Chissà se anche Lenin conosceva l’istituto del Trust….

Di certo, il richiamo di una delle sue frasi più famose ci fa presumere di si: “La fiducia è bene, il controllo è meglio”.

In effetti, “fiducia” e “controllo” sono due parole che, meglio di ogni altra, caratterizzano l’istituto del Trust e dei soggetti protagonisti: settlor (Disponente), Trustee (fiduciario) e Protector (Guardiano).

Definito dall’autorevole Paul Matthews quell’istituto del quale una parte del mondo non potrebbe fare a meno e che, al contempo, è totalmente sconosciuto all’altra parte, il Trust - che non è un ente e non gode di personalità giuridica - è quell’insieme di “rapporti giuridici” in forza dei quali una persona, il Disponente, con atto tra vivi o mortis causa, conferisce dei beni desiderando che tali beni siano posti sotto il controllo di un Trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.

Attraverso il Trust, quindi, ciascuno può scegliere (nel presente) se separare una determinata entità patrimoniale da quanto sino in tal momento costituito e programmarne (nel presente e nel futuro) la destinazione o l’utilità, “guidando” il Trustee che dovrà seguire precise indicazioni (le quali potranno essere integrate in corso di Trust dalle c.d. letter of wisches del Disponente medesimo- c.d. dinamicità del Trust-).

Dal punto di vista storico, il Trust trae le sue origini nel sistema giuridico feudale inglese che aveva l’esigenza di gestire il patrimonio immobiliare del Re attraverso i vassalli locali, i quali erano immessi nell’uso e nel godimento dei fondi senza che la proprietà fosse distratta dal Re: in altre parole, un sistema di concessioni e sub concessioni a cascata, che seguivano la scala gerarchica.

Le applicazioni che da questo strumento ne sono discese nell’epoca moderna, sono state molteplici, soprattutto se si tiene conto che in un Trust possono confluire ben di varia natura: dai liquidi, ai mobili di pregio, alle quote societarie, agli immobili, ai mobili registrati ecc.

Gli esempi potrebbero essere infiniti, soprattutto se si pensa alla continua evoluzione della società internazionale e parallelamente del diritto.

Il Trust, quindi, lo possiamo aggettivare in molteplici maniere: multifunzionale, elastico, impermeabile, trasparente, sicuro: il tutto a condizione, peraltro, che gestione, finalità e condizione, si rivelino rispettivamente professionali, serie e non contra ius.

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il processo di assimilazione di tale istituto all’interno del nostro ordinamento non fu né agevole né immediato.

Infatti, il XX secolo fu caratterizzato dalla netta avversità da parte di giurisprudenza e dottrina nei confronti del Trust.

L’ostracismo manifestato da Corti ed Autori, trovava origine nella tenace difesa dei dogmi ottocenteschi su cui si era fondato il diritto civile di stampo francese.  

Questa negativa atmosfera legislativa e dottrinale che aggrediva il Trust, determinò una paralisi del suo utilizzo da parte dei privati, sicché nel nostro ordinamento, per quasi tutto l’Ottocento, non furono praticate significative destinazioni patrimoniali.

Sul piano internazionale, a partire dal 1870 circa, s’iniziò a farsi notare un fenomeno diametralmente opposto: gli operatori commerciali d’oltreoceano presero a guardate il Trust come strumento versatile e sicuro al punto che molteplici ordinamenti statali ne incoraggiarono l’operatività all’interno dei propri confini. Infatti, il problema della destinazione e della blindatura dei capitali rispetto a vicende non strettamente attinenti alla singola operazione, e più in generale il problema delle garanzie commerciali, finanziarie e bancarie, assunse un ruolo primario, non solo per i singoli operatori, ma anche per i Paesi interessati ad attirare capitali dall’estero mantenendo, nel frattempo, i propri capitali all’interno delle frontiere.

In Europa, occorrerà attendere sino al 1985 per l’adozione di un testo convenzionale di diritto internazionale privato avente ad oggetto tale istituto: infatti, in tale anno, fu pubblicata la Convenzione de L’Aja “sul Trust e sul suo riconoscimento”, entrata in vigore 1° gennaio 1992 e ratificata dal nostro Paese con la legge n. 364 del 16 ottobre 1989.

Per meglio comprendere la rilevanza che tale Convenzione assunse in seguito, rammentiamo la vicenda delle Barbados, il cui ordinamento, che pur conosceva il Trust al momento dell’adozione della Convenzione de L’Aja disciplinandolo sulla scorta di una legge del 1979, nel 1995 decise di dotarsi di una nuova legge, il Barbados International Trusts Act: oggi i Trust interni, o nazionali, sono regolati da una legge che ricalca sostanzialmente il modello di tradizione britannica.

L’influenza che le varie legislazioni nazionali hanno avuto sui modelli di Trust, ha consentito agli operatori del diritto in grado di muoversi sullo scenario internazionale e di muovere capitali tra un Paese e l’altro, di valutare di volta in volta quale fosse la normativa ritenuta più efficiente e soddisfacente per gli interessi in giuoco: ecco, quindi, un esempio di rule shopping, da non confondere con il treaty shopping, fattispecie elusiva di caratura internazionale ideata dal contribuente per sottrarsi o minimizzare l’obbligo tributario in un certo stato (tale fenomeno consiste nell’impiego distorto di una Convenzione stipulata tra due stati per l’eliminazione della doppia imposizione internazionale: in altre parole, è la situazione ove un soggetto, non destinatario dei benefici di un trattato, mediante l’inserimento di una struttura economica (conduit company) in uno degli stati stipulanti, possa ottenere benefici di cui altrimenti non avrebbe potuto fruire operando direttamente).

Gli interventi legislativi sui Trust hanno contribuito a creare, in chiave internazionale, un nuovo modello di Trust, non codificato giacché figlio di esperienze diverse ed espressione di una rielaborazione dei Trust disciplinati dalle singole leggi nazionali: il c.d. “Trust internazionale”.

A questo punto, si disegnano due scenari differenti: da un lato il modello “Trust“ tratteggiato dalla Convenzione de L’Aja e dall’altro lato, il Trust internazionale, non codificato, che pur presentando profili normativi nuovi ed originali, sostanzialmente opera allo stesso modo, e cioè in forza degli stessi principi e delle stesse regole giuridiche.

Matrice comune dei due modelli è l’effetto segregativo dei beni in Trust: i beni trasferiti nel fondo in Trust, e perciò destinati a beneficiare uno o più soggetti o alla realizzazione di uno scopo, appartengono al Trustee, e vengono a questo intestati, ma non costituiscono parte del suo patrimonio personale.

