La legge fondamentale del 1941, n.ro 633 sulla protezione del diritto d’autore e degli altri diritti comunque connessi al suo esercizio, ha subito importanti e notevoli modifiche, a partire proprio dall’inserimento dell’art. 171 ter nel testo originario della novella da parte dell’art. 17, comma 1, D. Lgs. 685/94 in attuazione della direttiva 92/100/CEE concernente il dirito di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto d’autore in materia di proprietà intellettuale così come previsto dalla relativa Legge delega 146/94 (Legge comunitaria del 1993).

Originariamente, l’articolo in esame, costituito da tre commi, prevedeva tre ipotesi di reato, un’aggravante ed una pena accessoria.

Successivamente, il disposto de quo venne riformato dal D. Lgs. 204/96, per venire poi completamente riscritta dalla Legge 248/2000, con l’inserimento della fattispecie criminale di cui al primo comma, lett. d) dell’ art. 171 ter. attualmente in vigore.


Tanto premesso: 1) in ordine al delitto p. e p. dall’art. 648 c.p.; in ossequio al principio di cui all’art. 2, 1 comma, c.p., in riferimento al tempus commissi delicti, la Legge 248/2000 come dianzi precisato, oltre a introdurre la norma incriminatrice di cui all’art. 171 ter, comma 1, lett. d), L. 633/41, stabilisce anche all’art. 16, 1 comma, che:” chiunque abusivamente utilizza con qualsiasi procedimento, anche via etere o via cavo, duplica, riproduce, in tutto o in parte, un’opera dell’ingegno tutelata dalla normativa sul diritto d’autore e sui diritti connessi al suo esercizio, oppure acquista o noleggia supporti audiovisivi fonografici o informatici o multimediali non conformi alle prescrizioni della presente legge è punito, purchè il fatto non costituisca concorso nei reati di cui agli articoli 171, 171-bis, 171-ter, 171-quater, 171-quinquies, 171-septies e 171-octies della legge 22 aprile 1941, n. 633, come modificati o introdotti dalla presente legge, con la sanzione amministrativa pecuniaria di lire trecentomila e con le sanzioni accessorie della confisca del materiale e della pubblicazione del provvedimento su un giornale quotidiano a diffusione nazionale”.


A ben vedere, vi sono però ben due ordini di argomentazioni che ostano all’applicabilità, nel caso di specie dell’art. 648 c.p. che punisce il delitto di ricettazione.
Stante l’inscindibile connessione prima logica e poi giuridica fra i due reati, quello di cui all’art 648 e quello di cui all’art. 171, ter, comma 1, lett. d), L. 663/41, risulta evidente che, laddove non si dovessero qualificare come di provenienza illecita i beni oggetto dell’asserita ricettazione, ed è utile precisare che siffatta provenienza illecita viene presupposta solo in relazione alla presunta sussistenza del reato di cui all’art. 171 ter, comma 1, lett. d), L. cit., risulterebbe del tutto privo di fondamento anche il reato di ricettazione.


In ogni caso, premessa e non concessa l’esistenza del fatto di cui all’art. 171 ter, comma 1, lett d), L. cit., tale ultima ipotesi delittuosa non potrebbe in alcun modo concorrere con il reato punito dall’art. 648 del c.p. in forza del disposto dell’art. 16, L. 248/2000 sopra indicato, che trova applicazione nella fattispecie anche in ossequio del principio di specialità di cui all’art. 9, L. 689/81.

Sul punto ha avuto modo più volte di pronunciarsi la Suprema Corte, che fra l’altro, ha precisato che: ”in tema di diritto d’autore la condotta di detenzione per la vendita o del commercio di supporti audiovisivi abusivamente riprodotti, punita dall’art. 171 ter della Legge 633/41, non concorre con il reato di ricettazione di cui all’art. 648 c.p., atteso che tra le due norme sussiste un rapporto di continenza in quanto nella norma codicistica sono compresi tutti gli elementi costitutivi della norma introdotta dalla Legge 633 che descrive più specificamente condotte già comprese sul piano astratto nella prima, con la quale si pone in rapporto di specialità. Più in particolare entrambe le norme presuppongono la commissione di un delitto, l’esistenza di un bene che ne costituisce il provento, la detenzione del bene illecito, il fine di profitto, la condizione negativa de non avere l’agente concorso nel reato presupposto e presentano omogeneità dell’interesse tutelato, individuato nella repressione del traffico di cose che costituiscono il provento della commissione di reati “ (cfr., Cass., sez III, 23 settembre 2004).


