La reazione più frequente di fronte alle cause matrimoniali, anche di cattolici ferventi e culturalmente qualificati, è lo sconcerto o il rifiuto; a volte la contestazione e lo scandalo. Nella maggior parte dei casi alla base di ciò è da porre una mancata conoscenza dei principi fondamentali e della giurisprudenza canonica. Prima di analizzare casi concreti, è utile, perciò, premettere alcune considerazioni generali, coordinate necessarie per orientarsi in questa complessa materia.

  1. Il sacramento del matrimonio, per la singolare rilevanza nei confronti delle persone coinvolte e della stessa comunità ecclesiale, gode di una tutela giuridica, intesa a salvaguardare la natura, il fine e la dignità. Nasce da ciò la dettagliata normativa sulla capacità e idoneità dei soggetti, sul consenso, sulla forma canonica della celebrazione. E’ chiaro, però, che questi elementi di tutela, al negativo, rappresentano motivi di nullità, riguardando aspetti essenziali del matrimonio medesimo.
  2. Il matrimonio, validamente celebrato, non può più essere messo in discussione per il fatto che nessuna autorità umana, né ecclesiale, né statale, può annullare questa realtà umano-divina. Sbagliano, quindi, quanti parlano di annullamento di matrimonio da parte dei tribunali ecclesiastici, proprio perché l’esperienza matrimoniale, validamente costituita, è sottratta alla competenza della Chiesa.
  3. In conseguenza di quanto appena detto, l’attività dei tribunali ecclesiastici è volta unicamente ad accertare la validità o meno dei matrimoni sottoposti al loro esame, verificando l’esistenza o meno di tutti i requisiti necessari per la valida costituzione del vincolo anteriormente e durante la celebrazione. Quanto accade dopo il matrimonio viene preso in considerazione solo se dà riscontro e conferma a elementi prima almeno implicitamente presenti.
  4. Le sentenze dei tribunali ecclesiastici nelle cause matrimoniali sono solo dichiarative in quanto, acquisite le prove previste, dichiarano che quel matrimonio, nonostante gli atti posti, non è mai esistito. Tale profilo dichiarativo ha una conseguenza importantissima: se i fatti addotti e le prove annesse non sono secondo verità, se il processo è stato impostato e proseguito in mala fede, la sentenza di nullità del tribunale ecclesiastico non ha nessun valore sostanziale e chi ha messo in piedi tutto il disegno ha solo spiazzato la sua coscienza, aggravata dalle connesse conseguenze morali. Ciò significa, ovviamente, che l’eventuale successivo matrimonio, celebrato secondo il rito sacramentale, sarà assolutamente nullo e inconsistente; per chi è responsabile del tutto e per chi è a conoscenza della verità delle cose, inoltre, la convivenza coniugale è una unione illegittima. Va sottolineata, quindi, l’incidenza della coscienza nello svolgimento dei processi matrimoniali; ad essa si fa appello come garanzia di verità e su di essa ricadono le refluenze di scelte contrarie alla verità.
  5. da ultimo, bisogna osservare che qualsiasi ordinamento umano è fallibile, pur se adeguatamente sostenuto da principi e giurisprudenza che, ordinariamente, consentono di raggiungere la certezza morale sui fatti esaminati. L’errore, comunque, è sempre da mettere in conto e non deve suscitare perplessità, soprattutto in considerazione del fatto che chi agisce in buona fede è sollevato da ogni responsabilità, che ricade, invece, su chi è causa dell’errore stesso.