Tratti caratteristici e connotanti il modello di “Trust internazionale” sono, generalmente, i benefici fiscali di cui tale istituto gode in tutti gli ordinamenti giuridici nazionali dai quali il modello stesso è alimentato, e che sono giustificate dall’estraneità economica dell’operazione oggetto del Trust rispetto all’ordinamento nazionale le cui disposizioni normative disciplinano l’istituto (cfr. G. Marino, Profili fiscali del Trust nelle giurisdizioni off shore, in Trusts, 2000, 521).

Per semplificare il discorso, diciamo allora che il Trust c.d. internazionale ha una fonte esclusivamente legislativa; è in costante movimento; muta secondo i contributi innovativi che riceve; è la parte terminale delle evoluzioni legislative interne.

Come sapientemente già osservato in dottrina, possiamo allora terminare nel senso che il “Trust internazionale” non possiede una sua definizione univoca; i suoi profili appaiono tanto più sfumati quanto più numerosi sono gli ordinamenti nazionali che contribuiscono al suo divenire.

Pertanto, quando sarà applicabile all’istituto la legge nazionale di un Paese, per Trust s’intenderà una certa operazione, e quando sarà applicabile la legge di un altro Paese, s’intenderà un’operazione diversa.

Ciò dipende principalmente dall’esigenza di rendere i principi, la struttura e gli effetti del Trust, operativi anche in sistemi e ambienti giuridici non propriamente di Common Law e nel più gran numero possibile di Paesi, capaci di far fronte alle necessità sempre nuove della pratica degli affari del commercio internazionale.

E’ chiaro, però, come in una situazione di questo genere, possa crearsi uno stato di conflitto giuridico sostanziale e processuale: si pensi a quegli ordinamenti in cui, per esempio, è normativamente stabilito che determinate materie non possano subire l’applicazione di regole giuridiche di un altro stato.

Tirando le fila del discorso, affiora un’inevitabile riflessione: il Trust internazionale può essere senza dubbio utile se utilizzato per percepire i mutamenti, le innovazioni, le peculiarità che caratterizzano il costante processo evolutivo delle legislazioni nazionali e se impiegato per far emergere contrasti normativi tra Paesi e Paesi può stimolare il confronto e la ricerca; se invece è utilizzato solo per ciò che dovrebbe rappresentare, rischia di perdere efficacia e di far perdere il controllo ai suoi operatori.

L’articolo 2 della Convenzione dell’Aja, definisce il Trust “the term «Trust» refers to the legal relationship created inter vivos or on death by a person, the settlor, when assets have been placed under the control of a Trustee for the benefit of a beneficiary or for a specified purpose” ("Il termine« fiducia »si riferisce al rapporto giuridico creato inter vivos o mortis causa da una persona, il Disponente, qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un Trustee a favore di un beneficiario o per un fine specifico").

In altre parole, la Convenzione è applicabile ad ogni operazione nella quale, pur mancando un negozio di trasferimento dal Disponente al Trustee del Trust Fund, il patrimonio sia posto “sotto il controllo del Trustee ”.

Il Trust deve presentare le seguenti caratteristiche: a) i beni del Trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del Trustee; b) i beni del Trust sono intestati in nome del Trustee o di un'altra persona per conto del Trustee; c) il Trustee è investito del potere e onerato dell'obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del Trust e le norme particolari impostegli dalla legge.

Il Trustee è il soggetto che riceve dal Disponente le posizioni soggettive (beni o diritti), che divengono segregati e separati dal patrimonio personale del Trustee (art. 11 legge 364 del 1989).

Questo principio di segregazione, è stato ed è accolto a tutt’oggi dalla giurisprudenza italiana.

Rammentiamo come ad esempio il Tribunale di Brescia, con la sentenza del 12 ottobre 2004 (in Trusts e Attività Fiduciarie, 2005, pag. 83), abbia stabilito che il creditore del Disponente non possa aggredire, con azione esecutiva di espropriazione, i beni che il debitore ha trasferito al Trustee con atto avente data certa anteriore al pignoramento: il Giudice, superate le questioni riguardanti l’ammissibilità dell’istituto nell’ordinamento interno, nel caso di specie respingeva le domande del creditore pignorante affermando che” i beni trasferiti in proprietà al Trustee del Trust“sono segregati, non appartengono né al settlor né al Trustee e pertanto sottratti e inattaccabili dai rispettivi creditori”.

Nella stessa direzione depone un’ordinanza del Tribunale di Siena, che con provvedimento del 16 gennaio 2007 (in Trusts e Attività Fiduciarie, 2007, pag. 266), ha statuito che “i creditori personali del Trustee non possono aggredire i beni del Trustee dunque questi beni non sono neppure sequestrabili o pignorabili alla stessa stregua dei beni costituiti in fondo patrimoniale, fino a che sia vigente ed operativo il vincolo del Trust fino a che il vincolo non venga caducato per effetto di annullamento o revocazione del negozio costitutivo”.

Analoghe considerazioni si rinvengono anche nella precedente pronuncia del Tribunale (penale) di Venezia del 4 gennaio 2005 (in Trust e Attività Fiduciarie, 2005, pag. 245), ove si legge che “la peculiarità della situazione porta ad affermare che il Trustee è titolare di un diritto reale senza … esserne proprietario … Il Trustee è titolare di un diritto reale non nell’interesse proprio, ma nell’interesse altrui … Non vi è la nascita di un nuovo diritto reale, né uno sdoppiamento del diritto di proprietà, ma il semplice trasferimento di un diritto reale da un soggetto ad un altro che accetta detto trasferimento come collegato – e questo è essenziale – ad un obbligo di amministrazione e di gestione”.

Ancora.

“…La struttura del contratto di trust è triangolare: il disponente trasferisce un patrimonio ad un altro soggetto, il trustee, che ne diviene proprietario, con l’obbligo di custodirlo ed amministrarlo ed obbligandosi a trasferirlo a sua volta ad uno o più beneficiari ad una scadenza finale. … L’elemento fondante dell’attribuzione patrimoniale del settlor al trustee è da ravvisarsi proprio nella fiducia che sottende l’atto dispositivo in questione, per cui il conferimento patrimoniale trova ragione nelle capacità di amministrazione e gestione dei beni …. Risulta quindi evidente l’assenza di un qualsiasi intento di liberalità da parte del disponente nei confronti del trustee in quanto quest’ultimo costituisce il mezzo per la realizzazione del programma concordato” (Sentenza n. 95 del 14 ottobre 2009 Commissione Tributaria Treviso).

