La cessione del credito

Il principio della “Libera Cedibilità dei crediti” è stato recepito da tutti gli ordinamenti moderni in risposta ad esigenze nate nella pratica commerciale: difatti tale principio, consentendo al creditore una utilizzazione anticipata del suo diritto, favorisce una più rapida circolazione della ricchezza.

Nel nostro ordinamento esso risulta codificato negli art. 1260 ss del Codice Civile, che disciplinano la cessione del credito: tale istituto rientra nella figura dei Negozi Traslativi e determina una modificazione soggettiva dal lato attivo del rapporto obbligatorio.

La Cessione, quale Negozio Traslativo, non esprime in sé una giustificazione causale bensì si connota quale schema causale “incompleto”,  suscettibile di essere integrato di volta in volta con la ragione giustificativa ricollegata ad un contratto sottostante (ad esempio: a scopo di garanzia, in luogo di adempimento, a titolo di liberalità, venditionis causa ecc). Si tratta, in sostanza, di uno schema traslativo a causa “variabile” (o “generica”) la cui funzione pratica viene specificata di volta in volta dalla meritevolezza dell’interesse concretamente perseguito dalle parti con l’operazione economica posta in essere.

Quando ha titolo negoziale, la Cessione del credito si configura come CONTRATTO tra cedente (creditore originario) e cessionario; ai fini dell’efficacia nei confronti del debitore ceduto la legge richiede che la cessione gli sia notificata o che questi l’abbia accettata. Superata la disputa sulla natura trilatera di questa fattispecie, è pacifica l’estraneità del debitore ceduto rispetto alla fattispecie traslativa della Cessione che, in virtù del Principio Consensualistico (Art. 1376 c.c.), si perfeziona con l’accordo tra cedente e cessionario. L’eventuale accettazione del debitore ceduto, dunque, ha la natura giuridica di una mera dichiarazione di scienza o, al più, nei confronti del concessionario, si atteggia ad atto ricognitivo di debito. Ai sensi dell’art. 1248, infatti: il debitore che ha accettato la cessione non può opporre al concessionario la compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente; il debitore che non ha accettato, ma al quale la cessione è stata notificata, può invece opporre al concessionario la compensazione ma solo relativamente ai crediti sorti prima della notifica. Notifica o accettazione del debitore ceduto rilevano anche ai fini della risoluzione del conflitto tra più cessionari: per l’opponibilità ai terzi si fa riferimento alla priorità temporale di Notifica/Accettazione, risultante da atto avente data certa (art. 1265 c.c.)

Il contratto di cessione del credito può essere a TITOLO ONEROSO ( e in questo caso il cedente è tenuto al Nomen Verum, cioè a garantire l’esistenza del credito al tempo della cessione) o a TITOLO GRATUITO (e in tal caso la garanzia è dovuta solo nei casi e nei limiti in cui la legge pone a carico del Donante la Garanzia per l’Evizione).

Il cedente può assumere convenzionalmente la GARANZIA della SOLVENZA (cosiddetto Nomen Bonum) ma  anche in questo caso il cessionario non ha mai diritto di pretendere dal cedente la prestazione rimasta inadempiuta dal debitore ceduto! Difatti in tale ultimo caso il diritto del cessionario consiste esclusivamente nel diritto alla restituzione di quanto corrisposto a titolo di “prezzo”, oltre al rimborso di interessi e spese sopportate per escutere il debitore ceduto. Norma imperativa vuole, infatti, che la Responsabilità del cedente non possa essere ulteriormente aggravata, nemmeno in via convenzionale, per l’esigenza di evitare che il contratto di cessione del credito mascheri, nella sostanza, un prestito a tasso usuraio.

Prima di passare ad esaminare alcuni riflessi applicativi problematici dell’istituto della Cessione del Credito, è opportuno spendere ancora qualche per una ulteriore puntualizzazione: il distinguo tra CESSIONE DEL CREDITO (come cessione del diritto alla prestazione patrimoniale) e  CESSIONE DELLA POSIZIONE CONTRATTUALE (come cessione del complesso di situazioni giuridiche -attive e passive- nascenti dal rapporto negoziale).