CAPI DI NULLITA’

Il consenso è un atto umano e personalissimo che i coniugi, liberi da impedimenti (iure habiles) devono manifestare legittimamente per dare vita al patto matrimoniale. Il consenso è un unico atto che si esprime congiuntamente in duplice impegno di reciproca donazione e accettazione. Con il patto coniugale l’uomo offre alla donna se stesso, l’intera sua persona, in tutte le sue espressioni spirituali e sensitive. Uguale gesto compie la donna verso l’uomo. Perché sia un vero consenso matrimoniale è necessario che i nubenti intendano contrarre le nozze e l’oggetto formale del consenso è il foedus irrevocabile e la materia su cui esso ricade è il consortium totius viate che include l’insieme della vita coniugale: nell’intimità dell’intera persona partecipata reciprocamente, le relazioni interpersonali, l’affetto condiviso nelle sue espressioni spirituali e sensitive…

Questo atto umano è un atto di volontà che presuppone un atto dell’intelletto. Quindi il consenso delle parti può essere viziato sia da parte dell’intelletto che da parte della volontà. Il legislatore offre l’elenco tassativo dei vizi del consenso matrimoniale nei cann. 1095-1103 distribuendoli nelle due categorie di vizi a) ex parte voluntatis: esclusione (simulazione 1101); condizione (1102) paura (vis vel metus 1103); b) ex parte intellectus: carenza del sufficiente uso di ragione (1095, 1); grave difetto di discrezione di giudizio (1095,2); incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura psichica (1095,3); ignoranza (1096); errore (1097); dolo (1098).
 

SIMULAZIONE

Il caso del consenso simulato (simulazione totale) laddove almeno uno dei coniugi con atto positivo della volontà ha escluso il matrimonio, pur comportandosi davanti agli altri come un normale sposo o sposa, sia durante la celebrazione liturgica del matrimonio sia dopo. La normativa canonica parte da una affermazione di principio saggia: il consenso interno del soggetto si presume conforme alle parole o ai segni adoperati nel celebrare il matrimonio (can. 1101, §1). I giuristi la chiamano praesumptio iuris, cioè una situazione, che, salvo prova contraria, si considera determinata correttamente ed efficacemente, poste certe condizioni espressamente requisite. Se qualcuno si comporta come solitamente sogliono comportarsi quelli che coscientemente  liberamente intendono contrarre un vero matrimonio, si deve concludere che costui voglia permanete sposarsi; a meno che non si provi che tra ciò che ha fatto e ciò che effettivamente voleva c’è una distanza paragonabile a quella che esiste tra chi recita una parte e chi la vive veramente. E’ quanto evidenzia il § 2 del canone citato: ma se una o entrambe le parti escludono con un atto positivo di volontà il matrimonio stesso…. contraggono invalidamente”. Il matrimonio non è una sequenza di atti esterni, ma principalmente una scelta interiore, fatta da chi sa cosa sta scegliendo e con l’intenzione espressa ed esplicita di realizzare proprio ciò che ha conosciuto. Però ciò che è dentro la persona non può essere conosciuto se non con i segni e le espressioni che manifestano all’esterno tutto ciò. Il si interno se accompagnato da assoluto silenzio esterno, non arriva come tale; e, di contro, il si esterno, senza l’adesione interna è un gesto fisico, che non coinvolge la persona nella sua globalità, fatta appunto di corpo e spirito. Allora è proprio la struttura della persona ad esigere la presenza dle doppio elemento : interno ed esterno; ed è solo da questa simultanea compresenza che nasce un’azione vera ed umana con tutte le conseguenze connesse. Normalmente e ordinariamente suole avvenire che chi si comporta in un certo modo intende realizzare veramente ed esattamente proprio quella realtà; Ed ecco la ragione della praesumptio. Ma se c’è diversificazione tra ciò che si vede e si sente e ciò che rimane atto interno, non è rilevante e principale l’azione esterna ma quella interna perché fondamento della esterna. Il canone richiede il positivo atto di volontà contrario al matrimonio, perché si verifichi la simulazione. Non basta un semplice atteggiamento di indifferenza, o passivo nei confronti del matrimonio, ma è necessario che la determinazione della volontà che appare all’esterno (il sì detto a parole) sia annullata dalla determinazione della volontà interna opposta (la contrarietà la matrimonio). Ecco la ragione della nullità al matrimonio celebrato da chi esternamente si sposa, senza voler sposare nel suo cuore e nella sua volontà. Perché tale matrimonio possa essere dichiarato nullo bisognerà fornire le prove dovute, finalizzate a dimostrare la discrepanza reale tra volontà interna e atti esterni. Strumenti di prova, richiesti dalla giurisprudenza canonica, sono l’ammissione giurata del coniuge simulante, fatta non solo al momento del processo, ma anche e soprattutto in tempi e modalità al di sopra di ragionevoli sospetti; ancora, la esistenza di una motivazione che giustifichi un comportamento anomalo, come quello descritto; infine un esame approfondito di circostanze rilevanti, anteriori, contemporanee e successive al matrimonio, che diano ulteriore conferma all’assunto di chi sostiene di aver simulato il consenso.

