Mentre in Europa infuriavano le polemiche per il primo “SI” francese alla legge sulle nozze tra gay, nei Paesi arabi musulmani si dibatte sul diritto ad esistere dei LGBT (acronimo di: Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender community). Il rapporto conflittuale tra omosessualità e Islam trova principalmente sfogo nella Shari’ah, ovvero la Legge di Dio. 

Le fonti della legge islamica sono generalmente considerate il Corano, la Sunna (ovvero gli Hadith del Profeta Maometto), il consenso dei dotti (ijma) e l’analogia giuridica (qiyas). La shari?ah accetta, però, solo le prime due fonti in quanto divinamente prodotte o ispirate.

  La “Legge di Dio” non viene considerata allo stesso modo in tutti i Paesi musulmani in quanto alcuni di essi considerano la stessa come una fonte di diritto positivo, mentre per altri è da intendersi piuttosto come un codice di comportamento etico che dovrebbe però essere privo di potere coercitivo.

  Secondo gli?ulema’ (ossia i dotti musulmani di scienze religiose), la Shari’ah consentirebbe la pena di morte in quattro casi: omicidio ingiusto di un musulmano, adulterio, bestemmia contro Allah (da parte di persone di qualunque fede) e apostasia (ridda); ciò nonostante viene invocata regolarmente per giustificare i casi di condanna a morte per omosessualità in Stati come: Iran, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Mauritania, Sudan e Yemen.

  Sul tema è d’obbligo un chiarimento: non tutti i Paesi arabi sono necessariamente musulmani e viceversa. La generica confusione, a volte anche incentivata dai media nostrani, sorge dall’associazione tra lingua araba e Islam. Un caso esemplare di tale confusione è evidente in Nazioni come la Turchia e l’Iran, che di arabo non hanno niente. Se si dovesse considerare il suddetto sillogismo come corretto allora dovremmo erroneamente ritenere l’Albania, avente circa il 70% della popolazione di fede islamica (fonte: CIA World Factbook del 2009), come un Paese arabo e non Europeo.

  La fonte suprema della Shari’ah, ovvero il Corano, rimane piuttosto vaga sul tema omosessualità. Si trovano dei riferimenti nelle varie Sure relative alla condanna della “Gente di Lot” ma non viene offerto un preciso crucifige per quanto riguarda l’omosessualità. Anche per ciò che concerne la condanna stessa alla “Gente di Lot” (Ns. rif. parallelo nella Bibbia - Genesi 19 – La distruzione di Sodoma), la punizione inflitta non è tanto per l’omosessualità, ma per la generica disobbedienza agli ordini impartiti da Dio. Non vi è dunque una vera e propria condanna contro i gay, anche se va precisato che una nota di biasimo sul tema è abbastanza evidente.

  Nei testi di legge, invece, essendoci il bisogno di dare un’immagine più omogenea possibile della religione musulmana nascente, gli interpreti del Corano hanno cercato di utilizzare le informazioni sommarie presenti in esso sul tema per poter condannare aspramente i rapporti sessuali tra soggetti dello stesso sesso.

  Tuttavia, è necessario sottolineare che sul piano strettamente religioso è considerata come peccato molto grave la sodomia (rapporto anale), piuttosto che l’omosessualità in concreto.
  Per la maggior parte degli studiosi islamici, la sodomia viene immaginata inseparabile dal coinvolgimento di sentimenti ed implica una divisione di ruolo tra dominazione e sottomissione: ciò si porrebbe in completa contraddizione con la fede islamica, poiché l'essere umano sa che la dominazione è qualcosa a cui l'Eterno, e Lui soltanto, può accedere.

Infatti un essere umano non può mai dominarne un altro nell'universo terreno, che può esser dominato solamente da colui che lo ha creato. Conseguentemente, la stessa sottomissione diventa un atto possibile solo di fronte a Dio. In ciò si racchiude il più profondo dei significati della religione islamica (Islam, in arabo, significa “sottomissione”).

  Si evidenzia, inoltre, che anche nelle altre religioni l’omosessualità è spesso osteggiata in quanto è costituita da rapporti sessuali non finalizzati al concepimento e dunque alla “continuazione della specie”.

  Come sopra descritto, vi sono Paesi che condannano l’omosessualità non solo moralmente, ma anche giudiziariamente anche se in differenti misure.

