 64), 274 ss., il quale prosegue, osservando che il procedimento previsto dall’art. 2409 c.c. potrebbe essere inquadrato in modo più soddisfacente tra i così detti “processi a contenuto oggettivo”: per un approfondimento, v. Allorio, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziario, in Problemi di diritto, I, Milano, 1957, 118. Cfr. Ghirga, Il procedimento per irregolarità della gestione sociale, Padova, 1994, 174 ss..

[69] Così, Trib. Trieste, 12 dicembre 1990 (ord.), (nt. 25).

[70] Norma, come noto, implicitamente abrogata per l’avvenuta soppressione degli organi corporativi centrali (r.d.l. 9 agosto 1943, n° 721) e delle associazioni sindacali fasciste (d.lg.lgt. 23 novembre 1944, n° 369). Così, Trib. Catania, 19 dicembre 2003 (ord.), (nt. 42). A tale argomentazione si può ribattere osservando che «nella sistematica dell’impianto del codice civile (quello stesso che ha introdotto l’art. 2409 c.c.) si prevedeva la figura dell’amministratore giudiziario anche solo come sostituto dell’imprenditore individuale»: così, Bonaiti, (nt. 3), 1330, il quale riporta il passo della Relazione al codice civile, secondo cui «la norma dell’art. 2409 c.c. risponde allo stesso spirito con cui sono dettate le norme generali degli artt. 2089 ss. c.c. sulla responsabilità dell’imprenditore».

[71] L’art. 3, c. 2, lett. e) della l. delega 366/2001 indicava, tra i principi e i criteri direttivi cui la riforma si doveva ispirare, il riconoscimento di «ampia autonomia statutaria riguardo alle strutture organizzative, ai procedimenti decisionali della società e agli strumenti di tutela degli interessi dei soci, con particolare riferimento alle azioni di responsabilità».

[72] Si è evidenziato che il diritto di ispezione ora attribuito ai soci della s.r.l. «è certamente più ampio di quello attribuito in regime legale ai soci accomandanti dell’accomandita semplice … è corrispondente, invece, a quello attribuito ai soci in nome collettivo e agli accomandatari non amministratori … se non addirittura ampliato dalla previsione della consultabilità tramite professionisti»: così, Rivolta, (nt. 62), 697 ss.. Per quell’orientamento che ritiene applicabile anche ai soci accomandanti l’art. 2261 c.c. in forza del rinvio di cui all’art. 2315 c.c., v., supra, in nt. 6.

[73] La formulazione di tale disposizione ha suscitato numerose perplessità, soprattutto in considerazione del fatto che il provvedimento di revoca, che è dal legislatore espressamente qualificato come cautelare, non anticipa la statuizione di merito che è pacificamente diretta a conseguire il risarcimento dei danni. Il provvedimento in questione pare, infatti, inserirsi nell’azione di risarcimento dei danni provocati alla società da parte degli amministratori ed essere strumentale alla stessa, in quanto il legislatore avrebbe in tal modo voluto responsabilizzare i soci vincolando l’istanza di revoca all’esercizio dell’azione di responsabilità: così, la Relazione Ministeriale, (nt. 59), 151, in cui si parla del «potere di ciascun socio di promuovere l’azione sociale di responsabilità e di chiedere con essa la provvisoria revoca giudiziale dell’amministratore in caso di gravi irregolarità». V., in particolare, Arieta-Gasperini, La revoca cautelare ante causam degli amministratori di s.r.l., in Corr. giur., 2005, 269, secondo i quali, se la funzione della revoca va intesa «come misura finalizzata ad impedire l’aggravarsi dei danni provocati dalla condotta negligente o “disinvolta” degli amministratori, è da escludere che ad essa si possa riconoscere l’idoneità ad anticipare provvisoriamente gli effetti della decisione sull’azione di responsabilità e, quindi, l’attitudine a conservare efficacia pur in assenza del giudizio di merito. Lo sganciamento della tutela di merito è previsto, infatti, dall’art. 23, c. 1, d. lgs. 5/2003, per quelle misure cautelari il cui contenuto riveli una sostanziale coincidenza, in tutto o in parte, con il contenuto della futura decisione di merito, o che comunque assicurino una serie di utilità che soddisfino, quantomeno allo stato, le aspettative di tutela della parte istante»; cfr. De Angelis, Amministrazione e controllo nella società a responsabilità limitata, in Riv. Soc., 2003, 475; Mainetti, (nt. 62), 98 ss.; Parrella, (nt. 60), 131 ss.; Ruggiero, (nt. 62), 1085 ss.; D.U. Santosuosso, (60), 222 ss..