Il can. 1101 è strettamente connesso al can. 1057 che individua nel consenso l’elemento fondante il vincolo coniugale perché si compone di due volontà in unità d’accordo che mutuamente si comunicano di darsi e accettarsi reciprocamente. Fino a prova contraria l’ordinamento canonico presume che il consenso corrisponda alla volontà interna e prevede una presunzione iuris tantum; difatti il canone comprende due paragrafi: il primo contiene tale presunzione generale di diritto; il secondo fissa i casi concreti di esclusione del consenso, distinguendo tra simulazione totale ossia esclusione dello stesso matrimonio e parziale, ossia esclusione di un suo elemento o proprietà essenziali senza i quali esso non può sussistere.

La differenza tra le due forme si basa sull’oggetto dell’atto positivo di volontà. Esso nella prima verte sul contenuto e sugli effetti della manifestazione di volontà, dato che nel soggetto predomina l’animus non contrahendi che dà origine a un’apparenza di matrimonio per fini estranei alle nozze, che dunque sono nulle per diritto naturale. Nella seconda l’oggetto dell’atto, pur non mancando dell’animus contrahendi, è giuridicamente inefficace poiché l’intenzione di sposarsi del subente corrisponde a un proprio schema non coincidente con la struttura oggettiva dell’istituto matrimoniale; in sostanza sussiste l’animus non se obligandi a uno o più elementi o proprietà caratterizzanti l’unione coniugale. Proprietà essenziali del matrimonio sono l’unità e l’indissolubilità a mente del can. 1056. gli elementi essenziali sono sia quei diritti e doveri che costituiscono il bene dei coniugi, senza i quali non si può realizzare, sia quelli che si riferiscono all’ordinamento del matrimonio, alla generazione ed educazione della prole. Essi sono: il diritto alla paternità, il diritto-dovere alla corretta sessualità legittimata dal matrimonio, il diritto-dovere all’accoglienza e all’educazione dei figli, etc…

Dottrina e giurisprudenza li identificano con i tria bona che danno vita ai tre tipi di simulazione parziale contemplati dal canone: esclusione del bonum prolis, fidei, sacramenti.

