Il fatto
La vicenda processuale trae origine dalla sentenza con cui il tribunale, in riforma della sentenza di condanna pronunciata dal giudice di pace, aveva assolto una donna dai reati di percosse e minacce commessi ai danni della madre del suo ex marito. Il Tribunale aveva acquisito la registrazione, effettuata dall'imputata all'insaputa del suo interlocutore, nel corso della quale un teste, parlando con l'imputata aveva ammesso “senza problemi di aver fatto una falsa dichiarazione". Il Tribunale in sede di appello acquisite le registrazioni, aveva ritenuto sospette di falsità tutte le dichiarazioni dei testimoni di accusa e, dunque, aveva assolto l'imputata dai reati ascrittile per insussistenza del fatto.
La sentenza della Cassazione.
La questione riguarda il fatto che è stata l'imputata a registrare la dichiarazione nel corso del procedimento a suo carico per i fatti oggetto di quel procedimento. È invece pacifico che sono acquisibili e utilizzabili come documenti le registrazioni fatte da chiunque prima e al di fuori del processo, trattandosi di fonti di prova precostituite che attengono a "fatti" storici anche se "dichiarativi"; così come le registrazioni fatte, anche nel corso del processo, dalla persona offesa o da altri testimoni, ove si consideri che esse hanno per oggetto "fatti in ordine ai quali nessuno dubita della praticabilità della testimonianza de relato, espressamente disciplinata dall'art. 195 c.p.p..
Alla testimonianza dell'ascoltatore, quindi, si affianca, come tipico mezzo di prova del fatto "dichiarazione stragiudiziale", la riproduzione fonografica dell'atto dichiarativo. Se quest'ultima viene offerta al giudice come prova anziché il resoconto testimoniale, la vox mortua proveniente dall'incisione fonografica finisce con l'assolvere "l'identica funzione della vox viva del teste", considerato che "riferisce, come riferirebbe un testimone, le parole di chi ha emesso la dichiarazione"" (così in motivazione Cass. pen., sez. Unite, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio).
Il caso deciso dalle Sezioni Unite Torcasio aveva riguardato le registrazioni fonografiche di colloqui intercorsi tra operatori di polizia giudiziaria e loro informatori, effettuata ad iniziativa dei primi e all'insaputa dei secondi. Le Sezioni Unite hanno ritenuto che tale operazione non fosse classificabile come "intercettazione"; al contempo, però, hanno escluso che simili registrazioni siano utilizzabili dato che, in tale specifico caso, si tratta non di "prova documentale", ma della riproduzione di atti processuali che non può svolgersi con quelle modalità. In sostanza si è detto che la registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, da soggetto partecipe di dette comunicazioni, o comunque autorizzato ad assistervi, costituisce prova documentale secondo la disciplina dell'art. 234 c.p.p., sempre che non si tratti della riproduzione di atti processuali perché la registrazione di una comunicazione da parte di soggetto che ne sia stato partecipe, per quanto astrattamente suscettibile di produzione come documento, non può sostituirsi, in violazione dell'art. 191 c.p.p., a fonti di prova delle quali la legge vieta l'acquisizione.
Quanto alle iniziative personali delle parti private, vanno, invece, per la S.C., compiute le riflessioni che seguono. Gli atti di indagine difensiva sono tipici e sono regolati dagli artt. 391-bis e ss. c.p.p. L'imputato, come del resto la persona offesa, non può compiere quegli atti di indagine tipizzati, né può assistere all'assunzione di informazioni da parte del suo difensore, secondo il disposto dell'art. 391-bis c.p.p., comma 8.
Ne consegue che l'imputato non potrebbe procedere all'assunzione di informazioni secondo le forme tipizzate dall'art. 391-bis c.p.p.; non si rinvengono, invece, nel codice di rito divieti in merito alla possibilità per l'imputato di riferire (e quindi di registrare) conversazioni, anche "provocate", intercorse con un testimone, ferma restando la necessità di verificare se nelle modalità di approccio e nei contenuti del dialogo siano ravvisabili i presupposti di un reato. La questione, per i Supremi Giudici, si sposta, allora, sul diverso versante della valenza probatoria della registrazione effettuata dall'imputato. Il documento dimostra che la registrazione c'è stata e ha avuto quel contenuto. Ben altra cosa, invece, precisa la S.C., è lo stabilire il valore probatorio delle dichiarazioni registrate che devono essere attentamente esaminate dal giudice e necessitano di un vaglio particolarmente pregnante dato che si tratta di dichiarazioni rese in maniera informale, senza obbligo di dire la verità, dirette all'imputato e da lui raccolte. Il giudice, per la Cassazione, non può esimersi dal porre dette dichiarazioni a diretto confronto con quelle, eventualmente di segno opposto, rese nel corso della deposizione testimoniale, nel contraddittorio delle parti, con assunzione dell'obbligo di dire la verità; sul medesimo giudice graverà, quindi, il correlativo obbligo di fornire adeguata e specifica motivazione delle valutazioni compiute e delle scelte effettuate.
Da qui, dunque, l’annullamento della sentenza.
Riferimenti normativi:
Art. 391-bis c.p.p.Cassazione penale, Sez. V, sentenza 24 marzo 2021, n. 11418