“…E’ inefficace l’iscrizione ipotecaria del concessionario della Riscossione sui beni devoluti in precedenza al trust: la costituzione di quest’ultimo equivale alla perdita di proprietà del bene” (Sentenza n. 140/2011 Commissione Tributaria Regionale Lombardia).

La Commissione Tributaria Regionale di Milano (26 ottobre 2011) ha disposto che, per un debito fiscale del disponente, non si possa iscrivere ipoteca sui beni da quest'ultimo vincolati in un trust.

Dunque, il Trust rappresenta lo strumento con il quale il Disponente riesce a realizzare i suoi desideri nel futuro, a prescindere dalla sua esistenza in vita e prescindere da futuri eventi di carattere personale o patrimoniale che potranno colpirlo.

Il Trustee è l’elemento dominante nella gestione di un Trust, essendo l’unico soggetto che non può mancare atteso che a tale soggetto sono trasferiti i beni, con i relativi diritti, con l’obbligo di gestirli e amministrarli nell’interesse dei beneficiari e per volontà del Disponente.

Il primo Trustee a ricoprire tale incarico, generalmente, è indicato dal Disponente nell’atto istitutivo: questo ruolo, può essere svolto da persona fisica o persona giuridica (caso tipico le Trust Company).

Il Trustee dispone dei poteri propri della carica che ricopre soltanto dopo l’accettazione dell’atto istitutivo e della propria nomina, che deve avvenire nei modi e nei tempi indicati nell’atto istitutivo o nella nomina effettuata da parte del soggetto avente il suddetto potere, secondo le previsioni dell’atto istitutivo.

Mentre nella prassi internazionale sono riconosciute ipotesi di accettazione dell’incarico per comportamento concludente, nei Trust interni è la natura dei beni dedotti in Trust a dettare la forma sia dell’atto istitutivo del medesimo, sia dell’atto di nomina ed accettazione del Trustee che dovranno avvenire con atto autentico, fermo l’espletamento, da parte del Trustee delle necessarie formalità pubblicitarie.

In The Law of Trusts (di Thomas and Hudson) il Trust è descritto come “The essence of a Trust is the imposition of an equitable obligation on a person who is the legal owner of property (a Trustee) which requires that person to act in good conscience when dealing with that property in favour of any person (the beneficiary) who has a beneficial interest recognised by equity in the property. The Trustee is said to “hold the property on Trust” for the beneficiary. There are four significant elements to the Trust: that it is equitable, that it provides the beneficiary with rights in property, that it also imposes obligations on the Trustee, and that those obligations are fiduciary in nature”.

Da tale definizione possiamo allora evincere quali siano i principi ai quali il Trustee deve sempre uniformarsi nell’espletamento della propria mission (la scelta del termine mission, tra l’altro, non è casuale o pleonastica: molte Trust Company ne fanno espresso richiamo): agire con buona coscienza, con equità, con obblighi di carattere fiduciario.

D’altro canto, i poteri che l’atto istitutivo e la legge regolatrice del Trust possono conferire al Trustee sono particolarmente ampi al punto da non consentirne una schematizzazione, tout court.

In linea generale, osserviamo come i più comuni poteri affidati al Trustee nell’ambito dell’esercizio delle sue funzioni, si dividano in poteri dispositivi e in poteri gestionali: godere e disporre dei beni del Trust; delegare a professionisti e a consulenti l’amministrazione dei beni del Trust; affidare a terzi il compimento di singole attività; rappresentare processualmente il Trust, cioè avere la legittimazione attiva e passiva ad agire e a stare in giudizio in nome e per conto del Trust; esercitare qualunque attività commerciale, compiere investimenti sotto qualunque forma quando ne ravvisi la necessità ed in conformità allo scopo del Trust.

L’obbligazione gravante sul Trustee, secondo i principi di Commow Law, ricade nell’ambito dei negozi unilaterali, identificandosi in un’obbligazione non contrattuale che ha per oggetto ”i limiti alla disponibilità di un diritto, i comportamenti da tenere o da non tenere nell’esercizio di quel diritto e l’attribuzione finale ad un terzo del diritto stesso” e con la quale il Trustee si spoglierà dei propri poteri e obblighi.

Nel nostro ordinamento civilistico, le obbligazioni del Trustee dovranno essere di volta in volta valutate, con riferimento ai Trust interni, alla luce della legge regolatrice del Trust scelta dal Disponente, sulla base delle disposizioni contenute nell’atto istitutivo, in forza dei principi generali del nostro ordinamento.

Il Trustee, accettando la nomina mediante la sottoscrizione del relativo atto istitutivo, assume espressamente l’obbligo nei confronti dei beneficiari, di portare a compimento le finalità indicate dal settlor, assumendosi l’onere di mantenere l’integrità fisica dei beni iscritti nell’atto istitutivo di Trust.

Il ruolo di Trustee può mutare al verificarsi di determinate condizioni: morte, dimissioni, revoca.

Per tale ragione, l’atto istitutivo di un Trust talvolta prevede già l’indicazione di una rosa di nominativi di soggetti idonei a ricoprire la carica di Trustee e l’indicazione della procedura necessaria ai fini della sostituzione del primo Trustee e di coloro che dovranno provvedere all’espletamento di tale incombente.

Si tenga presente, peraltro, che la mancanza temporanea della figura del Trustee non determina, di per sé, la cessazione del Trust. Infatti, la successione nell’ufficio di Trustee configura un’ipotesi di successione a titolo particolare nella posizione giuridica del precedente Trustee con riferimento alla proprietà del fondo in Trust.

La revoca del Trustee, non richiede giusta causa, né particolari motivazioni e può avvenire secondo le modalità prescritte nell’atto costitutivo, ad istanza dei soggetti cui tale facoltà sia espressamente attribuita, ovvero giudizialmente ad istanza di chiunque ne sia interessato con ricorso all’Autorità Giudiziaria competente.

Il procedimento di revoca giudiziale del Trustee è generalmente instaurato a causa dell’insoddisfacente comportamento del Trustee o dell’inadempimento di quest’ultimo o per sua sopravvenuta incapacità o inidoneità o per qualunque altro motivo costituente impedimento allo svolgimento delle funzioni di Trustee nel rispetto della legge regolatrice del Trustee e delle norme processuali vigenti nell’ordinamento in cui è stata richiesta la revoca.

L’evento morte del Trustee (persona fisica) non comporta nel nostro ordinamento, in virtù del principio di successione universale, alcun passaggio del Trust Fund all’erede del Trustee defunto : dunque il Trust Fund non entrerà mai nella massa ereditaria del Trustee defunto.