Il bonum prolis è uno dei fini del matrimonio e un elemento essenziale dello stesso fondato sulla procreazione ed educazione della prole. Ad essa si affianca il bonum coniugum (i coniugi per mezzo della loro reciproca donazione tendono alla comunione delle loro persone con la quale si perfezionano a vicenda per collaborare con Dio alla generazione ed educazione delle nuove vite). I coniugi escludono al momento del consenso il diritto all’atto sessuale o lo concedono per un tempo determinato o hanno il fermo proposito di evitare la generazione invalidano il matrimonio. Al contrario, al validità non è compromessa se i coniugi si attengono ai principi della procreazione responsabile limitando l’esercizio del diritto. Il bonum fidei si riferisce alla proprietà dell’unità del vincolo matrimoniale e comporta l’osservanza della fedeltà coniugale. Però mentre l’unità esige soltanto l’unicità del vincolo che si attua tra un solo uomo e una sola donna (1056), la fedeltà esige anche il diritto dovere alla reciproca esclusività degli atti coniugali. Viene escluso questo bene quando uno o entrambi i coniugi hanno la ferma intenzione di non obbligarsi ad osservare la fedeltà o intendono continuare ad avere relazioni sessuali con una terza persona, non donandosi in modo esclusivo alla comparte. (obbligo dell’uso esclusivo della sessualità fra gli sposi. L’esclusione del bonum sacramenti comporta che con atto positivo di volontà i subenti escludono dal consenso l’indissolubilità, altra proprietà prevista dal can. 1056. Chi ha il proposito di sciogliere l’unione coniugale nega alla comparte il diritto ad un vincolo perpetuo. Ciò si verifica con l’intenzione di celebrare un matrimonio temporaneo o dissolvibile. L’indissolubilità è una realtà naturale, intrinseca la natura stessa dell’unione sponsale, espressione della reciproca donazione e accettazione dei coniugi che liberamente scelgono di darsi all’altro. In effetti, l’essenza stessa del matrimonio, il bene dei coniugi e il bene della prole reclamano che il matrimonio porti con sé la prerogativa dell’indissolubilità. Il bonum coniugum, pur non appartenendo ai tria bona, è collegato al consortium totius vitae per cui le proprietà essenziali, la procreazione e l’educazione della prole sono ispirate e devono essere attuate insieme con il bonum coniugum. Rientrando in quelle finalità essenziali da perseguire nelle nozze, la sua assenza può inficiare il consenso. Quindi il matrimonio è nullo se i soggetti escludono il reciproco perfezionamento e il bene fisico, spirituale, psichico dell’altra parte.
 

CONDIZIONE

La condizione consiste in una circostanza eventuale, dalla quale si fa dipendere il matrimonio, celebrato, comunque, prima che si conosca l’esito della condizione. Tale circostanza, propriamente, deve riguardare il futuro, deve essere cioè, legata a fattori imponderabili e incerti che ne consentano la realizzazione solo in tempi successivi. L’avveramento della circostanza determina la contemporanea definitiva validità del matrimonio; al contrario, il suo mancato avveramento comporta l’annullamento del matrimonio, già celebrato. Tale procedimento è in contrasto con la teologia del matrimonio e con la normativa canonica perché va contro l’indissolubilità del matrimonio. Infatti nel caso di mancata realizzazione della circostanza addotta, il matrimonio celebrato viene meno perché la volontà della parte interessata faceva dipendere proprio da essa la sua adesione finale. 1102 il matrimonio non può essere contratto validamente sotto condizione futura. Ne consegue che il consenso con condizione futura è invalido e il matrimonio contratto è nullo. E pertanto il progetto di chi sposava con condizione fallisce proprio perché viene destituito di valore un tale intendimento. Per completezza bisogna accennare alle condizioni improprie, che riguardano eventi passati o presenti. Il carattere improprio è dato dal fatto che l’evento non è probabile e incerto ma è di già realizzato, solo che l’interessato non en conosce gli esiti. Anche gli effetti sono strettamente collegati con tale schema: il matrimonio è perfettamente valido fin dal suo inizio, se la condizione era già verificata; il matrimonio sarà, invece, nullo, sempre fin dal suo inizio, se la circostanza non era realizzata, conforme al § 2 del citato can. 1102.
 

