La problematica  in oggetto  è di notevole importanza ed interesse dopo che è stata proposta all’attenzione della opinione pubblica la pericolosità del materiale, essendo ormai assodato che, a determinate condizioni, ha effetti letali sulla persona che viene con lo stesso in contatto.
Un notevole contenzioso si è sviluppato soprattutto nel settore del diritto del lavoro, ma non mancano casi in cui sono state portate a giudizio controversie riguardanti le commercializzazioni di beni immobili, considerata la presenza dell’amianto in gran parte delle costruzioni ante 1992.
A tale periodo risale la regolamentazione normativa introdotta, in subiecta materia, con la legge 27/03/1992 n° 257 che purtuttavia, per quanto qui interessa, non ha sancito limiti per la vendita di un immobile, laddove nello stesso sia presente amianto (si pensi alle condutture, ai cassoni per l’acqua, alle tettoie o grondaie, o ad altro, in eternit) vietando solo la estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e produzione di detto materiale, nonché il suo smaltimento nel rispetto delle regole di cui al D.lgs. 22/1997 e prevedendo una disciplina specifica per il suo utilizzo.
La conferma di quanto appena detto si rinviene nel DM 06/09/1994 (attuativo della normativa generale) laddove viene stabilito come “la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio, non comporta di per sé pericolo per gli occupanti”.
Ciò posto, ed esclusa l’esistenza di limiti alla libera alienabilità di beni in cui è presente l’amianto, deve essere esaminata la questione se la presenza di detto materiale possa costituire un vizio della cosa, tale da rendere praticabile la relativa azione di garanzia prevista dall’art. 1490 CC. 
È noto che i vizi redibitori (art. 1490 CC), a cui vengono assimilati la mancanza delle qualità promesse o essenziali (c.d. estimatori), per presupporre entrambi l’appartenenza della cosa al genere pattuito, sono quelli che riguardano le imperfezioni ed alterazioni materiali della cosa stessa, che ne compromettono l’idoneità all’uso cui è destinata o ne diminuiscono il valore, a differenza della mancanza delle qualità (1497 CC) ossia di quegli elementi che sostanzialmente esprimono la funzionalità, l’utilità o il pregio del bene, influendo sulla classificazione della cosa in una specie piuttosto che in un’altra (v. ex multis Cass. 29/04/2010 n° 10285; Cass. 26/09/2013 n° 22113, in dottrina Galgano, Vendita, in Enc. del diritto, Milano 1993 pag. 493; Commentario Civile Scialoja – Branca, Bologna 1989 n° 229).
L’azione per far valere i vizi redibitori ed estimatori è soggetta, come è altrettanto noto, a stringenti termini di decadenza (otto giorni dalla scoperta) e di prescrizione (un anno dalla consegna), decorrenti dalla stipula del contratto definitivo.
Per quanto riguarda l’amianto, la giurisprudenza è incline a ritenere che la semplice presenza di detto materiale in un immobile ( promesso in vendita, nella concreta  fattispecie esaminata), accertata in misura  contenuta, non può costituire valido motivo per ottenere la risoluzione del contratto per grave inadempimento del promittente venditore: la parte promittente acquirente potrebbe al più richiedere la eliminazione delle difformità o una riduzione proporzionale del prezzo, tenuto anche conto della sicura eliminabilità degli inconvenienti. In questo senso vedasi Tribunale di Salerno 16/06/2010 n° 1414 (in Red. Giuffré 2010) e, più di recente, Tribunale di Prato 09/10/2014 (in Quotidiano Giudizio del 30/12/2014) in un caso in cui l’immobile era stato venduto e l’acquirente, successivamente, si era accorto che il fabbricato condominiale, di cui detto immobile faceva parte, aveva la copertura in cemento-amianto, idonea a determinare una riduzione del 20% del valore del bene. Introdotta, quindi, la relativa richiesta per ottenere la diminuzione del prezzo corrisposto per l’acquisto del bene, il Tribunale di Prato accoglieva la domanda qualificando la presenza dell’amianto un vizio azionabile con l’azione di riduzione del prezzo ( quanti minoris) stante il riconoscimento, da parte di un CTU espletato in corso di causa, di una condizione “scadente” della copertura in amianto come tale necessitante di un intervento di bonifica attraverso lavori di incapsulamento del tetto per un importo, che per la quota di spettanza dello acquirente, doveva ritenersi pari ad € 2.158,25: in pratica, secondo il Tribunale di Prato, il costo per il ripristino integrale della copertura del fabbricato  corrispondeva al valore del vizio  integralmente ristorato.