  Vi sono Stati che prevedono la prigione a vita (Bangladesh), la fustigazione (come in Pakistan con 100 fustigate o in Iran ove per le donne sono previste altrettante fustigate, mentre per gli uomini la pena capitale), la deportazione (come in Bahrein) o la semplice reclusione con eventuale ammenda come in Algeria (fino a tre anni), Kuwait (fino ad anni sette), Libia (dai tre ai cinque anni), Oman (dai sei mesi ad un anno), Qatar (fino a cinque anni), Siria (fino a tre anni), ecc.

  In Egitto invece non vi è una vera e propria normativa contro l’omosessualità, ma gli atti sessuali tra gay vengono giuridicamente condannati in quanto lesivi della pubblica morale, con l’applicazione di pene che vanno dall’uno ai cinque anni e con la sanzione dei lavori forzati.

  Previsioni normative penali in Tunisia e Marocco

  In Tunisia l’art. 230 del codice penale presta il fianco a molteplici critiche per la sua genericità. Infatti la norma cita testualmente che: “l’atto omosessuale maschile (liwat) e femminile (mousahaqa)…..è punito con la reclusione fino a tre anni”.

  La suddetta genericità normativa, così come ingloba nel suo alveo un ampio ventaglio di atti e azioni sanzionabili, al contempo offre anche maggiori possibilità di difesa tecnico-giuridica.

  Infatti l’unico – o quasi - modo per sanzionare uno o più soggetti, rei di aver commesso quanto previsto dal dettato normativo sopra indicato, deve essere quello di coglierli in flagranza di reato. Tale situazione è sicuramente poco frequente, ma non così rara come si potrebbe pensare, soprattutto in questo Paese divenuto ormai meta sempre più frequente del turismo omosessuale europeo.

  Si consideri che l’omosessualità in sé – e dunque l’orientamento sessuale – non è punita, è solo l’atto sessuale ad essere sanzionato.

  Inoltre non può considerarsi come rientrante nell’art. 230 c.p.t. il semplice bacio, che però potrebbe comunque esser considerato penalmente come atto contrario alla pubblica decenza e che offende il pudore (alla stessa stregua di un bacio eterosessuale).

  Le norme, così come descritte, sollevano dunque notevoli incertezze interpretative e applicative, proprio perché introducono nella fattispecie un elemento, come il sentimento del pudore, che per quanto ci si sforzi di oggettivizzare finisce comunque per presentare una forte componente soggettiva. D'altra parte, alla marcata variabilità da persona a persona si aggiunge un altrettanto marcata variabilità secondo il luogo, l'ambiente sociale e, soprattutto, il tempo.

  Molto più chiara appare la normativa penale prodotta sul tema dal Marocco, che all’art. 489 del proprio codice penale prevede che: «Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, chiunque commetta un atto impudico o contro natura con un individuo dello stesso sesso è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con l’ammenda da 200 a 1 000 dirham».

  La normativa marocchina è chiara e precisa definendo come sanzionabile “un atto impudico o contro natura con un individuo dello stesso sesso”. Ovviamente anche in questo caso è lasciato ampio spazio alla libera interpretazione di quali atti debbano essere considerati “impudichi e contro natura”. La difficile condizione in cui si trovano alcuni omosessuali extracomunitari recatisi ad esempio in Italia e provenienti da questi Paesi consente loro di ottenere il rilascio di un visto speciale per diritti umanitari.

  Infatti, come confermato di recente dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 11586 del 10 luglio 2012, il cittadino extracomunitario omosessuale non deve essere espulso e rimpatriato nel suo Paese d’origine se da ciò può derivarne un pericolo di persecuzione nei suoi confronti.
  La Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso promosso proprio da un cittadino tunisino il quale aveva ottenuto innanzi al Tribunale di Trieste il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, atteso il pericolo di persecuzione cui esso sarebbe stato esposto in caso di rientro in patria.

  Il divieto di espulsione veniva basato dalla stessa sull’art. 19 comma 1, d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (legge italiana). Nell’articolo citato si stabilisce che in nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.

  In attesa di una “vera” primavera araba anche sul tema, ci si augura che le ipocrisie quotidiane sugli orientamenti sessuali nell’Islam possano presto essere oggetto di riforma.  


Avv. Giorgio Bianco
Studio Legale Giambrone