TIMORE

Il matrimonio, vocazione impegnativa della persona, esige una libera adesione, per i risvolti di responsabilità verso se stessi, il coniuge e i figli, che ne derivano. Tutti infatti hanno dirotto di scegliere liberamente il proprio stato di vita (219). La limitazione di tale libertà comporta la nullità del matrimonio se interviene violenza e timore grave, provocato dall’altra persona e tale da potersene liberare solo a condizione di sposarsi. La violenza o costrizione è la causa, il timore è l’effetto, in un’azione combinata in cui il soggetto attivo è l’autore delle minacce, mentre il soggetto passivo è colui che, intimorito dalle minacce soccombe e accetta il matrimonio per evitare il male minacciato. Tuttavia, non ogni timore è causa di nullità, ma solo il timore grave valutato come tale in ragione del contenuto del male minacciato ed anche tenuto conto della personalità di colui che minaccia e di colui che è minacciato. Inoltre, si prende on considerazione il timore causato dall’iniziative di una persona, non lo stato d’animo provocato da paura immotivata o da autosuggestione in soggetto psichicamente labile. Da ultimo, si richiede un legame strettissimo tra il male minacciato che si vuole a qualunque costo evitare e la decisione di sposare, quasi per disperazione; in altri termini il matrimonio raffrontato al male minacciato rappresenta l’unica via d’uscita possibile ed obbligata. Quando soggetti attivi della costrizione sono i genitori o coloro che hanno autorità su chi deve sposare si ha non un timore comune, ma un timore reverenziale. Caratteristica tipica di tale timore è quella di essere valutato non grave ma lieve e quindi di non essere ordinariamente, caso sufficiente di nullità. Almeno che il male minacciato non sia e il timore riverenziale acquista i caratteri del timore comune con gli effetti di esso in ordine alla nullità del matrimonio.  

IMPOTENZA can. 1084

È il caso del matrimonio nullo per incapacità di poter realizzare la comunione matrimoniale:comunione spirituale, significata ed espressa anche nella comunione fisica.

L’impotenza, impedimento alla validità del matrimonio, può essere rilevata sia nell’uomo che nella donna e che essa può essere organica (è interessato l’apparato sessuale-riproduttivo per qualche difetto anatomico che menoma la struttura del soggetto impedendogli il compimento dell’atto sessuale) e funzionale (in presenza di un normale quadro anatomico, attiene alla sfera psichica, in quanto per qualche ostacolo dovuto alle cause più diverse, il soggetto non è in grado di espletare la sua attività sessuale per la mancanza di adeguati impulsi di origine nervosa-gli organi ci sono ma non riescono ad espletare la loro funzione). Possono essere assolute o relative (impossibile l’atto con chiunque; solo alla coppia). Le qualità richieste dalle legge perché l’impotenza sia causa di nullità del matrimonio: antecedente al matrimonio; perpetua nel senso non temporale ma giuridico come impossibilità a guarire con mezzi ordinari (l’impotenza è perpetua se può essere guarita solo con mezzi straordinari che sono tali per rischio o per difficoltà o per l’alto costo.

Se c’è un dubbio il matrimonio non può essere impedito ma neanche dichiarato nullo. Occorre supporto di medici esperti anche se la valutazione giuridica delle loro conclusioni scientifiche spetta sempre al giudice ecclesiastico. La sterilità, impossibilità ad avere figli, non rende nullo il matrimonio (tranne se oggetto di dolo).
 

INCAPACITA’

1095, § 1: Per sposare occorre che i contraenti esprimano il consenso, cioè un atto di volontà esplicito, libero, consapevole, con cui stabiliscono il patto irrevocabile di tutta la vita, inteso a conseguire una comunione piena nel dono reciproco, proteso al bene dei coniugi e aperto alla procreazione (can. 1057 § 1 e 1055 §1). Chi è carente del sufficiente uso di ragione, nel momento di consentire, sono incapaci di contrarre il matrimonio indipendentemente dalle cause di questa mancanza, anche se tale mancanza proviene da causa esterna momentanea come la droga o l’alcool. Deve essere proporzionata alla importanza che assume il consenso matrimoniale.

Tutto ciò che incide nella capacità discrezionale del soggetto, alterando le sue facoltà conoscitive e deliberative in ordine al matrimonio, rende il medesimo soggetto incapace di prestare un vero consenso. Infatti un atto non perfettamente consapevole non può essere addebitato al soggetto nei suoi effetti e nelle sue conseguenze, perché manca la cognizione necessaria e sufficiente di quanto sta compiendo e di ciò che ne seguirà.