Con il Contratto di Cessione del Credito, il cedente trasferisce al cessionario solo il diritto alla prestazione patrimoniale, rimanendo titolare della posizione contrattuale che gli spetta in base al titolo costitutivo del rapporto obbligatorio. Questa scissione (tra il credito e la posizione contrattuale legittimante) spiega perché il debitore ceduto (che è terzo rispetto alla Cessione del Credito) possa opporre ed esperire (rispettivamente) nei confronti del cessionario le eccezioni e le azioni relative al rapporto contrattuale originario e cioè le stesse che, in mancanza di cessione, avrebbe potuto opporre ed esperire al cedente.

Di contro il cessionario, essendo a sua volta terzo rispetto al rapporto contrattuale, in linea di principio non può opporre al debitore ceduto le eccezioni (e/o azioni) contrattuali, salvo quelle che gli spettano in quanto titolare del diritto di credito.

Si ritiene, dunque, che il cessionario possa far valere l’Invalidità del titolo costitutivo soltanto sotto il profilo della Nullità e dell’Annullabilità (in quanto portatore di un interesse proprio a non dover subire le conseguenze di un acquisto “precario”), mentre gli sono precluse tutte le altre azioni /eccezioni (es: rescissione per lesione, risoluzione per inadempimento, eccessiva onerosità sopravvenuta ecc.), la cui legittimazione resta in capo alle parti originarie del rapporto.

RIFLESSI applicativi problematici della CESSIONE DEL CREDITO

In particolare:

AZIONABILITA’ IN EXECUTIVIS DEL CREDITO CEDUTO DA PARTE DEL CEDENTE

Dal punto di vista processualistico, la Cessione del Credito integra un fenomeno di successione a titolo particolare nel diritto ceduto.

Il problema di quali siano i riflessi, nel Processo, del fenomeno di successione a titolo particolare nel diritto di credito, ha assunto oggi particolare rilevanza pratica (si pensi, ad esempio, alla tendenza sempre più diffusa -soprattutto tra gli Istituti bancari- a liberarsi dei crediti in sofferenza attraverso “cessioni in blocco”, con comunicazione dell’avvenuta cessione, da parte del cessionario, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale che produce, nei confronti dei debitori ceduti, gli effetti indicati dall’articolo 1264 c.c.). Sul punto, uno dei nodi principali riguarda la legittimazione ad iniziare e/o proseguire le azioni per il recupero coattivo del credito: è dubbio, infatti, se -divenuta efficace la cessione per il debitore ceduto- il cedente resti legittimato a proseguire l’azione esecutiva ancorché non sia più titolare del diritto di credito risultante dal titolo esecutivo, e, per converso, se il cessionario possa avvalersi dell’esecuzione in corso intrapresa dal cedente.

La questione va affrontata alla luce dell’articolo 111 c.p.c., il quale, com’è noto, disciplinando il fenomeno di successione a titolo particolare nel diritto controverso (quando questo si realizza nel corso del processo di cognizione), conserva al dante causa la legittimazione a proseguire il giudizio in luogo del successore, nella veste (secondo l’opinione prevalente) di sostituto processuale di quest’ultimo.

In generale, per la collocazione sistematica dell’articolo 111 c.p.c. nell’ambito dei principi generali sull’esercizio dell’azione, tende prevalentemente ad affermarsi la compatibilità di tale norma con il processo esecutivo, pur ponendosi un problema di adattamento della stessa alla struttura propria dell’Esecuzione.

Con riferimento all’ipotesi in cui la successione nel credito sia avvenuta nel corso del giudizio di cognizione (senza che l’avente causa sia intervenuto nel processo, con la conseguente pronuncia di condanna in favore del dante causa) ovvero all’esito del giudizio di cognizione ma prima dell’esercizio dell’azione esecutiva, sembra indubbio che il successore (cioè il cessionario) possa promuovere l’azione esecutiva avvalendosi del titolo conseguito dal suo dante causa: milita in questo senso il disposto dell’articolo 475 secondo comma c.p.c., che, nel consentire la spedizione del titolo in forma esecutiva anche ai successori della parte a favore del quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l’obbligazione, non distingue tra successori a titolo universale e successori a titolo particolare.