Per una diversa lettura che sgancia la richiesta del provvedimento cautelare dall’azione di responsabilità, facendo leva sia sul piano letterale, sia sul piano sostanziale, v., in particolare, Fortunato, I controlli nella riforma della società, in Aa. Vv., Il nuovo diritto delle società di capitali e delle società cooperative, a cura di M. Rescigno e di Sciarrone Alibrandi, Milano, 2004, 82 ss.; cfr. Bussoletti, (nt. 60), 1227; D’Ambrosio, (nt. 62), 444.

[74] Il legislatore ha postulato l’esistenza, e non il mero fondato sospetto di cui all’art. 2409 c.c., di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori, incidendo in tale modo profondamente sull’onere probatorio in capo ai soggetti legittimati. È stato, altresì, segnalato - e il tema verrà ripreso tra breve nel testo - «il nodo ermeneutico per cui possono darsi gravi irregolarità gestionali che non causano un danno patrimoniale alla società - o lo causano solo in via potenziale - e dunque non legittimerebbero la proposizione di un’azione di responsabilità e parrebbero irrilevanti al fine di richiedere la revoca giudiziale»: così, in particolare, M. Rescigno, (nt. 60), 59 ss..

[75] Cagnasso, (nt. 60), 1887 ss., si è chiesto se non sarebbe stato più opportuno «riconoscere espressamente, come nelle società di persone e come è previsto per la s.r.l. nell’ordinamento francese, la facoltà, a favore di ciascun socio, di richiedere, in via giudiziaria, la revoca dell’amministratore in presenza di una giusta causa, facoltà che avrebbe sicuramente consentito un provvedimento cautelare anticipato».

[76] Si noti che, da un lato, in tema di s.r.l., l’art. 2479, c. 2, n° 2, c.c. riserva alla competenza dei soci solo ed esclusivamente «la nomina, se prevista nell’atto costitutivo, degli amministratori», dall’altro, in tema di s.p.a., l’art. 2364, c. 1, n° 2), c.c. riserva alla competenza dell’assemblea ordinaria sia la nomina sia la revoca degli amministratori.

[77] Così, Consolo, (nt. 60), 272; Parrella, in Aa. Vv., La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, sub art. 2475, 102 ss..

[78] In questo senso, Ruggiero, (nt. 62), 1089, che però nega l’ammissibilità del ricorso al provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., la quale, come accennato, può escludersi sulla base dell’art. 2476, c. 3, c.c. che sembra precludere revoche cautelari in ipotesi in cui le irregolarità non siano gravi.

[79] Arieta-Gasperini, (nt. 73), 270, sul presupposto che il rinvio alle disposizioni in materia di società personali contrasterebbe con «la logica privatistica e contrattualistica di valorizzazione dell’autonomia privata tipica della regolamentazione dei rapporti sociali nella nuova s.r.l.» che impedirebbe «l’applicazione analogica di norme tratte da altri contesti, che prevedano forme di ingerenza giudiziaria non espressamente previste nello specifico contesto normativo della s.r.l.»; cfr. Schirò, (nt. 60). Si osservi anche che il legislatore non ha previsto la revoca di diritto degli amministratori in dipendenza dell’esercizio dell’azione di responsabilità da parte dei soci che rappresentino una percentuale qualificata del capitale sociale, come avviene nelle s.p.a. ai sensi dell’art. 2393, c. 4, c.c., non più richiamato per le s.r.l..

