Con l'espressione “sottrazione internazionale di minori” si indica la situazione in cui un minore viene illecitamente trasferito all'estero oppure in cui un minore viene illecitamente trattenuto all'estero (“mancato rientro”). Secondo l'art. 3 della Convenzione de L'Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori del 25.10.1980, “ Il trasferimento o il mancato rientro di un minore è ritenuto illecito: a) quando avviene in violazione dei diritti di affido assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro, e b) se tali diritti erano effettivamente esercitati, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze. Il diritto di affido può, in particolare, derivare direttamente dalla legge (come nel caso di specie, trattandosi del genitore) da una decisione giudiziaria o amministrativa o da un accordo vigente in base alla legislazione del predetto Stato”. Peraltro, principi analoghi esprime la Convenzione ONU di New York del 20.11.1989 sui diritti del fanciullo, all’art. 11 secondo cui: “... gli Stati parti adottano provvedimenti per impedire gli spostamenti e i non-ritorni illeciti di fanciulli all'estero. ...”. Infatti, la ratio delle richiamate convenzioni è proprio quella di ottenere la restituzione del minore, illecitamente sottratto, al genitore affidatario, presso il quale risiede abitualmente, ripristinando la situazione originaria.
La nozione di residenza abituale posta dalla Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, ratificata con la L. n. 64 del 1994, consiste nel luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza ha consolidato, consolida, ovvero, in caso di recente trasferimento, possa consolidare una rete di affetti e relazioni tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico. Il concetto prescinde dalla considerazione dell’eventuale diritto soggettivo del genitore di pretendere una diversa collocazione del figlio e prescinde, altresì, dai progetti di vita, eventualmente concordi, degli adulti. Pertanto, la decisione sulla domanda di rimpatrio non investe il merito della controversia relativa alla migliore collocazione del minore e integra una situazione di fatto il cui accertamento è riservato all'apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato (Cass. civ. n. 16126 del 14 giugno 2019 che conferma Cass. 14 dicembre 2017 n. 30123 e Cass. civ. n. 16753 del 27 luglio 2007) Anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (Corte Edu Grande Camera, 6 luglio 2010) è intervenuta sostenendo che se il minore si è già ambientato nella sua nuova residenza, l’esecuzione dell’ordine di rientro lederebbe il suo diritto al rispetto della vita familiare.
La nozione di residenza abituale non è ricavabile né dalla Convenzione dell’Aja del 1980, né dal Regolamento n. 2201/2003 mentre è contemplata nella Convenzione dell’AJA del 19 ottobre 1996 in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei fanciulli che, ancorché non ne indichi la definizione, fa coincidere forum (giurisdizione) e ius (legge applicabile) nello Stato di residenza abituale del minore.
Il Regolamento n. 2201/2003 (c.d. Bruxelles II bis) integra la Convenzione dell’Aja del 1980 e, a certe condizioni, prevale su quella del 1996, nelle ipotesi in cui il minore illecitamente sottratto abbia la propria residenza abituale in uno Stato membro dell’Unione Europea e sia stato trasferito in un altro Stato dell’Unione, prevedendo il foro generale della residenza abituale ma anche fori alternativi. Quanto alla legge applicabile, il Regolamento riprende il disposto della Convenzione dell’Aja del 1980, stabilendo che la designazione del diritto all’affidamento vada rimessa alla normativa dello Stato membro di residenza abituale del minore; nozione, questa, che è ricavabile dall’opera della giurisprudenza della Corte di Giustizia che la definisce come il luogo in cui vi è “una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare”.
La Corte di Giustizia, con una sentenza del 8 giugno 2017 n. 111 individua il concetto di residenza abituale nella situazione in cui, oltre alla presenza fisica del minore in uno Stato membro, vi siano altri fattori idonei a evidenziare che tale presenza non è in alcun modo temporanea o occasionale e che la residenza del minore denota una certa integrazione in un ambiente sociale e familiare. Tra questi fattori figurano la durata, la regolarità, le condizioni e i motivi del soggiorno del minore nel territorio di uno Stato membro nonché la cittadinanza di quest'ultimo.
 La vicenda, sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia, trae origine dal trasferimento, concordato tra i coniugi, dall’Italia alla Grecia, per cui la moglie, all’epoca incinta di otto mesi, avrebbe dato alla luce il loro figlio ad Atene (Grecia), dove essa avrebbe potuto beneficiare dell'assistenza della sua famiglia paterna, e che, in seguito, ella avrebbe fatto ritorno al domicilio coniugale in Italia con quest'ultimo.
Gli sposi si sono così recati ad Atene dove la donna dava alla luce, il 3 febbraio 2016, una bambina che, da quel momento, ha dimorato ivi con la madre. Successivamente, il marito ripartiva per l’Italia. Secondo quanto affermava quest'ultimo, egli avrebbe acconsentito a che il minore soggiornasse in Grecia sino al maggio 2016, epoca in cui egli attendeva il ritorno di sua moglie accompagnata dal lattante. Tuttavia, nel corso del mese di giugno dello stesso anno, la moglie decideva unilateralmente di rimanere in Grecia con il minore.