La pronuncia dianzi indicata è comunque riferita alla prospettiva del concorso fra condotte di acquisto e ricezione previste dall’art. 648 c.p., con le condotte di detenzione e immissione in commercio previste dall’art. 171 ter, L. 633/41, la cui esistenza è pure negata dal Giudice nomofilattico. Ad ogni buon fine, anche a voler cambiare radicalmente prospettiva, in relazione all’indubbia applicabilità dell’illecito amministrativo di cui all’art. 16, L. 248/2000, nonché avuto riguardo ai rapporti di tale illecito con l’art. 171 ter, comma 1, lett. d), L. cit., che, almeno in astratto, presuppongono la teorica configurabilità del concorso fra condotte di acquisto e ricezione con le condotte di immissione in commercio, l’orientamento Giurisprudenziale maggioritario ritiene che l’acquisto o la ricezione di supporti illecitamente prodotti costituisce sempre l’illecito amministrativo dianzi indicato, quale ne sia lo scopo, quantomeno nella vigenza della Legge 248/2000 (ex multis, cfr., Cass., sez II, 10 marzo 2005; Cass., sez II, 3 marzo 2005; Cass sez. II, 8 febbraio 2005; Cass., sez II, 19 gennaio 2005; Cass., sez II, 18 gennaio 2005).


In altre parole si è stabilito che: “nel vigore della legge n. 248 del 2000 la condotta di acquisto di supporti audiovisivi fonografici o informatici o multimediali non conformi alle prescrizioni legali ove non cosituisse concorso ex art. 110 c.p. in uno dei reati previsti dagli art. 171-171 octies, Legge 633/41, integra illecito amministrativo di cui all’art. 16 della stessa Legge, che in virtù del principio di specialità previsto dall’art. 9 legge 689/81, prevale in ogni caso sull’art. 648 c.p., che punisce lo stesso fatto, anche se l’acquisto fosse destinato al commercio”(cfr., Cass., Sezioni Unite, sentenza n. 47164 del 20 dicembre 2005, depositata il 23 dicembre 2005).
2) In ordine al delitto p. e p. dall’art. 171 ter, comma 1, lett d), Legge 633/41.
Occorre richiamare, sul punto, la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea dell’ 8 novembre 2007, n. C-20/05, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE dal Tribunale di Forlì.
La questione pregiudiziale, aveva ad oggetto l’interpretazione della direttiva del Consiglio 83/189/CEE del 28 marzo 1983, che ha istituito una procedura di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche.


Anche in considerazione della successiva direttiva 98/34/CE, la Corte di Giustizia ha ritenuto che il contrassegno SIAE costituisca una “specificazione tecnica”, rientrante nelle prescrizioni relative alla marcatura e all’etichettatura dei prodotti considerati dalla medesima direttiva.
La specificazione in oggetto, costituisce quindi una “regola tecnica” ai sensi dell’art. 1, punto 11, primo comma, della direttiva 98/34, secondo cui la nozione di regola tecnica è “una specificazione tecnica o altro requisito o una regola relativa ai servizi, comprese le disposizioni amministrative che ad esse si applicano, la cui osservanza è obbligatoria, de jure o de facto”.
Nondimeno, gli artt. 8 e 9 della direttiva 98/34/CE impongono di comunicare alla Commissione della Comunità Europea i progetti di regole tecniche che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva in oggetto.


In Italia, la Legge n. 248/2000 ha introdotto l’estensione dell’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE anche sui supporti contenenti software, ma essendo tale normativa successiva alla direttiva Europea, e rientrando la cd. bollinatura nelle specifiche tecniche, l’Italia avrebbe dovuto dare comunicazione alla Comunità Europea delle norme che aveva intenzione di introdurre; tuttavia, questo non è mai avvenuto.


E’ stata, pertanto, ritenuta fondata la domanda pregiudiziale trasmessa dal Tribunale di Forlì tesa ad accertare il rispetto da parte dell’Italia delle normative comunitarie e a verificare la legittimità dei contrassegni SIAE, la cui mancata apposizione dà luogo al reato di cui all’art. 171 ter, comma 1, lett. d), della legge 633 del 1941, nella formulazione introdotta dalla Legge 248/2000.
In buona sostanza, la Corte di Giustizia ha rilevato la sussistenza di un inadempimento a carico dello Stato Italiano, il quale non ha provveduto ad ottemperare all’obbligo di comunicazione della regola tecnica nei confronti della Commissione europea, regola tecnica costituita dall’obbligo di cd. bollinatura SIAE, cancellando quindi l’operatività di tale obbligo contenuto nella normativa nazionale.
Si è affermato, in particolare, che “le norme e le regolamentazioni tecniche che prevedono l’obbligo di apporre sui dischi compatti il contrassegno SIAE in vista della loro commercializzazione nello Stato membro interessato, costituiscono una regola tecnica che, qualora non sia stata notificata alla Commissione, non può essere fatta valere nei confronti di un privato”.

In conformità alla decisione della Corte di Giustizia dell’ 8 novembre 2007, n. C-20/05, avuto riguardo, segnatamente, al reato contestato di cui all’art. 171 ter, comma 1, lett d), L. 633/41, nella formulazione introdotta dalla L. 248/00, bisognerà quindi disapplicare quanto stabilito dalla legge nazionale in tema di bollo SIAE, dato che tale normativa risulta essere stata adottata senza tener conto della normativa comunitaria, conseguentemente pervenendo ad un giudizio di assoluzione.
Tesi confermata dalla Corte di Cassazione con tre importanti sentenze tutte depositate il 2 aprile 2008, la n. 13810, la n. 13816 e la n. 13853, oltre alla successiva n. 14705/08, con le quali ha recepito integralmente la decisione della Corte di Giustizia.

