La professione intellettuale del sanitario, una tipica obbligazione di mezzi, rientra nelle cosiddette professioni protette, per esercitare le quali è necessaria una specifica abilitazione e l’iscrizione in un apposito albo.
La diligenza con cui va espletata tale obbligazione è quella di cui al secondo comma dell’articolo 1176 del Codice Civile.
Tradizionalmente il medico rispondeva a titolo di responsabilità extracontrattuale, in quanto tra lui e il paziente non veniva concluso alcun contratto, a differenza di quanto avveniva con la struttura sanitaria con la quale veniva concluso un contratto atipico di spedalità.
La natura di questa responsabilità però, così inquadrata, portò la giurisprudenza a ritenere che il paziente danneggiato non ricevesse un’adeguata tutela, anche alla luce dell’articolo 24 della Costituzione (principio di effettività della tutela).
Sul finire degli anni ottanta la giurisprudenza fu allora impegnata a ricercare un fondamento contrattuale a tale tipo di responsabilità, e fu con la Sentenza del 1999 della Corte di Cassazione che venne segnata la svolta.
Anche il medico, così come già accadeva per la struttura sanitaria, iniziava a rispondere contrattualmente ex articolo 1218 del Codice Civile.
 A tale ricostruzione effettuata dalla giurisprudenza va riconosciuto il pregio di aver rafforzato la tutela del paziente.
Tuttavia non pochi problemi interpretativi si sono posti a seguito dell’emanazione della Legge Balduzzi, che facendo riferimento nel suo testo all’articolo 2043 del Codice Civile, ha creato negli interpreti il timore che il Legislatore abbia voluto incardinare nuovamente tale forma di responsabilità sotto l’alveo della responsabilità aquiliana, più sfavorevole per il danneggiato.
Sul punto si registrano due diversi orientamenti, ma in attesa di un intervento della Giurisprudenza di Legittimità che faccia chiarezza, appare opportuno poter concludere, seguendo l’orientamento maggioritario, che l’intenzione del Legislatore sia stata quella di allegerire il trattamento del sanitario sul piano penale, che risponderà solo per colpa grave laddove si sia attenuto alle guidelines, rimanendo indiscusso che sul piano civile il medico continui a rispondere a titolo contrattuale.
 
1) La responsabilità professionale ed in particolare quella del medico
La responsabilità professionale consegue all’inadempimento delle obbligazioni inerenti lo svolgimento di un’attività professionale.
La diligenza richiesta nell’espletamento di tali obbligazioni è quella di cui al secondo comma dell’articolo 1176, definita anche diligenza qualificata, in quanto il debitore non è soggetto alla media diligenza del buon padre di famiglia, ma ad una diligenza adempitiva superiore, da valutarsi alla stregua della natura dell’attività professionale esercitata.
L’obbligazione del medico è una tipica obbligazione di mezzi, o di diligenza, in quanto egli è obbligato ad eseguire la prestazione con la diligenza dovuta, ma non è tuttavia tenuto a conseguire il risultato.
Questa professione rientra nelle cosiddette professioni intellettuali che sono improntate, oltre che ai generali canoni di diligenza e prudenza, alle specifiche regole, leges artis, del settore di riferimento, cosiddetta perizia.
Per poter esercitare la sua professione il medico riceve una speciale abilitazione e viene iscritto in un apposito albo.
Alla sua attività si ricollega altresì l’articolo 2236 del Codice Civile secondo il quale il professionista intellettuale risponde solo per dolo o colpa grave.
2) La natura giuridica della responsabilità del medico
Il problema della natura giuridica della responsabilità medica, si pone nei casi in cui l’obbligazione cui è tenuto il sanitario, non trovi la propria fonte diretta in un contratto concluso con il paziente, ma nel rapporto di lavoro che lo lega alla struttura sanitaria.
