Se la sovrapposizione delle due normative a livello pratico, al di là del differente regime in tema di prescrizione (10 anni per quella di natura contrattuale, ex art. 2946 c.c. e 5 anni per la responsabilità civile, ex art. 2947 c.c.) non comporta delle sostanziali differenze, qualora si qualifichi l’attività del chirurgo estetico, nell’ambito delle obbligazioni di mezzi, e ci si attenga a una responsabilità che non prescinda dalla colpa. Viceversa nel prossimo futuro i Giudici, che già stanno muovendo i primi passi in questa direzione, potrebbero aderire ad alcune teorie della dottrina che inquadrano già oggi l’obbligazione prestata da alcuni professionisti (quali ad esempio l’attività del chirurgo estetico o del dentista), tra quelle di risultato. La prima logica conseguenza è che, se il professionista è tenuto a garantire il risultato, il criterio di valutazione della sua responsabilità diventerà di fatto, di tipo oggettivo, quindi indipendentemente dalla colpa, tutte le volte che quel risultato non è stato conseguito. Sarà quindi difficile che lo stesso possa discolparsi attribuendo l’esito non soddisfacente dell’intervento alle caratteristiche soggettive della paziente o giustificarsi producendo un seppur adeguato consenso informato, in cui vengano previsti tutti i possibili esiti negativi residuali e/o le eventuali complicazioni o controindicazioni. A ciò si aggiunge che le assicurazioni nei loro attuali contratti non tutelano professionalmente la responsabilità oggettiva e che se lo facessero, automaticamente dovrebbero aumentare premi e franchigie, già oggi molto esose, o addirittura potrebbero arrivare a non tutelare più i medici e le case di cura. Se la giustizia non è tenuta a tenere conto dei maggiori costi sociali derivanti da una tale interpretazione giurisprudenziale, è comunque obbligata a interpretare le leggi organicamente, quindi se deciderà di qualificare l’obbligazione del professionista come obbligazione di risultato, dovrà altresì tenere conto anche delle decadenze connaturate a tale figura giuridica. Ci riferiamo in particolare all’art. 2226 c.c. che recita testualmente: “L'accettazione espressa o tacita dell'opera libera il prestatore d'opera dalla responsabilità per difformità o per vizi della medesima, se all'atto dell'accettazione questi erano noti al committente o facilmente riconoscibili, purchè in questo caso non siano stati dolosamente occultati [1667]. Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare le difformità e i vizi occulti al prestatore d'opera entro otto giorni dalla scoperta. L'azione si prescrive entro un anno dalla consegna [1495; 201 trans.]. I diritti del committente nel caso di difformità o di vizi dell'opera sono regolati dall'articolo 1668.”. A fronte di tale interpretazione nasce comunque il problema del momento iniziale da cui decorre il termine breve di decadenza, nel caso del danno estetico. E’ difficile rispondere a questa domanda, ma essendo il danno estetico, quantomeno quello di una certa gravità, visibile ictu oculi, anche da un non esperto, a volte la decorrenza potrebbe iniziaresin dal giorno seguente l’operazione (o comunque dal momento in cui viene tolto l’eventuale bendaggio, o da cui le ferite appaiono rimarginate), è quindi quantomeno da quel tempo che deve decorrere il periodo concesso per la denuncia dei vizi. Qualcuno potrebbe obbiettare che nel nostro caso, l’inquadramento dell’attività del medico le obbligazioni di risultato è totalmente infondato, in quanto, mancherebbe nella fattispecie “l’opus”, ovvero il prodotto dell’operare. Siamo tuttavia del parere che nella fattispecie il chirurgo estetico, realizza, anche un “opus” (che si concretizza oltre che nell’intervento in sè, nelle cicatrici di sutura, nell’asportazione dell’adipe ecc., nell’aggiunta di protesi) e non un semplice progetto o consulenza. Comunque spetta in ultima analisi al Giudice di merito qualificare l’obbligazione assunta dal professionista, come correttamente precisato dalla Cassazione civile (sez. II, , sent. n. 9316, del 18 aprile 2007, in Giust. civ. Mass. 2007, 4): “È soggetta a prescrizione ordinaria decennale la garanzia per vizi e/o difformità costruttive che il committente fa valere nei confronti del geometra incaricato - come nella specie - della redazione del progetto per la ristrutturazione di un immobile e della direzione dei lavori affidati alla impresa edile. Va infatti esclusa l'applicazione dell'art. 2226, comma 2, c.c. (prescrizione breve di un anno), atteso che, nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi esclusivamente tenendo presente la natura dell'attività esercitata (articolo 1176 c.c.) che ha come contenuto un'obbligazione di mezzi. Peraltro, l'accertamento del reale contenuto della prestazione del professionista, in relazione alle circostanze del caso concreto, è rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità se esaurientemente e logicamente motivato”. Rimane da delineare se in caso di decadenza breve, il paziente non possa essere tutelato diversamente. Per coerenza con quanto sopra illustrato, in caso di decadenza o prescrizione breve dell’azione di denuncia dei vizi, il professionista dovrebbe essere esente da eventuali ulteriori conseguenze, derivanti dall’applicazione della responsabilità civile, poichè viceversa, la sommatoria delle tipologie di responsabilità renderebbe inutile la distinzione operata dal codice civile, cosa che dovrà essere tenuta, in adeguata considerazione dal Giudice. Si fa tuttavia presente che se pure si ritenesse operante in subordine, la responsabilità aquiliana, la prova del comportamento doloso o negligente sarebbe posta comunque a carico del danneggiato. Con queste limitazioni, i sinistri risarciti verrebbero conseguentemente ridotti (infatti è raro che il paziente denunci tempestivamente i vizi dell’opera) e l’assicurazione potrebbe decidere tranquillamente di coprire tale rischio (si intende, quello del mancato risultato), senza operare un sostanziale aumento dei premi. Puntualizziamo da ultimo che spesso i pazienti prima di richiedere il risarcimento dei danni, si rivolgono, nelle more del giudizio, ad altro medico per effettuare un intervento correttivo, senza sottoporsi preliminarmente, a unaccertamento tecnico preventivo(ATP),questo errore procedurale può costare molto caro, perchè spesso in corso di causa, il CTU non è più in grado di stabilire con ragionevole certezza la situazione ex ante e/o le responsabilità degli operatori intervenuti sulla stessa zona, motivo per cui al Giudice non rimarrà che rigettare la domanda attorea, così come correttamente deciso dal Tribunale di Milano (Sent. n. 14022 del 9.12.04 Rodriguez/Moreira).   Note: (*) Il suesteso articolo è un estratto dalla relazione tenuta dallo scrivente nel convegno ASSECE del 2008. Si precisa tuttavia, che le innovative ipotesi illustrate in questo documento, pur essendo riferite in particolare all’attività del medico chirurgo estetico, appaiono estensibili per analogia anche ad altre figure professionali e non solo appartenenti al settore sanitario.