La concessione dei termini ex art. 183, c. 6 c.p.c. non costituisce un obbligo a carico del Magistrato quanto piuttosto una sua facoltà.
Questa è la conclusione cui è giunta la Corte di Cassazione nel corso degli ultimi anni e recentemente ribadita con l’ordinanza n. 1366 dell’anno 2018.
Precisa la Corte infatti che: “la tesi (omissis) che implica l’obbligatorietà della concessione dei termini di cui alla norma in rubrica, ove richiesti dalle parti, si scontra con la più recente giurisprudenza di questa Corte che in più occasioni ha avuto modo di ribadire che (cfr. Cass. n. 4767/2016) in forza del combinato disposto dell’art. 187, comma 1, c.p.c. e dell’art. 80-bis disp. att. c.p.c., in sede di udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione della causa ex art. 183 c.p.c., la richiesta della parte di concessione di termine ai sensi del comma 6 di detto articolo non preclude al giudice di esercitare il potere di invitare le parti a precisare le conclusioni ed assegnare la causa in decisione, atteso che, ogni diversa interpretazione (omissis) delle norme suddette, comportando il rischio di richieste puramente strumentali, si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale della durata ragionevole del processo, oltre che con il “favor” legislativo per una decisione immediata della causa desumibile dall’art. 189 c.p.c. (conf. Cass. n. 7474/2017; Cass. n. 8287/2017)”.
Nelle pronunce richiamate la Corte di Cassazione ha ritenuto che il Giudice potesse legittimamente fissare direttamente l’udienza di precisazione delle conclusioni ogniqualvolta vi fossero questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito o, ancora, nel caso in cui fosse possibile giungere immediatamente ad una decisione sulla base delle allegazioni delle parti senza dover svolgere alcuna ulteriore attività istruttoria.
E ciò, a detta della Corte, in forza del combinato disposto degli artt. 187 comma 1 c.p.c. e 80 bis disp. atti. c.p.c. nonché alla luce del principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost.
Restano comunque alcune perplessità in merito, così come accennate nel convegno “Le principali questioni in tema di prove civili: ammissione, assunzione, valutazione, prove atipiche e non contestazione” tenutosi a Lodi il 13.04.18 con particolare riferimento al rapporto fra l’art. 80 disp. att. c.p.c. e l’art. 183 c.p.c. (definita come norma speciale e successiva rispetto alla prima).
È inoltre indubbio come in precedenza, dall’entrata in vigore del nuovo art. 183 c.p.c., la giurisprudenza di merito si sia attenuta a un’interpretazione differente, volta a valorizzare il dato letterale della norma che testualmente prevede: “se richiesto, il giudice concede”.