L’eventuale sostituzione di un Trustee deceduto, potrà avvenire con i meccanismi previsti nell’atto istitutivo ai sensi della legge applicabile al Trust, nei limiti in cui essi non risultino in contrasto con le norme interne e con l’ausilio dell’esecutore testamentario ai fini del trasferimento dei beni in Trust.

In tale situazione, al fine di dirimere eventuali conflitti tra beneficiari e Disponente o per sopperire all’assenza d’istruzioni in merito al Trustee subentrante, potrà essere invocata l’Autorità Giudiziaria con l’instaurazione di un procedimento di volontaria giurisdizione.

A seconda delle condizioni che hanno comportato la sostituzione del Trustee ed in base al disposto dell’atto istitutivo, l’incarico al nuovo Trustee potrà essere conferito anche dal Trustee uscente, piuttosto che dal guardiano, dai beneficiari o dal Presidente del Tribunale, i quali, ai fini della nomina, agiranno in rappresentanza del Trust.

Il neo nominato Trustee dovrà appurare gli scopi per cui il Trust è stato istituito e verificare se i poteri eventualmente attribuiti a beneficiari, guardiano e Disponente siano coerenti con detti scopi.

Tali previsioni valgono anche nell’ipotesi di estinzione del Trustee “persona giuridica”.

Un’ultima annotazione.

La sostituzione del Trustee è momento rilevante anche ai fini dell’antiriciclaggio.

Ai sensi del combinato disposto degli articoli 10 e 12 comma 2, lett. d), del D.Lgs n. 231 del 2007, sono sottoposti agli obblighi antiriciclaggio anche i “prestatori di servizi concernenti società e Trust” tra i quali è individuata la figura di colui che ricopre la “funzione di fiduciario di un Trust”. Ciò comporta che nel caso di Trustee subentrante, esso dovrà svolgere un’adeguata verifica nei confronti del proprio Cliente, cioè di colui che gli conferisce l’incarico di “occupare la funzione di fiduciario in un Trust”.

Il neo nominato Trustee dovrà individuare secondo la c.d. normativa antiriciclaggio, i titolari effettivi del Trust nonché verificare se il comportamento del precedente Trustee possa essere considerato conforme alla normativa antiriciclaggio.

Il Guardiano (Protector) è il soggetto al quale è demandato il compito di esercitare il controllo sul comportamento del Trustee.

In altri termini, è lo “strumento“ mediante il quale il Disponente (qualora lui stesso non si nomini guardiano) esercita direttamente il controllo sul Trust.

Storicamente, il concetto di protezione e quindi della figura del Protector, si è sviluppato in giurisdizioni offshore.

I disponenti, comprensibilmente preoccupati di affidare i propri beni in Trust ad una struttura collocata in paese lontano, ebbero l’esigenza di avere un “controllore”sull’operato del Trustee del Trust offschore.

Con il passare degli anni, il Guardiano ha assunto un riconoscimento definitivo ed è entrato far parte del concetto tradizionale di Trust.

D’altro canto, le ragioni che possono indurre un Disponente a nominare un Protector sono molteplici: ad esempio, il timore che il Trustee non presti sufficiente attenzione ai suoi desideri, oppure, più semplicemente, vuole che un terzo funga da principale punto di contatto, tra i beneficiari ed il Trustee.

I poteri attribuiti al Protector possono essere vari: rimuovere e nominare fiduciari; approvare una modifica del diritto proprio; approvare l'aggiunta o la rimozione dei beneficiari; approvare la nomina di un agente o consulente in generale o a proposito di questioni specifiche; approvare le raccomandazioni d’investimento.

Sotto un profilo concettuale, segnaliamo come gli autori abbiano incontrato difficoltà ad “interagire” con la figura del “ Guardiano” ritenendolo una sorta di soggetto che si sovrappone e/o che sostituisce in quel ruolo che la giurisprudenza, storicamente, ha sempre demandato agli amministratori.

Le applicazioni del Trust sono molteplici.

Pensiamo al Trust in favore di soggetti deboli e diversamente abili.

In tal caso, la finalità dell’istituto è quella di assicurare il mantenimento del tenore di vita attuale, la cura e l’assistenza, personale e medica, dei soggetti da assistere, bisognosi di protezione.

Si pensi ai genitori di un figlio diversamente abile, i quali, in considerazione della loro età, non ritengono di essere in grado di amministrare efficacemente il loro patrimonio: a tal fine potranno affidare a persona di comune fiducia l’amministrazione e la gestione del patrimonio che dovrà essere impiegato per garantire le cure e l’assistenza di cui necessiterà il figlio medesimo.

La giurisprudenza di merito ha avvallato l'applicazione del Trust anche nelle procedure di Amministrazione di Sostegno: ad esempio, i genitori trasferiscono beni mobili o immobili al Trustee (che può essere un professionista o una società) che ne diventa il “custode e gestore” mentre l'Amministratore di Sostegno potrà svolgere non solo la funzione di cura e tutela della persona, bensì anche una funzione di controllo del comportamento del Trustee (in tal caso assumendo anche la veste di protector).

Il Trust trova concreta applicazione, poi, anche nell’ambito dei rapporti patrimoniali tra coniugi, nelle c.d. unioni di fatto, negli accordi di separazione e di divorzio.

Oltre che a finalità d’assistenza, il Trust è stato individuato quale idoneo strumento risolutivo e di garanzia anche nelle procedure concorsuali.

E' il caso dell’omologazione del concordato preventivo di una società in liquidazione, nella quale sia stata autorizzata l’istituzione di un Trust con trasferimento al Trustee di beni da impiegare per la soddisfazione dei creditori, oppure all’istituzione di un Trust per “blindare” le somme da versare ad una curatela fallimentare.

Ipotizziamo che il soggetto contro cui sia stata promossa un’azione revocatoria dalla curatela di un fallimento, sia risultato soccombente e condannato a pagare una determinata somma: in tal caso, potrà essere istituito un Trust per segregare la somma cui il soggetto sia stato condannato al fine di garantire alla “ Curatela un mezzo certo per ottenere il pagamento di quanto fosse dovuto al passaggio in giudicato della sentenza”. 

Altre e più complesse applicazioni, si riscontrano in materia di diritto delle società e delle obbligazioni ed in ambito commerciale, come ad esempio nel “project financing”, che possiamo definire come un approccio multidisciplinare al finanziamento di specifici investimenti caratterizzati da ampi livelli di complessità di strutturazione nonché dalla possibilità di ricorrere ad un elevato coinvolgimento di finanziamenti provenienti dal settore bancario, o più semplicemente come un'operazione finanziaria attraverso la quale le pubbliche amministrazioni realizzano opere pubbliche il cui onere finanziario è parzialmente o totalmente a carico del privato, sulla base di un piano finanziario in grado di garantire l'autofinanziamento dell'operazione stessa (art. 153 Codice degli appalti).