Mentre la struttura sanitaria risponde da sempre a titolo contrattuale in forza di un contratto atipico di spedalità, ovvero di un contratto atipico a prestazioni corrispettive con effetti protettivi, più problematica è sempre apparsa l’individuazione dell’esatta natura della responsabilità del singolo medico che opera nella struttura sanitaria.
Secondo l’impostazione tradizionale, il medico risponderebbe a titolo extracontrattuale ex articolo 2043 del Codice Civile, risultando in questo caso soltanto soggetto ad un generico dovere di neminem laedere.
Questo regime giuridico e il suo conseguente precipitato in tema di regime probatorio, inizia però a non mostrarsi soddisfacente agli occhi degli interpreti, al fine di un’adeguata protezione del paziente, anche in virtù del disposto dell’articolo 24 della Costituzione.
La giurisprudenza pertanto, sul finire degli anni ottanta inizia a cercare un possibile fondamento contrattuale di tale responsabilità, poiché diversamente opinando si finirebbe con il paragonare il medico ad un quisque de popolo, sul quale graverebbe solo il generico dovere di neminem laedere di cui sopra.
Con la storica Sentenza della Corte di Cassazione, Sezione III, 22 gennaio 1999 n. 589, nella materia de qua, si registra una svolta.
In tale Sentenza infatti si afferma il principio di diritto per cui il medico risponde a titolo contrattuale ex articolo 1218 del Codice Civile, in forza del cosiddetto “contatto sociale qualificato” che si instaura tra lui e il paziente.
Quando il paziente entra in contatto con il medico, anche se non è stato stipulato alcun contratto, quest’ultimo deve agire come se invece tra i due sia stato concluso.
Da ciò scaturiscono anche i cosiddetti obblighi di protezione.
In altre parole, il paziente non ha il diritto che il medico intervenga, ma se il medico decide di intervenire, dovrà adoperare la diligenza che utilizzerebbe nell’adempimento di un’obbligazione che trae origine da un contratto concluso.
Tutto ciò in base ad una interpretazione dell’articolo 1173 del Codice Civile secondo cui, le obbligazioni conseguono da contratto, fatto illecito ed ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità con l’ordinamento giuridico.
Lo sforzo ermeneutico della giurisprudenza è stato pertanto quello di incanalare quel contatto sociale qualificato nella seconda parte di tale articolo, cioè in ogni altro atto o fatto idoneo a produrle.
I consociati in virtù della speciale abilitazione che il medico riceve per esercitare la professione intellettuale de qua, rimpongono nella sua competenza un legittimo affidamento.
Il regime probatorio dell’analizzanda forma di responsabilità è agevolmente intuibile.
Al paziente basterà provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica, restando a carico del sanitario la prova che la prestazione professionale sia stata diligentemente eseguita e che l’aggravamento sia dipeso da eventi imprevedibili.
3) I problemi interpretativi sorti a seguito dell’emanazione della Legge Balduzzi
L’articolo 3, comma 1, del Decreto Legge 13 settembre 2012 n. 158, convertito con modificazioni dalla Legge 8 novembre 2012 n. 189 prevede che “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del Codice Civile”.
Per linee guida si intendono le buone pratiche terapeutiche accreditate dalla comunità scientifica, e consistono in protocolli, raccomandazioni, opinioni scientifiche e più in generale nella letteratura.
Tali guidelines rientrano altresì tra i criteri che il Giudice deve utilizzare per sindacare l’attività professionale svolta dal medico.
Il loro rispetto esonera il sanitario da colpa lieve ma non da colpa grave.
Se dal punto di vista penale, tale riforma ha condotto ad una depenalizzazione, dal punto di vista civilistico, il richiamo all’articolo 2043 del Codice Civile ha generato non poche incertezze in dottrina e giurisprudenza.
In particolare, gli interpreti si chiedono se tale riferimento debba intendersi nel senso che la responsabilità medica sia stata ricondotta sotto le coordinate della responsabilità aquiliana.