Più problematica appare, invece, la questione relativa alla legittimazione all’azione esecutiva da parte del dante causa (cedente) in favore del quale sia stata pronunciata la sentenza. Se così fosse, dovrebbe conseguentemente ritenersi che qualora la successione inter vivos si verifichi ad esecuzione già iniziata, il cedente rimanga legittimato a proseguire gli atti esecutivi, salvo l’obbligo di trasferire al cessionario i risultati dell’espropriazione forzata.

Tuttavia, ad una prima analisi, questa soluzione appare poco soddisfacente: difatti qualora il debitore abbia la legale conoscenza della cessione, il suo adempimento spontaneo in favore del cedente non produrrebbe più efficacia liberatoria (art. 1264 c.c.); di qui la difficoltà ad ipotizzare che l’attuazione coattiva del diritto possa avvenire in favore di chi non può più utilmente ricevere l’adempimento spontaneo.

Infatti mentre in sede cognitiva l’esigenza di non disperdere l’attività processuale compiuta giustifica la persistente legittimazione del cedente (pur con l’efficacia della sentenza anche nei riguardi dell’avente causa), in sede esecutiva l’attuazione della prestazione in favore di chi non ne è più titolare cancellerebbe l’efficacia stessa della cessione, venendo la prestazione ad essere forzatamente eseguita nel patrimonio di un soggetto a favore del quale, sul piano sostanziale, la medesima prestazione non potrebbe essere spontaneamente ed utilmente eseguita: la dissociazione tra titolarità ed interesse, che sottende la previsione di cui all’articolo 111 c.p.c., non sembrerebbe perciò compatibile con le esigenze proprie del processo di esecuzione il quale presuppone l’assoluta coincidenza tra soggetto agente e titolare del diritto.

Conclusione di tale tesi sarebbe che, in caso di successione a titolo particolare nella titolarità del diritto, l’ulteriore prosecuzione del processo esecutivo necessiterebbe dell’intervento sostitutivo del cessionario, effettivo ed attuale titolare del diritto, restando il dante causa (cedente) sprovvisto di legittimazione a proseguire l’azione promossa.

Tale soluzione, tuttavia, non appare rispondente ai principi generali in tema di interesse e legittimazione ad agire dal momento che l’unica condizione necessaria e sufficiente per la legittimazione all’esercizio dell’azione esecutiva è la titolarità, risultante dal titolo esecutivo, della situazione giuridica in questo accertata.

Deve ritenersi, pertanto, che il cedente sia legittimato in executivis non solo quando la cessione sia avvenuta ad esecuzione già iniziata (nel qual caso egli resta legittimato a proseguire l’azione già intrapresa), ma anche quando, a cessione avvenuta, sia egli stesso ad azionare il titolo esecutivo, intraprendendo l’esecuzione.

In tal caso il difetto di legittimazione sostanziale, derivante dalla dismissione del diritto di credito quale vicenda modificativa successiva alla formazione del titolo, potrebbe essere eccepito soltanto dal debitore esecutato con lo strumento dell’opposizione all’esecuzione (l’art. 615 c.p.c. consente infatti, al debitore, di contestare la legittimità dell’azione esecutiva per l’inesistenza del diritto sostanziale di cui si chiede l’attuazione). Tuttavia l’opposizione promossa dal debitore ex art. 615 c.p.c. sarebbe facilmente vanificata qualora il cessionario fosse interessato alla prosecuzione del processo, potendo egli manifestare la sua volontà in tal senso mediante intervento nel giudizio d'opposizione cui abbia dato luogo l'iniziativa assunta dall'obbligato.

Viceversa: ove il cessionario non manifestasse la volontà di proseguire l’esecuzione, questa si arresterebbe senza che assumesse rilievo alcuno la volontà contraria del dante causa (il quale, se nel processo di cognizione può avere interesse a che resti accertato che egli era titolare del diritto ceduto, non può avere alcun interesse giuridicamente apprezzabile alla realizzazione coattiva del diritto ceduto contro la volontà dell’acquirente).

Resta, però, la perplessità ad ipotizzare la convenienza, per il debitore ceduto, ad intraprendere una causa di opposizione il cui esito non sia prevedibile al momento della sua proposizione, in quanto condizionato dall’atteggiamento (anche successivo) del cessionario.
Benevento,10.03.2011                                                                                                                           

Avv. Fabiana Fucci