L'usucapione è un modo per acquisire la proprietà senza necessità di un atto di vendita, di una donazione o una successione ereditaria.
L'usucapione si realizza attraverso il possesso continuato ed ininterrotto di un bene per un determinato periodo di tempo previsto dalla legge.
Di regola, chi possiede un bene e lo usa come se ne fosse il proprietario diventa tale a tutti gli effetti dopo vent’anni, ridotti a quindici per i fondi situati in comuni classificati montani dalla legge e a dieci per i beni mobili registrati.
L’usucapiente ottiene la proprietà libera da ogni diritto di terzi sul bene. 
A norma del Codice Civile la proprietà si ottiene, infatti, a titolo originario, ovvero in modo indipendente dal diritto del precedente proprietario, con la conseguenza che si estinguono tutti i diritti reali di godimento (servitù, usufrutto, uso, abitazione, diritto di superficie, enfiteusi) e di garanzia (pegno, ipoteca, privilegi) che in precedenza gravavano il bene.
Per ottenere l’intestazione della proprietà, chi ha posseduto il bene deve avviare una causa civile per ottenere una sentenza che accerti e dichiari l’usucapione. 
Tale sentenza dovrà essere trascritta nei pubblici registri immobiliari, ai sensi dell'articolo 2651 del Codice Civile.
Il reale proprietario deve, invece, essersi disinteressato del bene, lasciando, in modo consapevole o inconsapevole, che la proprietà  venisse utilizzata in modo indisturbato dal possessore di fatto.
Il possesso utile per ottenere l‘usucapione deve essere pacifico, non violento ed ininterrotto per il tempo stabilito dalla legge.
In sostanza, occorre che l’usucapiente goda del bene alla luce del sole; se il possesso è stato ottenuto con violenza o in modo clandestino, il tempo utile per maturare l'usucapione comincia a decorrere solo da quando sia cessata la violenza o la clandestinità. 
Agli effetti dell'usucapione è invece irrilevante se il possesso è di buona o di mala fede.
La circostanza influisce, infatti, solo sulla durata del possesso necessario per l'usucapione, in quanto se il possesso è in buona fede i termini per usucapire si riducono a dieci anni per gli immobili ed a tre per i beni mobili registrati.
I termini dell’usucapione possono essere interrotti dal proprietario secondo la disciplina prevista dagli articoli 1165 e seguenti del Codice Civile.
In proposito, l’art. 1165 c.c. prevede che le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e d'interruzione e al computo dei termini si osservano in quanto applicabili rispetto all'usucapione, mentre l’art 1167 c.c. specifica che l’usucapione è interrotta quando il possessore è stato privato del possesso per oltre un anno.
Se viene posto in essere un atto interruttivo dell’usucapione, la conseguenza che ne deriva non è tuttavia il blocco definitivo dell’usucapione.
Con l’interruzione, infatti, termini iniziano a decorrere da capo e l’atto interruttivo assume, quindi, una rilevanza più o meno forte a seconda che si sia verificato all'inizio del periodo dell’usucapione o in un momento vicino al suo compimento.
Occorre a questo punto individuare quali siano in concreto gli atti idonei ad interrompere il decorso dell’usucapione.
Al contrario di quanto si possa credere, per interrompere validamente l’usucapione non risulta sufficiente inviare al possessore una semplice diffida o una comunicazione di messa in mora. 
Di recente la Corte di Cassazione ordinanza n. 20611/2017 si è pronunciata su una vicenda riguardante un uomo che si era impossessato di alcuni terreni sin dagli anni '70, esercitando un possesso ultraventennale in modo palese e pacifico, eseguendo anche interventi sui terreni in questione.
Al riguardo, la Corte di Cassazione ha ritenuto che a fronte del dominio pieno ed esclusivo esercitato per oltre vent’anni i proprietari erano rimasti inerti, non potendosi considerare giuridicamente interrotta l’inerzia per mezzo delle due missive inviate dai proprietari, in quanto possono avere efficacia interruttiva solo atti che comportino per il possessore la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa. 
Nel caso in esame, i legittimi proprietari dopo diversi anni inviavano al possessore delle diffide e vendevano i terreni oggetto di causa.
Nel primo grado di giudizio, il Tribunale rigettava la domanda di accertamento dell’usucapione e condannava il possessore all'immediato rilascio dei terreni in favore dei legittimi proprietari. 
In appello, però, la Corte d’Appello riteneva comunque dimostrato l’usucapione dei terreni, sia dalle missive intercorse tra le parti sia dalle prove testimoniali assunte in corso di causa.
Secondo la Corte d’Appello, la consapevolezza, da parte del possessore, di possedere senza titolo ed il compimento, da parte dei proprietari, di attività negoziale finalizzata a trasferire la proprietà del bene posseduto non sono elementi sufficienti per escludere il possesso utile ai fini dell'usucapione.
La vicenda successivamente approdava in Cassazione, che giudicava corretta la sentenza della Corte d’Appello. 
Nel ricorso per Cassazione i proprietari sostenevano che, pur alla luce del consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'efficacia interruttiva può essere riconosciuta solamente agli atti che comportino per il possessore la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, nel caso in esame dalle missive si evinceva il riconoscimento da parte del possessore dell'altrui diritto di proprietà, atto idoneo ad interrompere l'usucapione.
In proposito, la Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso dei proprietari, ha ribadito che gli atti di diffida e di messa in mora, come, nella specie, la richiesta per iscritto di rilascio dell'immobile occupato, sono idonei ad interrompere la prescrizione dei diritti di obbligazione ma non anche il termine per usucapire, potendosi esercitare il possesso anche in aperto e dichiarato contrasto con la volontà del titolare del diritto reale.
Inoltre, ai fini della configurabilità del riconoscimento del diritto del proprietario da parte del possessore, idoneo ad interrompere il termine utile per il verificarsi dell'usucapione, ai sensi degli artt. 1165 e 2944 c.c., non è sufficiente un mero atto o fatto che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio, ma si richiede che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per i fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare.
Con riferimento invece alla vendita del bene a terzi, come avvenuto nella fattispecie, la Corte precisa che l'atto di disposizione del proprietario in favore di terzi, anche se conosciuto dal possessore, non esercita alcuna incidenza sulla situazione di fatto utile ai fini dell'usucapione, rappresentando, rispetto al possessore, "res inter alios acta", ininfluente sulla prosecuzione dell'esercizio del potere di fatto sul bene, non impedito materialmente, né contestato in modo idoneo.
Per interrompere validamente l’usucapione occorre, pertanto, necessariamente la notifica di un atto di citazione (atto di rivendica) con cui il proprietario richiede la materiale consegna del bene, oppure, in alternativa, occorre che il possessore usucapiente riconosca in modo inequivocabile del diritto del vero proprietario.
La notifica dell'atto di citazione è di per sé sufficiente ad interrompere la prescrizione, non essendo necessaria la successiva prosecuzione del giudizio con iscrizione a ruolo della causa.
Deve inoltre ritenersi sufficiente ai fini interruttivi anche la domanda di mediazione, peraltro obbligatoria per l'introduzione del giudizio di rivendica.
Infatti, l’art. 5, comma 6, del Decreto Legislativo n. 28/2010 sancisce l'equiparazione della domanda di mediazione alla domanda giudiziale in relazione agli effetti sulla prescrizione.
La norma stabilisce, infatti, che dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo.
Anche domanda di mediazione, al pari dell’atto di citazione, si può quindi considerare a tutti gli effetti valido atto interruttivo dell'usucapione.
Bologna, 5 marzo 2018
Avv. Elisabetta Doro
Foro di Bologna