Gli strumenti posti dal nostro ordinamento a tutela del diritto di proprietà e contemplati dagli artt. 948-951 c. c. sono, rispettivamente, l'azione di rivendicazione, l'azione negatoria, l'azione di regolamento di confini e di apposizione di termini.

A ben vedere, peraltro, al proprietario, così come al possessore, spettano anche le cc. dd. azioni di nunciazione, ossia la denuncia di nuova opera e la denuncia di danno temuto, regolate dagli artt. 1171-1172 c. c. e su cui si tornerà nella sezione dedicata al possesso.

Il principale rimedio processuale, tra quelli in commento, è indubbiamente 

* l'azione di rivendicazione, volta a recuperare il bene sfuggito alla disponibilità del proprietario in quanto a lui sottratto.

A norma dell’art. 948 c.c. l’azione di rivendicazione, è diretta a far conseguire il bene indebitamente posseduto da altri, di conseguenza il relativo accertamento della proprietà ha funzione di fondamento della condanna al rilascio della res.

Difatti, l’eventuale sentenza di accoglimento di una simile azione, ove passata in giudicato, comporta la condanna del convenuto al rilascio del bene e preclude che in un successivo giudizio fra le stesse parti, detto convenuto possa far valere un diritto reale di godimento su quel bene, rimettendo in discussione la natura indebita del proprio possesso, atteso che questa è necessariamente presupposta da detto giudicato.

Tale azione, tendendo al riconoscimento del diritto di proprietà dell’attore e al conseguimento del possesso sottrattogli contro la sua volontà, esige necessariamente la prova della proprietà della cosa da parte dell’attore e del possesso di essa da parte del convenuto.

Per l’esercizio dell’azione di rivendicazione non è necessario lo spossessamento del bene senza o contro la volontà, sicché anche quando abbia trasferito il possesso in base ad un’obbligazione assunta contrattualmente non gli è preclusa la possibilità, ove eventi giuridici successivi abbiano determinato il venir meno del diritto dell’accipiens, di proporre anche l’azione reale di rivendica per riottenere il possesso del bene quale proprietario, anziché di agire con l’azione personale di restituzione ex art. 949 c.c.; ovvero, a fronte delle eccezioni del convenuto che opponga un proprio titolo di acquisto della proprietà, di modificare in corso di giudizio la domanda di restituzione originariamente proposta in domanda di rivendicazioni.

Tale azione persegue dunque una finalità essenzialmente recuperatoria, sebbene con essa il proprietario possa chiedere anche l'accertamento del suo diritto. L'azione e la pronuncia di accertamento sono assai utili soprattutto nel caso in cui l'acquisto sia avvenuto in via possessoria e senza titolo formale, cioè per usucapione (Cass., 30 marzo 1985, n. 2239). Legittimato attivo, pertanto, è esclusivamente il proprietario, che, in qualità di attore, secondo il principio generale in materia di onere della prova, è tenuto a dimostrare gli elementi costitutivi del diritto fatto valere. Detto onere, peraltro, non sempre è di facile adempimento, configurandosi talora addirittura come probatio diabolica, soprattutto qualora il diritto sia stato acquistato da un precedente proprietario; in tali casi, tuttavia, vengono in soccorso alcuni correttivi dettati in materia di possesso.

Legittimato passivo dell'azione di rivendicazione è invece chiunque abbia il possesso o la detenzione della cosa ovvero chi, prima della proposizione della domanda giudiziale, abbia consapevolmente ceduto il bene a terzi; in tal caso colui che abbia sottratto la cosa al proprietario sarà obbligato a reperirla e restituirla allo stesso ovvero a corrispondergli l'equivalente in denaro qualora il bene non possa essere ritrovato.

La predetta azione è imprescrittibile, fatti salvi gli acquisti validamente effettuati da terzi per usucapione, ed è soggetta a trascrizione.

* L’azione negatoria è, invece, disciplinata dall’art. 949 c.c. ed è rivolta all’accertamento dell’inesistenza dei diritti reali minori sui beni oggetto diritto di proprietà vantati da terzi (ove il titolare del diritto di proprietà abbia ragione di temerne pregiudizio) e ad ottenere la cessazione delle eventuali turbative create da terzi sul bene oggetto di proprietà. A differenza dell’azione di rivendicazione, può essere promossa dal proprietario che tema di subire pregiudizio da terzi che vantino sulla medesima cosa diritti reali minori, cosicché legittimato passivo è soltanto il titolare di un diritto reale di godimento; è necessario, peraltro, che il pericolo di molestia sia effettivo, non rilevando la mera affermazione della titolarità di un diritto da parte di un terzo.  A mente dell’art. 949 c.c., dunque, l’azione negatoria è l’azione che il proprietario può esercitare: "… per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno".

Nell’ambito dell’azione negatoria, poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce non ha l'onere di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà - neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall'altra parte - essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido. L'azione negatoria, infatti, non mira all'accertamento dell'esistenza della titolarità della proprietà, ma a chiedere la cessazione dell'attività lesiva, mentre al convenuto incombe l'onere di provare l'esistenza del diritto di compiere detta attività (si veda, tra le sentenze più recenti, Cass. Civ. n. 1409 del 23 gennaio 2007). 

* Sia l'azione di regolamento di confini che quella di apposizione di termini hanno ad oggetto esclusivamente la proprietà fondiaria; esse, inoltre, sebbene apparentemente simili, si fondano su presupposti ben distinti.

La prima, infatti, è volta ad ottenere dall'autorità giudiziaria la precisa determinazione della linea di confine atta a separare due fondi attigui; a tal fine, dovrà essere espletata idonea consulenza tecnica; soltanto qualora perduri l'incertezza, avranno efficacia probatoria i certificati catastali.

L'azione di apposizione di termini, invece, ha l'unico scopo di ripristinare i termini mancanti o divenuti irriconoscibili ripartendo equamente la spesa tra i proprietari finitimi; in tal caso la delimitazione del confine non è in dubbio. In giurisprudenza, si è soliti affermare che l'azione personale di apposizione di termini può mutarsi in quella reale di regolamento di confini ogniqualvolta, in relazione alle eccezioni sollevate dal convenuto, insorga tra le parti un contrasto sulla linea di confine lungo la quale i termini debbono essere apposti (tra le altre, Cass., 5 dicembre 1985, n. 6107).