Il soggetto tossicodipendente, immaturo,…. Prima del matrimonio viene a trovarsi in una situazione di volontà abulica e perde la sufficiente discrezionalità di giudizio non essendo più libero nelle sue decisioni. Egli non sa quello che vuole, ciò che compie, a che cosa va incontro e a quali responsabilità e obbligazioni assume per sé e per gli altri. Tale atto imperfetto di volontà condiziona negativamente e in modo assoluto tutta la vicenda matrimoniale indipendentemente dal seguito di atti compiuti (coabitazione, procreazione) che non possono rendere valido successivamente quanto è nato con difetti sostanziali.

1095, § 2: Il grave difetto di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali da dare e accettare reciprocamente. Si richiede nel nubente una maturità tale (anche se non perfetta sanità mentale, non piena maturità ma solo quella sufficiente all’atto matrimoniale)  consenta una adeguata valutazione dell’istituto matrimoniale e dell’impegno che ne consegue in senso intellettivo e volitivo. Cioè la conoscenza critica, ovvero la capacità di valutare che cosa comportino il matrimonio e le obbligazioni essenziali di esso, i diritti e i doveri discendono direttamente dalle proprietà e finalità dell’istituto. Quindi il diritto dovere alla fedeltà, all’indissolubilità, alla procreazione, all’educazione dei figli, all’aiuto reciproco e al rispetto in vista del bene comune. Non è possibile una casistica specifica, basta che il soggetto sia capace di intendere le caratteristiche principali dell’unione cristiana a prescindere dalle varie sfumature e problematiche. Si pensi al contenuto della fedeltà che consegue all’unità e costituisce uno dei diritti doveri cui fa riferimento il canone 1095, § 2. Tale obbligo aldilà dell’impegno a non commettere adulterio, comporta il dovere di una donazione globale di se stessi al coniuge nella prospettiva del bonum coniugum. È un diritto dovere reciproco da dare e ricevere simultaneamente in un interscambio continuo e illimitato. Nei casi di schizofrenia o gravi forme di tossicodipendenza con tendenze autodistruttive rende impossibile la autodonazione reciproca di aiuto in vista del bene comune. Non ogni perturbazione della psiche ma solo quella che incida in maniera determinante sulla possibilità di percepire adeguatamente le conseguenze fondamentali della scelta matrimoniale. Es.: forme di immaturità affettiva che gli impediscono di valutare l’oggetto del consenso e gli inibiscono un atto volitivo scevro da condizionamenti ovvero responsabile.

1095, § 3: sono incapaci i soggetti che non sono in grado di assumere le obbligazioni essenziali del matrimonio per cause di natura psichica.  È legato al principio nemo ad impossibilia obligari potest. È una novità legislativa, non previsto nel cic 17 ed è frutto dell’opera interpretativa ed evolutiva della dottrina e della giurisprudenza che partendo dall’analisi di casi di ninfomania e omosessualità è giunta al capo di nullità in questione. Poi si sono allargati ricomprendendo altri casi. Può avvenire che l’omosessuale desideri col matrimonio abbandonare il vizio che lo affligge e voglia sposare con quella volontà ed è in grado di percepire il valore etico del matrimonio volendo dar luogo ad una comunione di vita perpetua esclusiva e diretta alla procreazione della prole. Ma in realtà può darsi che egli non possa più ritornare ad un rapporto eterosessuale essendo il suo istinto polarizzato in senso omosessuale. Si tratta di una incapacità che no deriva necessariamente da un difetto psicologico di discernimento o di volizione ma da una carenza oggettiva attinente ad una condizione personale che rende il soggetto inabile alla relazione interpersonale matrimoniale e riguarda solo l’oggetto del consenso a differenza dei capi al §§ 1 e 2 che interessano l’atto psicologico soggettivo del consenso stesso. i motivi di natura psichica non sono necessariamente malattie mentali. Es.: nevrosi, stati borderline, anomalie psicosessuali, intossicazione abituale da droga o alcool, incapacità ai rapporti interpersonali, immaturità psicoaffettiva…. Alterazioni permamenti e stati transitori. Non sono compresi casi di semplice difficoltà ad attuare il consorzio matrimoniale dovuta a situazioni superabili con un minimo di impegno da parte dell’interessato. Si richiede una vera e propria impossibilità di poter assumere le obbligazioni essenziali peculiari all’impegno matrimoniale, ovvero quelle connesse alle sue proprietà e fini essenziali: connesse all’unità, fedeltà, indissolubilità, procreazione ed educazione prole, bonum coniugm (reciproco e continuo impegno al perseguimento del bene del coniuge e della coppia). L’impossibilità va riferita all’assunzione di tali obblighi e non al loro espletamento. L’incapacità deve sussistere la ko0mento del consenso senza dover attendere il mancato adempimento degli oneri in questione. Potrebbe essere infatti una incapacità sorta dopo il matrimonio e quindi non rilevante ai fini della nullità. Non è richiesta l’antecedenza. Né la perpetuità. Assoluta o relativa, in relazione al proprio compagno e in quelle circostanze sociali e ambientali, rispetto a quel particolare connubio.
 