Tradizionalmente, nei “project financing” la principale garanzia per il rimborso dei finanziamenti é rappresentata sia dai flussi di cassa del progetto che devono possedere adeguati livelli di certezza sia dall’efficace gestione dei rischi legati all’iniziativa (che consente di limitare la possibilità che i flussi di cassa previsti vengano meno).

Dunque, la valutazione della sostenibilità economico/finanziaria della singola iniziativa, si basa esclusivamente sulla qualità (intesa come capacità di generare flussi di cassa a fronte di un determinato livello di rischio) del singolo progetto e non sul merito creditizio dei singoli azionisti in cui il progetto d’investimento per la costruzione e la gestione d’impianti industriali si fonda. In altre parole, non sono le garanzie reali offerte dai promotori a fungere da ago della bilancia, bensì è il flusso di cassa che il progetto stesso, una volta realizzato, è ritenuto in grado di generare, a rivelarsi decisivo.

In questi casi, come riconosciuto anche dall’ABI fin dal 1996, una banca può assumere il ruolo di Trustee con l'incarico di raccogliere i proventi dell'impianto costituito, curandone l'incasso e la ripartizione tra l'impresa appaltatrice e i soggetti finanziatori.

In particolare, qualora i finanziamenti siano concessi da un pool d’istituti di credito, la banca/Trustee incasserà le somme a beneficio di tutti i finanziatori assicurando la concentrazione in un unico soggetto, delle funzioni attinenti al rimborso del finanziamento, che sarà, in seguito, ridistribuito ad ogni istituto proporzionalmente all'ammontare da ciascuno di essi erogato.

Inoltre, il “posizionamento” dell’incasso sul Trustee eviterà che le somme in questione entrino nel patrimonio della società finanziata e che quindi su di esse possano manifestarsi le pretese di altri eventuali creditori.

In ipotesi di tal genere, se non si ricorresse al Trust, l’operazione economica imporrebbe, inevitabilmente, il richiamo alle norme sul mandato e, in particolare, sul mandato conferito anche nell'interesse del terzo, qualora l'istituto capofila incaricato fosse uno dei membri del pool di finanziatori.

Rispetto al Trust, questa soluzione comporterebbe, tuttavia, oneri più elevati, poiché generalmente la remunerazione della banca capofila, per i servizi da essa resi in attuazione dell'incarico ricevuto, sarebbe maggiore di quanto sarebbe percepito da un Trustee (in considerazione dei maggiori costi organizzativi che detti servizi comportano per la banca incaricata).

Inoltre, il Trust consente, diversamente dal mandato, una maggiore elasticità riguardo alle funzioni che possono essere assolte dal Trustee: basti pensare ai rapporti contrattuali di lunga durata o nel caso di modifiche soggettive delle banche facenti parte del pool.

Il Trustee, infatti, potrà essere incaricato dell'assolvimento di compiti molto ampi coinvolgenti, sia direttamente sia indirettamente, la gestione del contratto di finanziamento: i solleciti nei pagamenti, l'esame di eventuali modifiche contrattuali, la gestione delle eventuali garanzie connesse al finanziamento.

Basilea 2 ed il Trust.

Come ben noto, l’accordo internazionale di Basilea (comunemente chiamato Basilea 2), entrato in vigore dall’anno 2006, ha rappresentato una svolta nei rapporti banca – cliente.

Secondo tale accordo, gli istituti dei Paesi aderenti devono accantonare quote di capitale proporzionali al rischio derivante dai vari rapporti di credito assunti.

Pertanto, al fine di ridurre gli accantonamenti, le banche hanno necessità di monitorare i rischi concernenti i loro crediti.

Quest’operazione di monitoring si riflette sui clienti delle banche che sono obbligate a classificarli in base alla loro rischiosità, attraverso procedure di rating sempre più ricercate.

L’equazione che possiamo virtualmente configurare è la seguente: clienti con ottimo rating : minori rischi : minori accantonamenti : minore costo del denaro.

Dunque, sulla scorta dei principi di Basilea 2, il processo che si determina è quello che impone una più ridotta concessione di credito alle imprese più “rischiose” ed in ogni caso, a tassi più elevati.

Conseguenza naturale di tale situazione, è che le imprese, ed in particolare le piccole e medie imprese, siano a loro volta costrette ad intraprendere tutte quelle politiche, gestionali e di bilancio, volte a rafforzare la propria struttura e la propria immagine per affrontare serenamente l'esame dei rating bancari.

Ai fini dell'attribuzione del rating, i profili di un’impresa che divengono rilevanti agli occhi della banca sono molteplici: dalla struttura patrimoniale (cioè il rapporto fra poste dell'attivo e del passivo - capitale, riserve, accantonamenti, versamenti soci ecc. - ) alla situazione finanziaria (struttura dell'indebitamento e caratteristiche a breve o medio-lungo termine; rapporti indebitamento-mezzi propri, etc), agli aspetti economici (quali la redditività, la dipendenza da un unico cliente o da pochi grossi clienti etc.), alla governance dell’impresa (sua stabilità e rischi connessi al trasferimento del controllo e a passaggi generazionali non pianificati).

L’istituto del Trust può allora divenire concorrenziale con altri strumenti (ed in alcuni casi senza alternative) per far fronte alla struttura patrimoniale, per garantire la governance delle imprese nonché per gli interventi di merchant banking per il tempo necessario a far crescere l’impresa medesima.

Partendo dal processo della sotto-patrimonializzazione delle imprese, è tipico imbattersi in situazioni in cui i titolari delle medie e piccole imprese tendano a collocare al di fuori delle strutture societarie, la parte importate del patrimonio personale, quali cespiti immobiliari e titoli, ma ricorrano al credito bancario, rilasciando talvolta prestazione di garanzie personali.

Posto che le fideiussioni personali hanno una rilevanza pressoché nulla in chiave d’attribuzione del rating, la patrimonializzazione dell'impresa, allora, si deve concretare mediante il conferimento di beni: tale operazione, però, si rivela fiscalmente onerosa sotto due profili: obbliga il trasferimento dei beni alla società gravandolo del peso delle obbligate imposte dirette e indirette, con la conseguenza che qualora determinati beni si volessero restituire alla famiglia, l’imprenditore sarà soggetto ad un secondo e pesante onere tributario.

Altresì, la traslazione dei beni dalla gestione personale a quella dell’impresa, renderà difficoltoso l’utilizzo di tali beni da parte dei familiari nonché assai complessa la gestione dei frutti non destinati all’utilizzo dell’azienda.