[80] Si è osservato, in primo luogo, che, mentre con il procedimento cautelare di revoca si può ottenere solo ed esclusivamente la rimozione dell’amministratore convenuto in giudizio dal suo ufficio, nel procedimento ex art. 2409 c.c. il Tribunale può adottare, oltre al provvedimento di revoca nei casi più gravi, tutta una serie di misure correttive che meglio si possono adattare al caso concreto (per esempio, il potere di ispezione, quello di disporre «gli opportuni provvedimenti cautelari» e di convocare l’assemblea, la possibilità di nominare un amministratore giudiziario): così, Mannoni, (nt. 60), 290 ss.; nello stesso senso, D’Ambrosio, (nt. 62), 445; Di Amato, in Aa. Vv., La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, Milano, 2003, sub art. 2476, 208; Nazzicone, (nt. 62), 1079; Salafia, (nt. 60), 1329 ss.. Si consideri, inoltre, che l’azione di responsabilità promossa dal singolo socio potrebbe essere oggetto di rinunzia o transazione da parte della società ai sensi dell’art, 2476, c. 5, c.c. e che, come già osservato supra in nt. 74, l’art. 2409 c.c. richiede il fondato sospetto, anziché il compimento, di gravi irregolarità, tanto che Ruggiero, (nt. 62), 1090, ha affermato che «l’art. 2409 c.c., alla luce di quanto oggi previsto per le s.r.l. dall’art. 2476, c. 3, c.c., risulta essere in concreto una norma meno rigorosa»; cfr. Schirò, (nt. 60).

[81] Secondo Ruggiero, (nt. 62), 1089, «se la legge li avesse privati di un simile potere, mancando in tale contesto la nomina a sostituzione degli amministratori attuali, di un amministratore giudiziario, così come previsto ex art. 2409 c.c., la società sarebbe privata di un soggetto che conduca la stessa, per tutta la durata del giudizio ordinario di responsabilità, sintomo di una situazione precaria, e che in definitiva finirebbe per sanzionare i soci e non solo l’amministratore». Mainetti, (nt. 62), 98 ss., rileva come nel nostro ordinamento, quando viene eccezionalmente riconosciuto al giudice il potere di revocare un amministratore, l’organo istituzionalmente preposto alla nomina non viene spogliato del proprio potere originario (artt. 2259, 2275, 2487 c.c.), salvi i casi espressamente previsti dalla legge (artt. 2409, 2545-sexiesdecies). Cfr. Abriani, La società a responsabilità limitata, (nt. 60), 314; S. Ambrosini, (nt. 62), 298; Arieta-Gasperini, (nt. 73), 270; Chizzini, Modifiche al controllo giudiziale sulla gestione nel novellato art. 2409 c.c., in Riv. dir. civ., 2004, II, 733; D’Ambrosio, (nt. 62), 444; Di Amato, (nt. 80), 208; D.U. Santosuosso, (nt. 60), 222 ss.; Silvestrini, (nt. 62), 696.

[82] Così, Auletta, (nt. 54), 311.

[83] V., tra le molte, con riferimento ad una s.a.s., Cass., 9 giugno 1981, n° 3719, in questa Rivista, 1982, II, 15; Trib. Milano, 31 maggio 2001, in Società, 2002, 372; con riferimento ad una s.n.c., Trib. Milano, 16 aprile 1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 98.

[84] Cfr., in dottrina, Cottino, (nt. 4), 163; F. Di Sabato, (nt. 12), 132; Giannattasio, Legittimazione del singolo socio della società in nome collettivo ad agire, nell’interesse della società, contro il socio amministratore infedele, in Giust. civ., 1960, I, 1263.

[85] Per un approfondimento se nelle società di persone il principio base sia l’unanimità o la maggioranza, v. , per tutti, G.F. Campobasso, (nt. 4), 113 ss.. Si noti, però, che l’art. 2276, c. 3 del Progetto Rovelli prevede che l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori di s.n.c. sia promossa in seguito a deliberazione dei soci con la maggioranza determinata secondo il valore dei rispettivi conferimenti o, in mancanza, secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili. La disposizione prosegue prevedendo che, «se necessario, ciascun socio può chiedere al presidente del tribunale la nomina di un curatore speciale per proporre l’azione».