Secondo la donna, i coniugi non avevano determinato una data precisa per il suo ritorno in Italia con il minore. Ella affermava, infatti, che, nel maggio 2016 e successivamente nel mese di giugno dello stesso anno, il marito le aveva fatto visita in Grecia ed essi concordavano di trascorrere insieme le vacanze estive in questo Stato membro.
Il 20 luglio 2016, il marito depositava dinanzi al Tribunale ordinario di Ancona un'istanza di divorzio. In tale contesto, egli chiedeva segnatamente che gli fosse attribuito l'affidamento esclusivo del minore, che venisse disposto un diritto di visita per la madre, che venisse ordinato il ritorno del minore in Italia e che gli fosse concessa una pensione alimentare per il mantenimento di quest'ultimo. Con decisione del 7 novembre 2016, detto giudice riteneva che non occorresse pronunciarsi sulla domanda relativa alla responsabilità genitoriale sul minore, in quanto egli risiedeva sin dalla nascita in uno Stato membro diverso dall'Italia. Il marito impugnava tale decisione, che veniva confermata, il 20 gennaio 2017, dalla Corte d'appello di Ancona.
Parallelamente al procedimento dinanzi ai giudici italiani, il 20 ottobre 2016, il marito presentava, dinanzi al Monomeles Protodikeio Athinon (Tribunale monocratico di Atene), una domanda di ritorno concernente il minore.
Il Monomeles Protodikeio Athinon decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
"Come debba essere interpretata l'espressione "residenza abituale", ai sensi dell'articolo 11, paragrafo 1, del regolamento (...) n. 2201/2003 (...), nel caso di un lattante che, per motivi fortuiti o di forza maggiore, sia nato in un luogo diverso da quello che i suoi genitori, i quali esercitano congiuntamente su di esso la potestà genitoriale, avevano previsto per lui quale luogo di residenza abituale e che sia stato da allora illecitamente trattenuto da uno dei suoi genitori nello Stato in cui è nato oppure sia stato trasferito in uno Stato terzo. Più in particolare, se la presenza fisica sia, in ogni caso, una condizione necessaria ed evidente per stabilire la residenza abituale di una persona e segnatamente di un neonato".
 A questo proposito, detto giudice era del parere che, benché il minore certamente non sia stato "trasferito" ai sensi dell'articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 2201/2003 o dell'articolo 3 della convenzione dell'Aia del 1980, da uno Stato membro o un altro, egli veniva, tuttavia, illecitamente trattenuto da sua madre in Grecia, senza che il padre avesse dato il suo consenso a che la residenza abituale di questo minore fosse ivi stabilita, laddove i genitori esercitavano congiuntamente la responsabilità genitoriale su quest'ultimo.
 Detto giudice ha ritenuto che quando un minore è nato in un luogo che non ha relazione con la residenza abituale dei suoi genitori - per esempio, per caso fortuito o forza maggiore, come un viaggio dei suoi genitori in un paese straniero - e in seguito viene trasferito o trattenuto illecitamente da uno di essi, tali situazioni danno luogo a violazioni fragranti dei diritti dei genitori e a un effettivo allontanamento del minore dal luogo in cui, secondo il normale corso degli eventi, si sarebbe trovata la sua residenza abituale. A situazioni di tal genere andrebbe applicata, per queste ragioni, la procedura di ritorno prevista dalla convenzione dell'Aia del 1980 e dal regolamento n. 2201/2003.
Al fine di determinare se abbia a che fare con un "mancato ritorno illecito",  una situazione in cui un minore è nato ed ha soggiornato ininterrottamente con sua madre per diversi mesi, conformemente alla volontà comune dei suoi genitori, in uno Stato membro diverso da quello in cui questi ultimi avevano la loro residenza abituale prima della sua nascita, occorre precisare che la nozione di "trasferimento illecito o mancato ritorno del minore" va collegata al trasferimento o mancato ritorno di un minore avvenuto in violazione di un diritto di affidamento derivante da una decisione giudiziaria, dalla legge o da un accordo vigente in base alla legislazione dello "Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro". Pertanto, la nozione di "residenza abituale" costituisce un elemento centrale per valutare la fondatezza di una domanda di ritorno. Infatti, una domanda siffatta può essere accolta solo qualora il minore avesse, immediatamente prima dell'asserito trasferimento o mancato ritorno, la propria residenza abituale nello Stato membro verso il quale si chiede che egli ritorni.