Omosessualità

La questione della omosessualità oggi ha acquistato una forte valenza culturale, sociale, pubblica tale da incidere nel campo del diritto, in generale e canonico in particolare. Il matrimonio è caratterizzato dalla dimensione sponsale della sessualità che si compone di tre livelli: corporeo, affettivo, spirituale e che contraddistingue la relazione interpersonale degli sposi quale donazione e accettazione reciproca del consortium totius vitae. Nei casi di omosessualità tale dimensione unitiva non si realizza: il subente, pur se capace di intendere e di volere e di compiere, da un punto di vista soggettivo, un atto valido, oggettivamente risulta incapace perché non in grado di assumere gli obblighi matrimoniali essenziali. Ne consegue che il consenso emesso nel matrimonio non è valido per difetto dell’oggetto. La fattispecie in questione è contemplata nel can. 1095 n.3 sotto la voce cause di natura psichica, dalle quali trae origine la suddetta incapacitas. Il giudice ai fini della nullità deve constatare la presenza della incapacità sin dal tempo della celebrazione delle nozze, egli può avvalersi dell’aiuto della perizia che, quale supporto tecnico e scientifico, può contribuire alla ricerca della verità. Al contempo può prescindere da essa secondo il suo prudente apprezzamento e fondare il convincimento su altri elementi probatori come le presunzioni. In ogni caso la prova peritale non può risolversi nell’applicazione di una etichetta diagnostica e deve svolgersi nel rispetto dei valori dell’antropologia cristiana, che guarda all’uomo nella sua apertura a Dio e all’azione della grazia.

L’omosessualità può avere rilevanza in campo di errore (di persona e sulla qualità; se l’errore sulla qualità è sostanzialmente identificante la persona come la eterosessualità può provocare la nullità per errore sostanziale identificante l’altro coniuge nella sua mascolinità o femminilità), di dolo (la omosessualità nascosta ai fini di ottenere il consenso matrimoniale rende nullo il matrimonio perché è una qualità che per sua natura può turbare il consorzio coniugale, il quieto vivere insieme). Le sentenze rotali più recenti hanno inquadrato l’omosessualità tra le cause di esclusione della fedeltà. Inoltre, dato che le persone omosessuali non sono idonee alla mutua traditio-acceptatio, si può prendere in esame l’esclusione del bonum sacramenti, la dove la sessualità donata non può dirsi potenzialmente in grado di determinare uno stato di vita matrimoniale indissolubile. Allo stesso modo ci si può riferire al bonum coniugum, per l’inidoneità a costituire un consorzio per tutta la vita ordinato al bene fisico, psichico, spirituale dei coniugi. La dottrina però parla di incapacità, il che significa che manca nel caso del soggetto omosessuale un impegno matrimoniale definitivo, non perché escluso come nel caso del can. 1101, § 2, ma a causa dell’incapacità di assumerlo per effetto di ragioni sussistenti nel momento costitutivo del vincolo. La deviazione dell’orientamento sessuale che si riscontra negli omosessuali è tale da rendere questi ultimi incapaci sia di costituire con l’altro contraente un rapporto d’amore veramente umano, perpetuo, esclusivo e ordinato alla prole, sia di instaurare o di conservare una comunione coniugale perpetua ed esclusiva. I casi di omosessualità trovano più adeguata collocazione nell’ambito dell’incapacità consensuale e dell’errore semplice e doloso.
 