In buona sostanza, l’amianto, di per sé, non vizia l’immobile, a meno che il materiale si trovi in condizioni di conservazione tali da rendere necessarie opere volte alla sua messa in sicurezza. Opere che, laddove venissero svolte dall’acquirente (o dal Condominio, con spese pro-quota pagate  da quest'ultimo sulla base delle delibere di spesa) sarebbero ripetibili dal venditore a meno che quest’ultimo non abbia proceduto direttamente ad eliminare il vizio. Come nel caso deciso dalla Corte di Appello di Milano 02/02/2015 n° 552 (in Plus Plus – il Sole 24 ore voce Giurisprudenza 2015) in cui si dibatteva del vizio di alcune canne fumarie  in eternit presenti nel fabbricato condominiale ove era posto l’immobile acquistato che, essendo stato eliminato attraverso il rifacimento delle  canne fumarie  stesse, andava ad escludere la sussistenza di un minor valore dell’immobile compravenduto, ritenendosi in tal modo ristabilito il rapporto di corrispettività tra prestazione e contro prestazione.
Sostanzialmente, ma non completamente aderente alla decisione del Tribunale di Prato, appare una recente sentenza del Tribunale di Cassino 23/03/2016 n° 411 (in Plus-Plus il Sole 24 ore 2016) in un caso in cui il compratore di un appartamento dislocato su più livelli di un unico compendio, solo a seguito dell’effettiva occupazione, veniva a conoscenza che il bene risultava funzionalmente connesso con gli impianti idrici, elettrici e di riscaldamento della contigua unità immobiliare, sempre appartenente al venditore/convenuto in giudizio, scoprendo che alcuni componenti di quegli impianti (canna fumaria e serbatoi d’acqua) erano composti in amianto, che ancorché visibili all’esterno, non lasciavano intravvedere la loro consistenza qualitativa con presenza di fibre di amianto, non realisticamente comprensibili e percepibili da un pur medio osservatore, di normale scienza ed esperienza. 
In tal caso, secondo il Tribunale di Cassino, “si materializzerebbe quel difetto o anomalia della cosa, idoneo a falsare i concreti termini dello scambio economico, distorcendo le reciproche prospettive di utilità negoziale,  in modo tale – a correttivo della minore, apprezzabile utilità o valore associabile al bene - da rendere meritevole la richiesta riduzione del prezzo pari alla esatta menomazione sofferta per via dei vizi, in modo che il compratore possa trovarsi nella situazione economica equivalente a quella in cui si sarebbe invece trovato se la cosa fosse stata immune da vizi (ex multis Cass. 12852/2008)”.
Nella decisione in esame, sembra affermarsi il principio che la presenza di amianto, se non proprio incidente sulla utilizzabilità ex sé del bene, lo sia quantomeno sulla libera e sicura godibilità dell’immobile, come tale inficiante il suo intrinseco valore economico ed abitativo, ipotizzabile per  la notoria pericolosità ed insalubrità del materiale rispetto ai beni obiettivamente infungibili e  costituzionalmente presidiati (bene-salute).
Va affermato, per concludere, che comunque in tali casi è fatta salva l’ipotesi di cui all’art. 1491 CC circa la esclusione della garanzia quando il compratore, al momento del contratto, conosca i vizi o gli stessi siano facilmente riconoscibili (a meno che il compratore  non dichiari che la cosa sia esente da vizi). Ciò, in ossequio ai principi di autoresponsabilità che impongono al compratore medesimo un onere di diligenza in ordine alla rilevanza dei vizi che si presentano di semplice percezione (cfr Cass. 2981/2012).
Giugno 2016 - Avv. Antonio Arseni