Uno degli scopi di detta convenzione e, per analogia, dell'articolo 11 del regolamento n. 2201/2003, è il ristabilimento dello status quo ante, ossia della situazione che esisteva anteriormente al trasferimento o al mancato ritorno illeciti del minore. La procedura di ritorno mira pertanto a ricollocare quest'ultimo nell'ambiente che gli è più familiare e, così facendo, a ripristinare la continuità delle sue condizioni di esistenza e di sviluppo. Conformemente a tale obiettivo, il presunto comportamento illecito di uno dei genitori non può da solo giustificare che venga accolta una domanda di ritorno e che il minore sia trasferito dallo Stato membro dove è nato ed ha soggiornato regolarmente in modo ininterrotto verso uno Stato membro che non gli è familiare. Ciò non ha fatto presumere una volontà della madre di aggirare le norme in materia di competenza previste da detto regolamento riguardo alla responsabilità genitoriale. In particolare, il diritto del minore di intrattenere relazioni personali e contatti diretti con i suoi due genitori, di cui all'articolo 24, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, non impone il trasferimento del minore verso lo Stato membro dove si trovava la residenza di questi ultimi prima della sua nascita. Infatti, questo diritto fondamentale potrà essere tutelato nel quadro di una procedura che accerti nel merito il diritto di affidamento, quale quella prospettata nel punto precedente, nel corso della quale la questione dell'affidamento potrà essere rivalutata e, se del caso, potranno essere stabiliti eventuali diritti di visita. L'articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 2201/2003 non può essere interpretato nel senso che, immediatamente prima del mancato ritorno asserito dal padre, il minore avesse la sua "residenza abituale", ai sensi di detta disposizione, nello Stato membro di residenza abituale dei suoi genitori prima della sua nascita. Di conseguenza, il diniego della madre di far ritorno, in compagnia del minore, in tale Stato membro non può costituire un "illecito trasferimento o mancato ritorno" del minore, ai sensi della citata disposizione.
Uno sguardo ai considerando 12 e 17 del regolamento n. 2201/2003 così recitano aiuterà a capire la decisione della Corte.
"(12) È opportuno che le regole di competenza in materia di responsabilità genitoriale accolte nel presente regolamento si informino all'interesse superiore del minore e in particolare al criterio di vicinanza. Ciò significa che la competenza giurisdizionale appartiene anzitutto ai giudici dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente, salvo ove si verifichi un cambiamento della sua residenza o in caso di accordo fra i titolari della responsabilità genitoriale.
(17) In caso di trasferimento o mancato rientro illeciti del minore, si dovrebbe ottenerne immediatamente il ritorno e a tal fine dovrebbe continuare ad essere applicata la convenzione dell'Aia del (...) 1980, quale integrata dalle disposizioni del presente regolamento, in particolare l'articolo 11. (...)".
L'articolo 2 di tale regolamento contiene le seguenti definizioni:
"(...)
 "responsabilità genitoriale": i diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore. Il termine comprende, in particolare, il diritto di affidamento e il diritto di visita;
"titolare della responsabilità genitoriale": qualsiasi persona che eserciti la responsabilità di genitore su un minore;
"diritto di affidamento": i diritti e doveri concernenti la cura della persona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza;
(...)
"trasferimento illecito o mancato ritorno del minore": il trasferimento o il mancato rientro di un minore:
a) quando avviene in violazione dei diritti di affidamento derivanti da una decisione, dalla legge o da un accordo vigente in base alla legislazione dello Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro
e
b) se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o lo sarebbe stato se non fossero sopravvenuti tali eventi. L'affidamento si considera esercitato congiuntamente da entrambi i genitori quando uno dei titolari della responsabilità genitoriale non può, conformemente ad una decisione o al diritto nazionale, decidere il luogo di residenza del minore senza il consenso dell'altro titolare della responsabilità genitoriale".
Ai sensi dell'articolo 8 del regolamento, intitolato "Competenza generale":
"1. Le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono aditi.
2. Il paragrafo 1 si applica fatte salve le disposizioni degli articoli 9, 10 e 12".
L'articolo 10 del medesimo regolamento, intitolato "Competenza nei casi di sottrazione di minori", stabilisce quanto segue:
"In caso di trasferimento illecito o mancato rientro del minore, l'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro conserva la competenza giurisdizionale fino a che il minore non abbia acquisito la residenza in un altro Stato membro e:
a) se ciascuna persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha accettato il trasferimento o mancato rientro;
o
b) se il minore ha soggiornato in quell'altro Stato membro almeno per un anno da quando la persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava e il minore si è integrato nel nuovo ambiente e se ricorre una qualsiasi delle seguenti condizioni:
i) entro un anno da quando il titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava non è stata presentata alcuna domanda di ritorno del minore dinanzi alle autorità competenti dello Stato membro nel quale il minore è stato trasferito o dal quale non ha fatto rientro;
ii) una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento è stata ritirata e non è stata presentata una nuova domanda entro il termine di cui al punto i);
iii) un procedimento dinanzi all'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro è stato definito a norma dell'articolo 11, paragrafo 7;
iv) l'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o del mancato ritorno ha emanato una decisione di affidamento che non prevede il ritorno del minore".
La giurisprudenza italiana ed europea più recente si uniforma ai concetti espressi dalla succitata sentenza. In particolare, una recentissima sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 28329 del 5 novembre 2019 conferma che “qualora i genitori risiedano in Stati diversi, la competenza giurisdizionale nelle controversie in materia di responsabilità genitoriale deve essere individuata con riferimento al criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda, salvo le deroghe espressamente previste dall’art. 10 Regolamento Bruxelles II bis, relative alla proroga della giurisdizione dello Stato dove il minore risiedeva prima della sottrazione internazionale”.