Il Tribunale di Torino (ex Tribunale di Pinerolo) con la sentenza n. 2398 del 06/11/2014 ha dovuto affrontare un difficile caso di responsabilità medica soprattutto in ordine alla quantificazione del danno dal momento che il piccolo, a seguito di una grave infezione contratta durante il parto a causa della inadeguata somministrazione di terapia antibiotica da parte dei sanitari, ha riportato lesioni talmente gravi da ridurne anche le aspettative di vita futura.
Il giudizio, in particolare, veniva instaurato a seguito di un procedimento ex art. 696 bis nel corso del quale il collegio peritale aveva stabilito che il minore, a causa della inadeguata attività posta in essere dai sanitari dell’azienda ospedaliera, ha patito un danno biologico indicato nella misura del 97/98% con totale incapacità lavorativa ed impossibilità di miglioramento futuro.
In seguito a tale procedimento i genitori del piccolo si trovavano costretti ad adire l’autorità giudiziaria con un giudizio di ordinaria cognizione a causa dell’atteggiamento di totale chiusura della controparte.
Il Giudice, pertanto, si trovava di fronte a nuove richieste istruttorie da parte della azienda ospedaliera convenuta e, in particolare, alla domanda di rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio; rigettata tale domanda il Giudicante riteneva opportuno, però, disporre una integrazione della consulenza esperita in sede preventiva e conciliativa al fine di determinare se, in effetti, le gravi lesioni patite dal piccolo avrebbero potuto compromettere la sua sopravvivenza futura come asserito da parte convenuta.
Il CTU medico, dopo aver esperito nuova visita, effettivamente ammetteva che le gravi patologie di cui è attualmente affetto il minore non gli consentiranno una sopravvivenza pari a quella dei suoi coetanei bensì ridotta del 50% circa.
Alla luce di tale ridotta aspettativa di vita il Tribunale quantifica il danno complessivamente patito richiamando una sentenza della Suprema Corte “secondo cui quando la durata della vita futura non e` piu` un dato incerto e, dunque, necessariamente ancorato alla probabilita` statistica, ma diventa un dato certo per l’intervenuto decesso del danneggiato, il danno biologico va correlato alla durata effettiva della vita poiche´ costituito dalle conseguenze negative della lesione dell’integrita` psico-fisica dal momento dell’illecito al decesso. L’eta`, infatti, prosegue la Corte, in tanto assume rilevanza ai fini della liquidazione del danno in quanto con il crescere dell’eta` diminuisce l’aspettativa di vita e, dunque, e` progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subira` le conseguenze negative della lesione sulla sua integrita` psico-fisica (si veda Cass. Civ. n. 22338/2007).”
Tuttavia, a modesto parere della scrivente, tale orientamento non è del tutto condivisibile ed applicabile al caso di specie dal momento che il danneggiato non solo è ancora in vita ma nessuno può sostenere con certezza che non sopravviverà al pari dei suoi coetanei invecchiando come loro.
Ed infatti la stessa Suprema Corte, in un caso analogo a quello in esame, considerando che la prognosi data dai consulenti potrebbe essere smentita dai fatti o dal progresso scientifico, ha ritenuto che “nella liquidazione del danno alla salute la scelta dal valore monetario del punto d’invalidità deve essere effettuata senza tenere conto della minore speranza di vita futura che il danneggiato potrà avere, in conseguenza del sinistro: diversamente, infatti, il danneggiante verrebbe a beneficiare di una riduzione del risarcimento tanto maggiore quanto più grave è il danno causato” (così Cass. Civ., 09/05/2000, n. 5881).
Si dovrebbe, infatti, considerare che al piccolo se avrà la ventura di vivere anche solo la metà degli anni rispetto ai suoi coetanei, sarà comunque stato tolto, non dalla natura o dal destino, ma dal fatto colposo di altri, ben più di quanto può essere tolto a persona che abbia vissuto cinquanta degli ottanta anni di vita che costituiscono oggi la durata di vita sulla cui base sono state formate le tabelle in uso presso i tribunali.
Nonostante ciò il Giudice torinese non la pensa allo stesso modo e citando testualmente la Suprema Corte asserisce che “la liquidazione del danno biologico deve tener conto anche del fattore “tempo”, durante il quale il danneggiato ha dovuto (o dovra` presumibilmente) convivere con detto danno biologico, ne consegue che se durante il giudizio di merito il soggetto danneggiato e` rimasto in vita, il giudice di merito, investendo la liquidazione del detto danno biologico anche il futuro, non potra` che effettuare una prognosi della durata dello stesso per il futuro. …Se, invece, nel caso concreto la prognosi di speranza di vita per il danneggiato e` accertata sulla base di conoscenze scientifiche (ad esempio, come nella fattispecie, tramite c.t.u.), il giudice di merito deve liquidare il danno biologico non con riferimento alla speranza di vita media nazionale, ma alla prognosi di durata della vita dello specifico soggetto danneggiato” (Cass. Civ., n. 3357/2009; Cass. Civ., n. 16525/2003).
Alla luce di tali premesse il Giudicante, al fine di liquidare il danno non patrimoniale, unitariamente considerato, ha preso come riferimento l’importo corrispondente al danno biologico subito da un soggetto con un’aspettativa di vita futura di soli 41 anni e, dunque, dell’eta` di 59 anni, chiarendo che “tale liquidazione non puo` essere effettuata sic et simpliciter utilizzando come valore di riferimento l’eta` della danneggiato al momento del sinistro (coincidente con la nascita) e la percentuale di invalidita` del 97-98% perche´ in tal modo non si terrebbe conto della concreta probabile aspettativa di vita futura dello stesso” ed al contempo considerando che “prendendo come parametro l’eta` di 59 anni, e dunque un massimo di ulteriori 41 anni di probabile vita residua (pari alla meta` dell’aspettativa di vita media nazionale secondo gli indici Istat – operata la media di 82 anni senza distinguere tra sesso maschile e sesso femminile, stante l’assenza di tale distinzione secondo i parametri tabellari), occorre adeguare l’importo risultante, corrispondente alla percentuale di invalidita` del 97-98%, alla diversa eta` effettiva del danneggiato al momento del sinistro.”
Seguendo tale ragionamento il Tribunale, considerando che le aspettative di vita residua sono state stimate con riguardo alla vita media di un soggetto sano della medesima eta` del danneggiato, quantifica il danno applicando all’importo corrispondente alla media delle percentuali di invalidita` accertate il demoltiplicatore legato all’eta` di un soggetto che abbia solo 41 anni di vita residua, ossia la meta` della vita media nazionale.
Tale danno viene poi personalizzato in considerazione delle irreversibili ripercussioni che la condotta colposa dei sanitari ha causato sulla vita del bambino sin dalla sua nascita e che hanno determinato la totale perdita di autonomia, azzerando ogni sua capacità intellettiva e fisica, nonché la stessa interazione emotiva con i genitori precludendo così definitivamente ogni esplicazione della personalità.
Lo stesso criterio, ovvero la considerazione della ridotta aspettativa di vita del bambino, viene poi applicato anche con riferimento al danno patrimoniale (spese mediche e danno da riduzione della capacità lavorativa specifica) nonché dei danni complessivamente patiti dai genitori soprattutto per quanto concerne le spese mediche future.Si tratta, come già detto, di un criterio di liquidazione del danno complessivamente patito non pacificamente condiviso ma di sicuro interesse per le peculiarietà che presenta e per le questioni ancora aperte che saranno sicuramente ancora oggetto di future discussioni e diverse applicazioni giurisprudenziali.