La Corte di Cassazione, con l'ordinanza del 12 gennaio 2018, n. 657, è intervenuta nuovamente sul tema delle spese legali, stabilendo che il giudice deve indicare specificamente le voci della parcella non provate nella parte motivazionale della sentenza, con il relativo obbligo, quindi, di motivare i compensi che intende escludere.
In particolare, la pronuncia è di estremo interesse in quanto cerca di porre un freno alla eccessiva discrezionalità del giudice nella determinazione degli onorari, inserendosi nel solco già tracciato da precedenti pronunce secondo cui il giudice ha l’onere di indicare dettagliatamente le singole voci che riduce, perché chieste in misura eccessiva, o elimina, perché non dovute (Cass. Civ. Sez. VI 11 dicembre 2017 n. 29594; Cass. Civ. Sez. VI 6 giugno 2017 n. 14038; Cass. Civ. Sez. 10 novembre 2015 n. 22883; Cass. Civ. Sez. I 17 settembre 2015 n. 18238, Cass. Civ. Sez. VI 30 marzo 2011 n. 7293; Cass. Civ. Sez. Lav. 24 febbraio 2009 n. 4404; Cass. Civ. Sez. III 08 febbraio 2007 n. 2748) ovvero quando liquida parametri diversi (Cass. Civ. Sez. 10 novembre 2015 n. 22883; Cass. Civ. Sez. I 17 settembre 2015 n. 18238; Cass. Pen. Sez. V 8 luglio 2014 n. 29934). 
Nel caso di specie, i ricorrenti con un unico motivo di ricorso lamentavano la lesione dei principi in materia di determinazione e liquidazione dei diritti, onorari e spese di Avvocato nonché la carenza di motivazione in punto di calcolo degli onorari e diritti.
La Cassazione è intervenuta affermando che occorre “un'indicazione specifica delle voci che si ritengono non adeguatamente comprovate”, per cui viene in tal modo posto un paletto alla discrezionalità del giudice in subiecta materia.
Così, se da un lato il professionista ha l’obbligo di provare, d’altro canto, il giudice ha l’obbligo di motivare i compensi che intende escludere.
In verità, il potere discrezionale del giudice nella liquidazione degli onorari di cui all'art. 91 c.p.c. è sempre più fortemente limitato non solo dal sindacato sulla legittimità delle decisioni, ma anche dal Legislatore. 
Com’è noto, è stata introdotta la legge sull’equo compenso, che colpisce con lo stigma della nullità i corrispettivi che determino uno squilibrio a svantaggio dell’Avvocato. E’ significativo rilevare che l’art. 13 bis della legge 31 dicembre 2012 n. 247 è stato modificato dal comma 487 dell’unico articolo della legge 27 dicembre 2017 n. 205. A seguito della modifica del legislatore è chiaro che non residuano poteri discrezionali in capo al giudice il quale, laddove ravvisi la nullità, dovrà conformarsi ai parametri.
Ancora, con alcune sentenze è stato evidenziato come la discrezionalità del giudice nella determinazione giudiziale dei compensi “non può condurre ad una liquidazione che … remuneri l'opera del difensore, al netto delle spese vive, con una somma che in termini assoluti risulti praticamente simbolica e, come tale, non consona al decoro professionale che l'art. 2233, comma 2 c.c. pure impone di considerare” (ex multis: Cass. Civ., Sez. VI, 22 dicembre 2015, n. 25804), principio, quest'ultimo, più volte ribadito anche dal Consiglio di Stato (Cons. di Stato, Sez. VI, 22 gennaio 2015 n. 238).
Ed infine, il Consiglio di Stato, nell’esprimere il parere vincolante sulla bozza dei nuovi parametri al Ministero della Giustizia nello scorso dicembre, ha ritenuto necessario invitare  a prevedere una diversa formulazione della bozza di decreto, dalla quale emerga con maggiore chiarezza l’inderogabilità delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base da parte degli organi giudicanti.
In conclusione questa pronuncia, inserendosi in un solco già tracciato, concorre a meglio definire il perimetro entro il quale deve muoversi l’azione del giudice nella determinazione dei compensi, al fine di non vedere svilito il lavoro quotidiano dell’Avvocato.