In particolare, la Corte Suprema si è spinta oltre il semplice doveroso recepimento della decisione della Corte del Lussemburgo, e facendo leva su considerazioni di natura sistematica, ha determinato anche la formula assolutoria, individuandola in quella ai sensi dell’art. 530, 1 comma, “perché il fatto non sussiste”


Fra l’altro, con la prima delle sentenze appena richiamate si è affermato che: ” la Corte di Giustizia ha il ruolo di qualificato interprete del diritto comunitario di cui definisce autoritariamente il significato con la conseguenza che una sentenza interpretativa di una norma si incorpora nella stessa e ne integra il precetto con immediata efficacia (v. per tutte sentenze Corte Cost 13/1985, 389/1989, 168/1991 ; Cass sez III, 1/7/1999, n 9983, Valentini). Ai sensi dell’art. 164 del Trattato CE l’interpretazione del diritto comunitario della Corte di Giustizia ha efficacia vincolante per tutte le autorità (giurisdizionali o amministrative) degli Stati membri anche ultra partes…..il principio di non applicazione opera anche nel caso in cui la regola tecnica sia contenuta in una norma penale. Il principio di prevalenza e la diretta efficacia del diritto comunitario comportano come ineludibile conseguenza che i precetti penali, per i quali vige il principio di riserva di legge statale, siano influenzabili, pur indirettamente, dalla normativa sovranazionale con funzione mitigatrice nel senso che questa non può creare nuove ipotesi di reato o aggravare la responsabilità di un soggetto, ma può restringere l’ambito del penalmente rilevante e introdurre nuove cause di giustificazione …..in esito alla decisione della Corte di Lussemburgo, il giudice nazionale deve disapplicare – fino al momento in cui sarà perfezionata la procedura di notifica- la regola interna che impone l’obbligo di apporre sui supporti il marchio Siae in vista della loro commercializzazione.


In tale modo, viene vanificata la rilevanza penale di tutte le fattispecie di reato che includono come elemento costitutivo della condotta tipica il contrassegno Siae con inevitabile influenza anche sulle disposizioni che regolano la misura patrimoniale della confisca…..le conclusioni della Corte di Giustizia incidono su tutte le disposizioni normative che, successivamente alla entrata in vigore della direttiva 83/98 CEE, hanno introdotto la necessità del timbro Siae per le varie tipologie di supporti….il Collegio ritiene che le conclusioni debbano applicarsi a tutte le ipotesi di disposizioni normative che hanno introdotto la necessità del timbro Siae ai nuovi tipi di supporto.

Anche in questi casi, è riscontrabile un vizio di adozione delle norme tecniche, per la mancanza della procedura di informazione, e sono di attualità le argomentazioni della Corte di Giustizia. Esse debbono coerentemente estendersi a tutte le norme della legge sul diritto di autore che sanzionano penalmente la carenza del contrassegno Siae sui supporti non cartacei”.

Pertanto, posto che “le fattispecie della L.633/1941 che puniscono la immissione sul mercato di supporti privi del necessario contrassegno Siae sono gli artt. 171 bis comma 1 e comma 2, l’artt. 171 ter, comma 1, lett.d (lett.c prima della novazione introdotta con la L.248/2000)”…..“ nel caso in cui la condotta contestata riguardi l’apposizione del marchio Siae, la disapplicazione della norma nazionale, incompatibile con quella comunitaria, comporta davanti alla Corte Suprema l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata”.


Ed ancora “a proposito del contrassegno si deve rilevare che nella prassi sovente si fa riferimento alla sua mancanza , non per contestare un’autonoma figura di reato rispetto alla contraffazione sostanziale, ma solo per evidenziare che la mancanza del contrassegno costituisce la riprova dell’illecita duplicazione. L’inesistenza del contrassegno non è elemento di tale significatività ed univocità da sorreggere da solo, in carenza di altre emergenze, la conclusione in ordine alla abusiva o illecita riproduzione dell’opera protetta”.


Sulla stessa linea, la giurisprudenza di merito; il Tribunale di Lanciano, con la sentenza 77/2007 depositata l’8 febbraio 2007, attestandosi sul solco già tracciato dal Gip di Bolzano (Sent. 145/2005), ha avuto modo di affermare che “il semplice rinvenimento di una serie di supporti contenenti programmi informativi, in questo caso compact disc privi di marchio SIAE non è prova sufficiente a della loro duplicazione abusiva, ovvero della loro detenzione consapevolmente abusiva”. Conforme anche la Corte d’Appello di Bari (sez. I, 17 luglio 2006, n. 853), secondo la quale “la responsabilità per il reato di cui all’art. 171-ter l. 633/41 esige adeguata prova quanto all’effettivo contenuto dei supporti magnetici abusivamente riprodotti ed alla contestuale destinazione ad uso non personale del prodotto duplicato”