L’acquisto della proprietà per usucapione trova il suo fondamento in una situazione di fatto caratterizzata, da un lato, dal mancato esercizio delle potestà dominicali da parte del proprietario e, dall’altro, dalla prolungata signoria di fatto sullo stesso bene da parte di altri che si sostituisca al proprietario nell’utilizzazione del bene medesimo.

L’inerzia del proprietario si manifesta nel mancato esercizio di dette potestà e nella mancata sua reazione contro il potere di fatto esercitato sull’immobile dal possessore, che invece esercita i poteri dominicali.

In tema di usucapione ventennale di beni immobili, le disposizioni del Codice Civile richiedono un possesso continuo, non interrotto, pacifico, pubblico, non equivoco e con l’animo di tenere la cosa come propria. L’usucapione postula un potere sul bene che si manifesta inequivocabilmente in attività corrispondente all’esercizio della proprietà, che sia accompagnato dall’animus possidendi, che non sia viziato da violenza o clandestinità, che si protragga con continuità e senza interruzione per almeno un ventennio (Cassazione 85/1069).

Ai fini della dimostrazione della titolarità del bene rivendicato ex art. 948 c.c. (azione di rivendicazione), in ragione del suo acquisto per usucapione ventennale ai sensi dell’art. 1158 c.c., non è sufficiente che l’attore provi che il suo titolo di acquisto risalga a un ventennio, dovendo egli anche dimostrare di aver continuamente posseduto l’immobile dalla relativa data e in conformità al contenuto del titolo stesso (Cassazione 86/7557).

L’intestazione catastale di un immobile non comporta la dimostrazione che l’intestatario, o gli intestatari, abbiano effettivamente esercitato su di esso quel potere di fatto che, unitamente all’indispensabile elemento intenzionale, è idoneo a produrre l’acquisto della proprietà per il decorso del tempo ed il concorso di tutte le altre condizioni richieste dalla legge a tal fine (Cassazione 88/6628).

Il possesso non è valido ai fini dell’usucapione se è violento o clandestino. Il requisito della pubblicità del possesso, ai fini dell’usucapione, ricorre quando l’acquisto e l’esercizio del possesso siano attuati in modo visibile e non occulto, così da palesare l’animo del possessore di voler assoggettare la cosa al proprio potere. L’accertamento in concreto di tali condizioni, in relazione alla fattispecie concreta e alle prove acquisite agli atti, costituisce apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, è incensurabile (Cassazione 70/1910).

Eventuali atti di diffida o messa in mora sono idonei ad interrompere la prescrizione dei diritti di obbligazione e non anche il termine utile per usucapire, potendosi il relativo possesso esercitare anche in aperto e dichiarato contrasto con la volontà del titolare del diritto reale ( Cassazione 85/2316).

I termini per usucapire si interrompono quando il possessore è stato privato del possesso per oltre un anno.

Inoltre, escludono l’acquisto del possesso i cosiddetti “atti di tolleranza” di cui all’art. 1144 c.c.

Gli atti di tolleranza, che traggono origine dall’altrui spirito di condiscendenza o da rapporti di amicizia (o da rapporti di buon vicinato sanzionati dalla consuetudine) e che implicano un elemento di transitorietà e di saltuarietà (Cassazione 89/81), consistono in un godimento di portata modesta, tale da incidere molto debolmente sull’esercizio del diritto da parte dell’effettivo titolare, con la conseguenza che non può qualificarsi come sorto per mera tolleranza un possesso che si sia protratto per lungo tempo o esplicitato con la costruzione e il godimento di un'opera che insista in modo stabile sul suolo, senza alcuna opposizione da parte del proprietario (Cassazione 86/1185).

Quindi non può qualificarsi come sorto per mera tolleranza, in assenza di una specifica prova in proposito, un godimento protrattosi per lungo tempo senza opposizione del proprietario (Cassazione 86/6591).