La L. 23 dicembre 2005, n. 266 stabilisce all’art. 1 co. 563 che “per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, (magistrati ordinari, militari dell'Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, del Corpo degli agenti di custodia, al personale del Corpo forestale dello Stato, funzionari di pubblica sicurezza, personale del Corpo di polizia femminile, personale civile dell'Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, vigili del fuoco, appartenenti alle Forze armate dello Stato in servizio di ordine pubblico o di soccorso) e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subìto un'invalidità permanente in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità”.
La stessa norma, con il successivo comma 564 del medesimo articolo dispone che “Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative.”
In attuazione di quanto stabilito dal comma 565 della citata L. 266/2005, con il D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 è stato emanato il “Regolamento concernente i termini e le modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo” che, all’art. 1, comma 1, prevede che si intendono: “ … b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente; c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto.”
Individuato il quadro normativo di riferimento si osserva che il legislatore ha ritenuto di intervenire con due diverse disposizioni, ossia il comma 563 e il comma 564 dell’art. 1 della l. n. 266/2005, individuando nel comma 563 una serie di attività ritenute dalla legge pericolose che, se hanno comportato l’insorgenza di infermità, possono automaticamente portare ad attribuire alle vittime i benefici previsti per le vittime del dovere.
I medesimi benefici, spettano anche ai “soggetti equiparati”, ossia a coloro che non hanno riportato le lesioni o la morte in una delle attività che il legislatore ha ritenuto per loro natura pericolose, ma in altre attività, che fossero già pericolose o che tali fossero diventate per circostanze eccezionali.
La giurisprudenza ha nel tempo chiarito che la norma di cui al comma 564 non indica una serie di attività specifiche, ma volutamente è una norma aperta, che tutela tutto ciò che sia avvenuto (per eccezionali situazioni) in occasione di missioni di qualunque natura. (Cass. 16 aprile 2018, n. 9322). Dalla lettura coordinata delle norme citate, infatti, la Corte di cassazione ha ricavato che è stata adottata, non a caso, una nozione lata del concetto di missione, nel senso che la stessa riguarda tutti i compiti e le attività istituzionali svolte dal personale militare, che si attuano nello svolgimento di funzioni o compiti operativi, addestrativi o logistici sui mezzi o nell’ambito di strutture, stabilimenti e siti militari. Qualunque tipo di attività e compito istituzionale, dunque, può portare, in caso di infermità, ai benefici in questione. (Cass. SS.UU. 22 giugno 2017, n. 15484; Cass. SS.UU., 13 gennaio 2017, n. 759).
Ciò posto, la Cassazione ha chiarito, tuttavia, che “è essenziale - per la vittima del dovere che abbia contratto un'infermità in qualunque tipo di servizio, non essendo sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio - che la dipendenza da causa di servizio sia legata al concetto di "particolari condizioni"”(in ultimo Cass. 31 luglio 2020, n. 16571).
Tale concetto aggiuntivo e specifico di “particolari condizioni” è stato chiarito dal D.P.R. 243/2006 che, infatti, espressamente ha previsto che per “particolari condizioni ambientali od operative” si intendono: “le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.
È anche il caso di precisare che “l’esistenza od anche il sopravvenire delle circostanze straordinarie” significa che queste devono esistere ed essere conosciute fin da prima, oppure possono essere sopraggiunte improvvisamente, anche inaspettate, atteso che tali circostanze straordinarie e fatti di servizio contemplano ogni possibile accadimento che abbia comportato l’esposizione a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto.
Bisogna, dunque, identificare, caso per caso, nelle circostanze concrete alla base di quanto accaduto all’invalido per servizio che ambisca ad essere riconosciuto vittima del dovere, un elemento che comporti l’esistenza od il sopravvenire di un fattore di rischio maggiore rispetto alla normalità di quel particolare compito, tenendo però ben presente che “qualunque tipo di attività istituzionale può portare, in caso di infermità ai benefici in questione” (Cass. 05 ottobre 2018, n. 24592) poiché “nulla osta a che il concetto di “missione di qualunque natura” e quello di “particolari condizioni ambientali od operative” possano essere riscontrati anche nello svolgimento di compiti che afferiscono al tipico lavoro” in quanto “la continua o frequente condizione di esposizione di un lavoratore ad una sostanza pericolosa e nociva (avvenuta nei fatti) non vale a rendere la stessa situazione come normale condizione operativa (di diritto)”. È demandato, quindi, al giudice del merito “l’onere di operare una ricostruzione dei fatti di causa in ordine allo svolgimento dell’attività in oggetto ed al nesso di causa con la malattia professionale allegata”. (Cass. 13 febbraio 2019, n. 9322).