In buona sostanza, da un’analisi delle pronunce emanate a seguito di tale Decreto, si registrano due orientamenti.
Secondo una prima linea interpretativa, il Legislatore avrebbe voluto abbandonare la teoria della responsabilità contrattuale elaborata dalla giurisprudenza, qualificando nuovamente la responsabilità del sanitario come aquiliana.
Se così fosse, tale svolta di pensiero costituirebbe un superamento dell’ormai maggioritario indirizzo, al quale si riconosce il pregio di aver offerto una maggiore tutela alla parte debole del rapporto, cioè il paziente.
Per un diverso orientamento invece, maggioritario allo stato attuale, il richiamo all’articolo 2043 del Codice Civile, non costituirebbe l’intento del Legislatore di riportare tale responsabilità nell’alveo di quella extracontrattuale, ma andrebbe inteso soltanto come un generico richiamo ad un obbligo di risarcire il danno cagionato.
Secondo tale ultimo orientamento dunque la responsabilità del medico rimarrebbe di tipo contrattuale. 
4) Le ricadute in termini di regime probatorio
Notevoli sono le ricadute in tema di onere della prova.
Se per l’orientamento ormai tradizionale che riconduce questa responsabilità nello schema contrattuale il paziente appare molto agevolato, aderendo invece alle pronunce che la riconducono nell’alveo della responsabilità aquiliana le conseguenze sono opposte.
In una recente Sentenza del Tribunale di Milano, Sezione I Civile, 17 luglio 2014, ad esempio, si è affermato che non è più il medico a dover provare la propria correttezza professionale, ma è il paziente che deve provare la colpa del medico.
Questa pronuncia di merito segue quindi l’impostazione che a seguito dell’emanazione della Legge Balduzzi incanala la responsabilità del sanitario nell’ambito extracontrattuale, annullando così tutta quella ricostruzione effettuata dalla giurisprudenza sul finire degli anni ottanta e consacrata nella storica Sentenza di Legittimità del 1999.
Secondo tale pronuncia di merito, il testo dell’articolo 3 comma 1 della Legge Balduzzi e la volontà del Legislatore, portano a ritenere che la responsabilità del medico sia stata ricondotta alla responsabilità da fatto illecito ex articolo 2043 del Codice Civile, e che conseguentemente, l’obbligazione risarcitoria possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano che il danneggiato paziente ha l’onere di provare.
Il Tribunale di Milano ha precisato che tutto ciò non ha modificato il regime di responsabilità della struttura ospedaliera che continua a rispondere a titolo contrattuale.
In tema di responsabilità extracontrattuale, il danneggiato che intende agire per il soddisfacimento del proprio interesse, ha l’onere di provare di aver subito un danno ingiusto, che tale danno è stato causato dal fatto di un altro soggetto, e che il soggetto individuato ha agito con dolo e colpa.
In altre parole, il paziente non deve solo provare di aver subito un pregiudizio, ma anche la riconducibilità di esso al debitore, ovvero deve altresì provare il cosiddetto nesso eziologico.
La prescrizione è fissata in cinque anni a differenza dei dieci anni previsti dalla responsabilità contrattuale.
5) Conclusioni 
Per concludere appare corretto dar pregio della circostanza che, nonostante le incertezze scaturite in giurisprudenza a seguito dell’emanazione della Legge Balduzzi, ed in attesa di un intervento della Giurisprudenza di Legittimità che risolva tale contrasto, a parere dell’orientamento prevalente, il sanitario continuerebbe a rispondere a titolo contrattuale ex articolo 1218 del Codice Civile.
Secondo questa corrente di pensiero infatti, la Legge Balduzzi, non avrebbe messo in discussione i principi a cui è giunta la Giurisprudenza dalla fine degli anni ottanta in poi.
Discorso diverso sul versante penalistico dove l’obiettivo della Riforma è stato quello di sottoporre il medico ad un trattamento più favorevole, facendolo rispondere solo in caso di colpa grave.