Infine, una volta che tali beni entreranno a far parte della garanzia patrimoniale della società, saranno a “disposizione” di tutti i creditori della società, e non solo della banca.

Da non dimenticare poi i possibili sospetti d’illecite deduzioni fiscali.

Il Trust, per converso, rappresenta una chiave risolutiva per superare l’impasse che si può venire a creare nei rapporti con le banche.

L'imprenditore sottopone in Trust il proprio patrimonio personale (in tutto o in parte) per destinarlo a servizio delle necessità economiche dell’impresa di volta in volta individuate dall’organo amministrativo della stessa.

Il Trustee potrà a semplice richiesta degli amministratori, concordare con la banca finanziatrice le più soddisfacenti soluzioni perché l’impresa ottenga il finanziamento alle migliori condizioni.

Contestualmente la banca potrà prevedere e stabilire, a priori, i parametri in base ai quali, i beni non più necessari alla patrimonializzazione dell’impresa (a seguito dell’aumento del rating dell’impresa), potranno uscire dal patrimonio del Trustee e ritornare nella disponibilità personale dell'imprenditore (e dei suoi familiari).

Un’impostazione di questo genere, consente di individuare agevolmente i vantaggi che il Trust è in grado di offrire rispetto ad ogni altra soluzione di diritto interno: la totale segregazione del patrimonio assume la funzione di garanzia assoluta ed esclusiva a favore della banca; la sua gestione è duttile ed elastica e può prevedere – poiché compatibile con la funzione medesima del Trust – l’utilizzo dei beni a favore dell’imprenditore e della sua famiglia; consente che il reddito vada in tutto o in parte alla famiglia; in taluni ipotesi, può stabilire meccanismi di smobilizzo dei beni alle migliori condizioni di mercato.

Sotto il profilo fiscale, la soluzione si rivela neutrale, poiché la sottoposizione dei beni in Trust non comporta trasferimento di ricchezza, come avverrebbe con il conferimento o altri strumenti finanziari; analogamente, la cessazione del vincolo in Trust fa riacquisire, immediatamente, al Disponente, il controllo del bene; è una struttura più dinamica ed efficiente, rispetto ai tradizionali strumenti di garanzia reale.

Analizzando la questione sotto il profilo della governance, il risultato finale non cambia.

In generale, le vie tradizionalmente seguite per garantire stabilità anche durante il processo di un passaggio generazionale all’interno dell’azienda, sono rappresentate dalla intestazione fiduciaria delle partecipazioni societarie direttamente ai discendenti (con il patto di mantenere comunque il controllo su tali partecipazioni sino alla morte); dall'intestazione della nuda proprietà ai discendenti con riserva dell’usufrutto; dal trasferimento della partecipazione di controllo ad una società all’uopo istituita (soluzione che offre una migliore blindatura, ma che paga con una minore tutela delle posizioni di ciascun membro); dai patti di sindacato (che hanno però efficacia obbligatoria e non reale).

A differenza dei percorsi succitati, l’applicazione del Trust riesce ad annullare le criticità sopra rilevate rivelandosi come lo strumento più efficiente nell’offrire garanzie alle banche circa la governance dell'impresa: basti pensare alla segregazione delle partecipazioni sottoposte al Trust, che prescinde, quindi, dalle vicende dei singoli soggetti nonché alla trasmissione della piena titolarità delle partecipazioni in capo ai discendenti nel momento più congeniale per l’impresa e per i discendenti stessi.

L'imprenditore, conferendo nel Trust la partecipazione di controllo dell’azienda, consentirà al Trustee di esercitare le facoltà e i diritti connesse alle partecipazioni societarie detenute dal medesimo imprenditore-Disponente, secondo le disposizioni dell'atto istitutivo; permetterà di distribuire gli utili direttamente ai beneficiari oppure imputandoli a riserva al fine di patrimonializzare la società (secondo i criteri già stabiliti nell’atto istitutivo di Trust, eliminando alla radice futuri contrasti fra i discendenti).

Dunque, l’applicazione di questo schema, non solo garantisce per l’intera durata del Trust il controllo del pacchetto di maggioranza nelle mani di un unico soggetto, consentendo a quelli non interessati alla gestione dell'impresa di ricevere comunque la rendita annuale nonché di vedere tutelati i loro interessi da parte del Trustee, bensì assicura la banca circa la reale consistenza del patrimonio sociale messo a garanzia per ricorrere al credito bancario.

Rimanendo nel campo del settore bancario, osserviamo come nell’esperienza della sua pratica applicazione, il ricorso all’istituto del Trust negli ultimi anni, si sia dimostrato un formidabile veicolo per raggiungere quegli obiettivi che i tipizzati strumenti utilizzati nel nostro ordinamento non sono in grado di offrire.

In particolare, il Trust a scopo di garanzia nelle operazioni bancarie e finanziarie può sostituire il pegno e l’ipoteca e può assicurare delle garanzie fluttuanti ad oggetto mutevole.

Ad esempio, con riferimento ai conti correnti ed ai depositi bancari aperti da un soggetto quale Trustee, osserviamo come l’istituto di credito non possa operare la compensazione del saldo di questi rapporti (somme di denaro o strumenti finanziari) con i rapporti personali del Trustee.

In pari modo, la separazione del patrimonio del Trust da quello personale del Trustee comporterà che il Trust Fund non potrà mai essere aggredito dai creditori personali del Trustee.

La banca, pertanto, qualora siano esercitate da terzi azioni esecutive o cautelari che riguardino personalmente il Trustee, in sede di dichiarazione di cui all’art. 547 cod. proc. civ., renderà una dichiarazione negativa, mentre l’ininfluenza delle azioni esecutive non accadrà quando le stesse riguardino direttamente il Trust. I depositi, inoltre, saranno impermeabili rispetto al fallimento personale del Trustee ed alle azioni del suo coniuge ovvero dei suoi eredi.

Per affrontare il tema della garanzia in senso lato, occorre richiamare alla memoria, l’istituto del sequestro convenzionale ex artt. 1798 e segg. cod. civ., (mediante il quale, due o più persone, affidano a un terzo una cosa o una pluralità di cose rispetto alle quali siano sorte delle controversie, affinché le custodisca e le restituisca al suo effettivo avente diritto quando la controversia sarà definita) e quello del divieto del patto commissorio ex art. 2744 cod.civ. (che letteralmente riguarderebbe solo pegno, ipoteca e anticresi (art. 1963 cod.civ), ma che l’interpretazione giurisprudenziale ha esteso sino a dichiarare nulla una vendita fiduciaria con funzione di garanzia nella quale sia possibile intravedere la sottoposizione del debitore alla coercizione del creditore).