ERRORE

E’ nullo il matrimonio celebrato con persona sulla cui identità fisica si è tratti in errore. Sarebbe stato nullo il matrimonio di Federico che voleva sposare Gloria e stava per sposare Monica che per lui era gloria. Oggi è difficilmente verificabile e la ragione è comprensibile perché il matrimonio è un vincolo che si stabilisce tra due persone ben identificate che liberamente si scelgono e si accettano. L’errore di identità fa venire meno un presupposto essenziale ed indispensabile il cui esito è la nullità del matrimonio stesso.

Più complicata è al questione circa l’errore sulla qualità della persona che ha due aspetti: il primo enuncia la irrilevanza di tale errore in via ordinaria, perché una qualità è sempre un fatto accidentale rispetto alla persona in quanto tale; pertanto, la valutazione di tale qualità, assente o presente, non può risultare determinante. Il secondo aspetto invece prende in considerazione proprio l’ipotesi che la qualità sia talmente determinante da essere voluta direttamente e principalmente. In altre parole non si vuole sposare la persona in quanto tale ma la sua condizione espressa e manifestata dal possesso di quella determinata qualità. La mancanza di tale qualità che avrebbe potuto portare alla dichiarazione di nullità del matrimonio celebrato, fa venire meno la volontà di sposare, per il fatto che la persona desiderata, non rispondendo alle proprie attese irrinunciabili, non è quella voluta come coniuge.. la nullità connessa a tali tortuosi processi decisionali, non è accondiscendenza ai capricci di gente cavillosa, ma ulteriore salvaguardia della dignità del matrimonio, sottratta alle volubili e immotivate scappatoie di chi non sa percepire la grandezza e santità del sacramento.
 

DOLO

Si verifica solo in presenza di un’azione positiva, intesa a superare le incertezze della controparte, occultandogli deliberatamente e con disegno continuato qualche cosa che lo farebbe recedere dal proposito nuziale. Deve essere inoltre in questione una qualità, la cui assenza per natura sua sia in grado di alterare in modo decisivo la comunione coniugale; infine deve risultare che il consenso al matrimonio è dipeso effettivamente dall’errata valutazione della realtà, conseguente all’azione dolosa. In simili casi viene intaccata e compromessa la libera e consapevole scelta del coniuge, proprio per la deliberata azione diretta ad impedire la conoscenza vera e integrale della realtà. Con al conseguenza che, dopo il matrimonio, pur avendo proceduto con prudenza e accortezza, l’interessato si ritrova a subire le conseguenze che aveva in ogni modo cercato di evitare. Il dolo non può essere invocato quando è mancato il disegno positivo, inteso a interferire nella decisione della parte in causa; e  neanche quando i problemi sono stati causati da inadeguata e intempestiva valutazione della realtà. In tali situazioni il malcapitato deve prendersela solo con se stesso, per non aver affrontato una decisione tanto importante come il matrimonio senza le dovute cautele. La previsione normativa sul dolo non mira a rimediare esiti nuziali infelici, ma intende piuttosto garantire la linearità, libertà e responsabilità della scelta matrimoniale, neutralizzando eventuali interferenze indebite e perciò ingiuste e illegittime.
 

IGNORANZA

Il codice richiede un minimo di conoscenza circa la natura del matrimonio. Dice saltem non ignorent almeno non ignorino che il matrimonio è un consorzio permanente, di natura eterosessuale, ordinato alla procreazione che si ottiene attraverso una certa cooperazione sessuale.