Contro tale impostazione, v., in particolare, M. Ghidini, (nt. 4), 429, in quanto il danno sofferto dal patrimonio delle società di persone, prive di personalità giuridica, incide direttamente sui soci, contitolari del patrimonio stesso. Pertanto, «ogni soggetto, in capo al quale è fissata la con titolarità di un diritto, è legittimato a fare valere il diritto medesimo»; cfr. Di Chio, L’azione sociale di responsabilità nelle società personali: legittimazione del singolo socio ad esperirla?, in Giur. comm., 1981, II, 95 ss.; G. Ferri, (nt. 12), 178, in quanto non è prevista «una manifestazione della volontà della collettività, né è stabilito come questa debba essere formata e cioè quali soci debbano parteciparvi … e quale maggioranza sia necessaria»; Galgano, Diritto civile e commerciale L’impresa e le società, Padova, 2004, 384; Greco, (nt. 33), 333; in giurisprudenza, con riferimento ad una s.a.s., v., in particolare, quella giurisprudenza che giustifica l’attribuzione dell’azione a ciascun socio facendo leva sulla premessa che il patrimonio sociale forma oggetto di comunione particolare qualificata dallo scopo e unificata in funzione di esso e che, pertanto, tra i soci e il patrimonio vi sarebbe un rapporto di con titolarità: così, Trib. Milano, 8 ottobre 1990, in Giur. it., 1991, I, 2, 390. V., anche, Trib. Alba, 10 febbraio 1995, in Società, 1995, 828, secondo cui l’attribuzione a ciascun socio dell’azione sociale di responsabilità sarebbe ulteriormente giustificata dalla «assenza di un qualunque meccanismo previsto dalla legge, finalizzato a disciplinare la manifestazione di volontà della collettività dei soci diretta ad esercitare l’azione».

[86] Cfr. Montalenti, (nt. 6), 207.

[87] è pacifico che costituisca giusta causa di recesso l’illegittimo comportamento degli altri soci tale da incrinare la reciproca fiducia, quale appunto un’amministrazione disonesta o disordinata: v., in particolare, in dottrina, G.F. Campobasso, (nt. 4), 121; in giurisprudenza, Cass., 14 febbraio 2000, n° 1602, in Giur. it., 2000, 1659. 

[88] è pacifico che a ciascun socio spetti l’azione diretta di responsabilità: v., in particolare, in dottrina, G.F. Campobasso, (nt. 4), 105; in giurisprudenza, Cass., 28 marzo 1996, n° 2846, in Giur. it., 1997, I, 1, 790; Cass., 13 dicembre 1995, n° 12772, in Giust. civ. mass., 1995, 2018; Cass., 10 marzo 1992, n° 2872, in Giust. civ. mass., 1992, 372.

[89] Con riferimento alle società di capitali, è noto che la migliore dottrina ha individuato come caso tipico quello dell’amministratore che induce, mediante la redazione di bilanci falsi, i soci a sottoscrivere o ad acquistare azioni ad un prezzo eccessivo: per una casistica, v., per tutti, Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, 215 ss..

[90] Come si è già osservato, secondo autorevole dottrina, il fondamento della nomina giudiziaria dell’amministratore ex art. 2409 c.c. va in particolare rinvenuto «nel proposito di ulteriore difesa della minoranza che abbia già ottenuto la revoca»: così, Auletta, (nt. 54), 310.

[91]  Il decreto di nomina del Tribunale stabilirà la durata in carica dell’amministratore giudiziario nonché i poteri a quest’ultimo attribuiti, tra i quali potrà essere espressamente previsto l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità nei confronti dell’amministratore revocato. Si può ragionevolmente sostenere che la durata della carica dell’amministratore giudiziario incontri comunque il limite temporale di cui all’art. 2323, c. 2, c.c. e che, pertanto, il decreto di nomina non possa prevedere una durata della carica superiore a sei mesi.

[92] è, però, doveroso ricordare l’opinione di chi ha criticato quella giurisprudenza che ha provveduto a nominare, ex art. 700 c.p.c., un amministratore giudiziario, senza, però, preoccuparsi di ricercare in altra norma il fondamento positivo del provvedimento: così, Galgano, in nota a Pret. Udine, 2 aprile 1964 (ord.), in Giur. it., 1964, I, 2, 529; cfr. Patelli, (nt. 26), 518; Tedeschi, (nt. 48), 558; in giurisprudenza, v., in particolare, Trib. Roma, 4 maggio 2000 (ord.), (nt. 11); Pret. Milano, 23 marzo 1981 (ord.), in Giur. it., 1982, I, 2, 487; Pret. Milano, 19 febbraio 1979 (ord.), (nt. 29).