Il Trust a scopo di garanzia, quindi, deve intendersi come strumento che consente di collocare i beni nel Trust Fund, creando un patrimonio “segregato” allo scopo di assicurare il soddisfacimento di crediti determinati.

V’è da precisare, però, che il rischio di un potenziale contrasto con il divieto del patto commissorio può essere sempre latente: conseguentemente, laddove nell’atto istitutivo sia inserita una clausola che consenta di dare in garanzia i beni in Trust per ottenere finanziamenti, vi sarà sempre la necessità di inserire un c.d. patto marciano (patto con cui si prevede che il venditore insoddisfatto diventi definitivamente proprietario del bene ma con l'obbligo di versare la differenza tra l'importo del suo credito ed il valore del bene, così come determinato - di regola - da un terzo) per evitare il divieto del patto commissorio.

Solo l’inserimento nell’atto di Trust della previsione del patto marciano consentirà di sfuggire da un’ipotesi di nullità del negozio giuridico con funzione di garanzia per addivenire ad un’eventuale ipotesi di responsabilità del Trustee (situazioni giuridicamente distinte e palesemente differenti).

Nello schema del Trust, il bene che deve fungere da garanzia, è consegnato al Trustee, soggetto terzo di grande professionalità distaccato dalle parti, che non deve avere interesse al negozio attuato: infatti, il Trustee deve essere un terzo “reale”, che non ha preferenze tra debitore e creditore, e che deve unicamente preoccuparsi di stimare il valore del bene alla scadenza dell’obbligazione per evitare un ingiustificato arricchimento da parte del creditore.

L’utilizzo del Trust, poi, consente di superare la “criticità” delle garanzie reali tipizzate (pegno e ipoteca) riuscendo a supplire alle loro intrinseche mancanze, soddisfacendo le esigenze degli operatori economici, evitando a questi ultimi, nel momento in cui costituiscono delle garanzie del credito, il ricorso ad eccessivi formalismi ed infine, garantendo al creditore, in caso d’inadempimento, di procedere all’escussione in un modo più rapido senza dover passare per una procedura esecutiva.

A differenza del pegno, ad esempio, che vincola uno specifico bene (esattamente individuato) al fido concesso (cioè il bene è legato ad uno scopo “staticamente” considerato), il Trust può consentire di costituire una garanzia atipica “dinamica” che fuoriesce dalle garanzie su specifici beni.

Infatti, per quanto riguarda il bene segregato in Trust, il vincolo di destinazione sarà mantenuto, anche se questo bene sarà trasformato, sostituito, dematerializzato, incrementato, surrogato, nonchè sui relativi frutti, indipendentemente dall’esecuzione delle specifiche forme di pubblicità previste per rendere opponibili le garanzie reali tipiche.

Il legislatore, mediante l’art. 34 del D. Lgs. 24 giugno 1998, n. 213 (“i vincoli di ogni genere sugli strumenti finanziari disciplinati dal presente Titolo V, ivi compresi quelli previsti dalla normativa speciale sui titoli di debito pubblico, si costituiscono unicamente con le registrazioni in apposito conto tenuto dall'intermediario”) e attraverso il conseguente regolamento Consob n.11768/1998, consente che il vincolo, e quindi la garanzia reale mobiliare del pegno, non abbia per oggetto i singoli strumenti finanziari, ma il “valore dell’insieme” degli stessi.

In altre parole, si è passati da una visione prettamente statica ad una concezione dinamica della res costituita in pegno, rappresentata dal “valore” economico della stessa (cosiddetto pegno di valore) e non dalla sua intrinseca materialità.

Il Trust consente la gestione di complessi patrimoni finanziari, evitando all’operatore di “frenare” davanti agli ostacoli derivanti dalla natura reale del contratto di pegno, anche nella forma tipizzata di pegno di strumenti finanziari con le relative limitazioni soggettive e oggettive.

Sotto il profilo della funzionalità, il Trust a scopo di garanzia, permette la creazione di una struttura negoziale in grado di porsi come alternativa al sistema delle garanzie mobiliari tipiche.

Dal punto di vista pratico, gli strumenti finanziari attribuiti in garanzia dovranno essere segregati rispetto al patrimonio del cliente e affidati ad un Trustee allo scopo di consentire una pronta realizzazione degli stessi al momento opportuno.

Il ruolo di Trustee dovrà essere affidato ad un soggetto diverso rispetto alla banca finanziatrice, ma comunque ad essa legato da un rapporto fiduciario: il Trustee avrà così l’obbligo di garantire il migliore investimento possibile nell’interesse di colui che avrà fornito la garanzia e nell’interesse del creditore.

Se anche nel Trust di garanzia avente ad oggetto crediti o strumenti finanziari, è ancora ipotizzabile uno squilibrio tra la posizione del creditore e del debitore che possa determinarne la nullità per violazione del patto commissorio, è altrettanto innegabile che mediante tale strumento, si riuscirà a realizzare una garanzia su qualsiasi bene, diritto e valore (es. immobili, quote sociali, azioni) che, come componente del patrimonio, potrà essere gestito serenamente; che potrà avere mercato e che quando dovrà essere liquidato per la funzione di garanzia, sarà valutabile secondo criteri preordinati.

L’ineguagliabile operativà del Trust si può scorgere in altre situazioni.

Ad esempio, ricordiamo il decreto emesso dal Tribunale di Milano in data 27 dicembre 1996 e mediante il quale fu omologata una delibera assembleare che prevedeva la costituzione di un Trust a garanzia di un prestito obbligazionario: la società, potendo scegliere se garantire l’emissione delle proprie obbligazioni mediante la creazione del vincolo ipotecario sugli immobili di sua proprietà, oppure costituendo gli stessi in Trust, preferì la seconda ipotesi ritenendola più conveniente.

L’operazione si articolò in tal maniera:

- conferimento dell’immobile ad una società controllata all’estero;

- emissione di nuove azioni da parte della società conferitaria;

- istituzione di un Trust regolato dalla legge di Jersey, Channel Islands, e nomina quale Trustee di una società fiduciaria italiana;

- trasferimento al Trustee delle azioni della società conferitaria.

A completamento dell’operazione, il regolamento del prestito obbligazionario prevedeva che “sopraggiunto il termine finale del Trust, il Trustee accerta che il rimborso del prestito obbligazionario abbia avuto luogo e, in caso positivo, trasferisce i beni del Trust al Disponente”.

