1. Separazione dei coniugi
 
        Già dai profili generali sul matrimonio canonico, si deducono agevolmente gli effetti che esso produce sullo stato coniugale (can. 1055); gli stessi si rinvengono peraltro ulteriormente richiamati nel Codice di diritto canonico, laddove si afferma il principio della parità dei coniugi, nell’ambito di una convivenza durevole e fedele da cui sorgono diritti e doveri reciproci nell’adempimento di tutto quanto occorra alla società coniugale, in spirito di totale comunione e mutuo sostegno, nella quale riveste componente essenziale l’educazione della prole negli aspetti più ampi (can. 1134 e segg.).  

        Tuttavia, lo stesso Codice prevede che, allorquando particolari fatti o circostanze intervengano a turbare la convivenza dei coniugi tale da renderla intollerabile, questa può legittimamente essere sospesa o addirittura cessare del tutto con la loro separazione personale, con conseguente sospensione di determinati effetti, ma lasciando giuridicamente intatto il vincolo (can. 1151 e segg.).

        Ad esempio: ciò può accadere nel caso in cui taluno dei coniugi si renda responsabile di adulterio, ovvero ponga in essere comportamenti gravemente lesivi del bene sia spirituale che corporale dell’altro coniuge o della prole, oppure renda troppo dura la vita coniugale.

        In ambito processuale canonico, la competenza per le cause di separazione coniugale appartiene al vescovo diocesano; tuttavia, nel caso in cui i coniugi siano sposati anche civilmente, la Chiesa preferisce lasciare alla giurisdizione statale le opportune decisioni in materia, soprattutto in considerazione delle conseguenze di natura patrimoniale che essa frequentemente comporta (can. 1692).
 
 
2. Scioglimento del vincolo matrimoniale
 
        Trattando ancora dei profili generali sul matrimonio canonico, si accennava come la Chiesa, pur affermandone in linea di principio il carattere indissolubile, preveda tuttavia alcuni casi particolari e specifici, come di seguito illustrati, in cui esso possa essere sciolto.

 
a)  Matrimonio rato e non consumato (cann. 1697-1706)
 
        Con tale terminologia si fa riferimento ad un matrimonio giuridicamente valido tra due persone battezzate (matrimonio-sacramento) oppure tra una persona battezzata ed un’altra non battezzata, a cui non sia seguito un atto coniugale potenzialmente idoneo alla generazione della prole. Ricorrendo tale ipotesi, rimane nella esclusiva prerogativa del Romano Pontefice – in virtù della speciale potestà vicaria ricevuta da Cristo – l’eventuale scioglimento del vincolo coniugale tramite un provvedimento denominato «dispensa», dopo un articolato itinerario processuale di carattere amministrativo, promosso ad iniziativa di taluno dei coniugi (o anche di entrambi) presso il competente tribunale diocesano, con prosieguo presso il Tribunale della Rota Romana (già Sacra Rota) in Roma, finalizzato ad accertare sia l’inconsumazione del matrimonio, sia la sussistenza di una giusta causa per la concessione della dispensa stessa.

        Trattasi, comunque, di un provvedimento del tutto discrezionale, di grazia e non di giustizia, poiché esso non è finalizzato a tutelare dei diritti (come avviene nelle cause di nullità del matrimonio), ma comporta la concessione di un mero privilegio, che – per tale sua specifica connotazione – non è suscettibile di appello in caso di rigetto della domanda. Ne consegue che, pur nell’ipotesi di un matrimonio concordatario (cioè celebrato in forma canonica cui sia seguita trascrizione ai fini civili), detto provvedimento neppure può ricevere efficacia nell’ordinamento italiano tramite il procedimento di delibazione, rimanendo perciò la procedura divorzile l’unico rimedio processuale possibile per lo scioglimento del vincolo anche sotto il profilo giuridico-civilistico.

        A differenza della sentenza della dichiarazione di nullità, il provvedimento di dispensa produce sul matrimonio effetti giuridici solo dal momento della sua pronuncia, non retroattivamente (cfr. in questo sito Il processo di nullità matrimoniale, punto n. 1).    

 

b)  Privilegio paolino (cann. 1143-1147)
 
        Con tale terminologia si intende quello speciale potere di origine divina rivelato da Cristo all’apostolo Paolo, così come si evince dalla Sacra Scrittura, e quindi trasferito al Romano Pontefice quale Vicario di Cristo. Secondo tale privilegio, finalizzato ad agevolare la conversione alla religione cristiana, i matrimoni celebrati tra non battezzati possono essere sciolti allorquando taluno di essi riceva successivamente il battesimo abbracciando appunto tale religione, ma si veda ostacolato nel suo cammino di fede dall’atteggiamento del coniuge che non intende aderire alla Chiesa cattolica, ovvero non vuole coabitare con lui, ovvero non vuole coabitare con lui senza indurlo a peccare o senza maltrattarlo a causa della conversione. Ne consegue che, per superare il contrasto tra la regola dell’indissolubilità e il bene della fede (di qui anche la denominazione «privilegio della fede»), che rappresenta di per sé un valore superiore da tutelare, il coniuge convertitosi al cattolicesimo può passare a nuove nozze con una persona cattolica, liberandosi automaticamente («ipso iure») dal precedente vincolo coniugale, senza necessità di alcun specifico provvedimento da parte dell’autorità ecclesiastica.

        Tale situazione va comunque verificata tramite un veloce e sommario procedimento, che consiste nell’interpellazione rivolta al coniuge non convertito al fine di verificare se voglia ricevere anch’egli il battesimo o se almeno intenda continuare una convivenza pacifica senza offesa per il Creatore («sine contumelia Creatoris»). In caso di risposta negativa ovvero di ingiustificato silenzio, il coniuge convertito acquista – come si diceva – il diritto a contrarre nuovo matrimonio.

 

c)  Privilegio petrino (can. 1148)
 
        Con tale terminologia (da più parti ritenuta comunque impropria) si intende quella speciale autorità vicaria di gode ancora il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, in forza della quale un matrimonio può essere sciolto in favore della fede (c.d. «favor fidei»), analogamente a quanto si verifica con il privilegio paolino. Tale possibilità di scioglimento si configura nei casi di matrimoni intercorsi tra un infedele e una parte cristiana battezzata in una confessione non cattolica (che non hanno perciò carattere sacramentale, come lo hanno invece quelli tra due persone battezzate nella Chiesa cattolica), allorquando la parte convertita al cattolicesimo non possa più convivere con l’altra.

        A tale potere  del Pontefice si ricollega, in via similare, quello relativo allo scioglimento delle unioni poligamiche o poliandriche. In tal modo, l’uomo che abbia più mogli tutte non battezzate che si converta al cattolicesimo dovrebbe rimanere con la prima di esse. Tuttavia, qualora ciò risulti difficile, può trattenere con sé quella che preferisce, abbandonando le altre. Analogamente nel caso della donna che abbia più mariti e che successivamente si converta alla fede cattolica.