Qualora invece tale rimborso non avesse avuto luogo “il Trustee adotta, d’intesa con il tutore, le misure più opportune per rimborsare gli obbligazionisti, come per esempio l’alienazione dei beni del Trust o del patrimonio della società controllata tramite di essi e comunque impiegando per questo fine ogni reddito e altro reddito accumulato durante la vita del Trust”. In seguito il Trustee avrebbe trasferito “al Disponente quanto sia residuato dopo aver soddisfatto gli obbligazionisti”.

Ciò che colpì maggiormente la dottrina, fu la circostanza che l’impiego del Trust consentì alla società di costituire una garanzia sicura ed efficiente, poiché la realizzazione della stessa sarebbe avvenuta mediante una normale attività di diritto privato, senza che occorresse l’intervento dell’Autorità Giudiziaria.

Nel contempo, l’operazione assicurò agli obbligazionisti una tutela efficace poiché, in caso di mancato rimborso o di rimborso parziale, il Trustee avrebbe potuto alienare l’immobile o solo alcuni appartamenti o le azioni, nonché avrebbe potuto impiegare i canoni di locazione percepiti durante la vita del Trust ed accantonati dalla società immobiliare, o combinare queste possibilità con un mutuo garantito dall’immobile o dalle azioni.

Questo decreto di omologazione costituì un precedente giurisprudenziale significativo per la diffusione del Trust a scopo di garanzia, il cui utilizzo ebbe l’effetto di accrescere il ruolo dell’autonomia privata nel settore delle garanzie reali.

D’altro canto, l’impiego dell’equivalente istituto della costituzione d’ipoteca su immobili della società, non avrebbe determinato un processo di garanzia in grado di ottenere una così celere realizzazione del credito garantito: infatti, nel caso di costituzione d’ipoteca, avrebbero preso il via le normali procedure esecutive (con aggravio di spese, allungamento dei tempi richiesti dall’eventuale esecuzione immobiliare, la conseguente improduttività degli immobili ai fini della garanzia, e la conclusiva ma obbligata necessità di ricorrere alla vendita a terzi).

Al contrario, la massima elasticità del Trust permise una gestione dinamica e produttiva anche di redditi che andarono ad ampliare il patrimonio senza alcuna dispersione di ricchezza.

Sulla scorta di quanto detto sino ad ora, non ci deve stupire se gli Istituti di credito sempre più spesso si orientino ad utilizzare le società del proprio gruppo per offrire servizi di c.d. merchant banking facendo ricorso al Trust.

Un tipico esempio è la sottoscrizione di quote di capitale della società, che l'imprenditore di norma si obbliga a riacquistare entro un certo tempo, mediante la sottoscrizione di un contratto preliminare.

Tale struttura, nella sua rappresentazione tradizionale, offre il fianco alla critica: l’ingresso nella compagine sociale di un elemento estraneo all’originario gruppo di soci; l’attivazione di procedure contenziose nel caso gli obbligati all’acquisto non adempiano le pattuizioni dei contratti preliminari; la possibilità che durante il periodo in esame, insorgano contrasti tra i soci originari o i loro eredi, con problemi durante la gestione della società.

L’impiego del Trust, invece, consente il brillante superamento di ogni possibile difficoltà gestionale e permette un’opera di prevenzione rispetto a futuri contrasti interni: la società di merchant banking conferisce denaro nel Trust permettendo al Trustee di sottoscrivere un aumento di capitale della società da finanziare; i soci originari conferiscono in Trust le loro partecipazioni; il Trustee esercita i diritti di socio secondo le disposizioni dell’atto istitutivo del Trust.

Attraverso il reddito generato dai beni in Trust, il Trustee remunererà l’investimento della banca badando a rimborsare, costantemente, il capitale originariamente conferito. I Beneficiari finali del Trust saranno gli stessi soci originari o i loro discendenti, secondo le regole del Trust in punto “passaggio generazionale”.

Il Trust, poi, può trovare applicazione anche in ambito assicurativo, offrendo la possibilità, ad esempio, di sfuggire all’assoggettamento dei rigidi schemi previsti dalle tradizionali polizze vita.

La polizza di assicurazione sulla vita è un contratto tra un soggetto contraente ed un’impresa di assicurazione.

Il contraente paga uno o più premi e l’impresa di assicurazione s’impegna a pagare un capitale o una rendita al verificarsi dell’evento assicurato legato alla vita umana (morte, sopravvivenza).

Lo schema che viene a disegnarsi è il seguente: contraente, assicurato e beneficiario.
Il primo, è il soggetto che stipula il contratto di assicurazione, che è tenuto a pagare i premi e che ha la facoltà di esercitare tutti i diritti propri del contratto (ad esempio, il diritto di riscatto; sostituzione del nominativo del beneficiario; pegni sulla polizza). L’assicurato è la persona fisica sulla cui vita è stipulato il contratto. Il beneficiario è la persona designata dal contraente a ricevere le somme assicurate.

La designazione del beneficiario può essere stipulata nel contratto o con successiva dichiarazione scritta all’impresa di assicurazione o per testamento (art. 1920 del codice civile).

L’individuazione del soggetto beneficiario, momento essenziale del contratto di polizza, deve essere determinata con largo anticipo senza l’utilizzo d’indicazioni generiche.

Sebbene la designazione del beneficiario possa variare secondo la volontà dell’assicurato, è sempre necessario che il nuovo beneficiario sia certo e che la sostituzione dello stesso avvenga per espressa volontà dell’assicurato medesimo.

L’utilizzo di una struttura imperniata sull’istituto del Trust riesce a superare le rigidità contrattuali della polizza di assicurazione.

Infatti, sarà sufficiente nominare quale beneficiario il Trust in persona del Trustee: quest’ultimo, alla morte dell’assicurato, incasserà la somma stabilita nel contratto e la gestirà in conformità all’atto di Trust, anche devolvendola ai beneficiari, i quali, in tale ipotesi, potranno essere individuati in qualunque modo il Disponente abbia ritenuto opportuno in conformità della legge regolatrice.

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Giunti a conclusione di questa breve panoramica, rimaniamo fermi nell’idea che quanto il Trust possa offrire, è davvero quanto di più elastico sia possa immaginare.

Anche in un contesto storico caratterizzato da un’attenzione legislativa mirata a colpire strumenti giuridici tesi a fare dell’elusione fiscale il punto di arrivo, il Trust s’impone come un istituto che, di fatto, primeggia per la sua utilità e dinamicità.

Nel suo impiego, a parità di benefici fiscali di altri percorsi giuridici, garantisce leciti vantaggi, oneri inferiori, e soprattutto obiettivi altrimenti non raggiungibili.

Avvocato Fabrizio Vincenzi