Interessi protetti – sport
Applicazione art. 11 bis del Regolamento esecutivo-settore professionistico FIP
Il Consiglio di Stato ritiene illegittima l’applicazione di tale previsione
 
Il 22 Ottobre 2011 il Tar Lazio aveva respinto la richiesta dell’atleta Chauncey Alan Louis Campanaro volta ad annullare il provvedimento del 25 novembre 2010 del Segretario Generale della Federazione Italiana Pallacanestro, con il quale era stata rigettata la sua istanza per ottenere il tesseramento nella stessa Federazione quale atleta italiano ad ogni effetto (ovvero, in altri termini, il riconoscimento dello status di “atleta di formazione italiana”). Il T.a.r. aveva respinto il ricorso facendo applicazione dell’art. 11 bis del Regolamento esecutivo-settore professionistico[1], approvato dal Consiglio Federale della F.I.P. nelle sedute del 29–30 maggio 1998 e 19-20 novembre 2010. Tale disposizione prescrive che un atleta, per essere considerato (indipendentemente dalla sua cittadinanza) “di formazione italiana”, deve essersi formato nei vivai italiani e aver partecipato a campionati giovanili della F.I.P. per almeno quattro stagioni sportive. Nel caso di specie, secondo il T.a.r., il ricorrente sarebbe stato privo del primo requisito, quello di essersi formato tecnicamente nei vivai italiani[2].
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza n. 3037 del 17 giugno 2014 non ha condiviso né le conclusioni cui era giunto il TAR né le sopraggiunte argomentazioni difensive della Federazione Italiana Pallacanestro, che eccepivano la tardività dell’appello[3]. I Giudici di Palazzo Spada sono stati chiamati a stabilire se l’effetto negativo, che oggettivamente deriva in capo a chi non abbia i requisiti per accedere allo status “di formazione” italiana, sia ragionevole e, soprattutto, compatibile con i principi costituzionali e comunitari. In altri termini il Consiglio di Stato ha dovuto stabilire se un atleta italiano possa essere discriminato rispetto ad altri, solo perché la sua formazione tecnica non sia avvenuta in Italia. Sul punto i Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che la discriminazione determinata dall’applicazione dell’art. 11 bis del regolamento F.I.P. sia illegittimità sotto diversi profili.
In primis tale previsione risulta palesemente irragionevole, secondo il Consiglio di Stato, tenuto conto che se da un lato la norma, come riconosce lo stesso T.a.r., è diretta a potenziare e tutelare la formazione e la crescita dei giovani giocatori di talento e di favorire lo sviluppo dei vivai nazionali, dall’altro è certamente contradditorio che tale scopo venga perseguito con una disciplina che, richiedendo la formazione tecnica in Italia anche per chi è cittadino italiano, finisce per tutelare non tanto i giovani talenti nazionali, ma soprattutto gli interessi economici delle società sportive, consentendo alle stesse di massimizzare l’utilità economica che ritraggono quando vendono i giocatori che esse stesse hanno formato tecnicamente nei propri vivai. Il requisito della formazione tecnica in Italia, rappresenta, in altri termini, un requisito irragionevole, perché contraddice lo scopo in vista del quale è stata introdotta la “riserva numerica”, perché anziché tutelare lo sport nazionale (e la crescita professionistica dei giovani giocatori di talento), tutela prevalentemente gli interessi economici delle società.
Inoltre la norma presenta, anche profili di incompatibilità costituzionale e comunitaria, dando luogo ad una “discriminazione alla rovescia”, nel senso che l’atleta italiano formatosi tecnicamente all’estero è discriminato, senza alcuna plausibile giustificazione, rispetto all’atleta straniero formatosi tecnicamente in vivai nazionali. In questo modo, il cittadino italiano, solo perché costretto, anche, come accaduto nel caso di specie, per motivi familiari (il giovane Campanaro è stato costretto a rimanere per gli Stati Uniti per documentate ragioni collegate alla separazione dei genitori), a vivere fuori dall’Italia (e, conseguentemente a formarsi tecnicamente all’estero) vede diminuire le sua possibilità di accesso all’attività sportiva professionistica, rispetto a chi, invece, ha vissuto e si è formato in Italia. In questo modo, la citata disposizione regolamentare incide anche su alcune prerogative che sono proprie dello status di cittadino dell’Unione europea (art. 20 TFUE), oltre che sui diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta di Nizza, restringendo, in particolare, il suo diritto alla vita familiare, nella misura in cui limita le possibilità di accesso allo sport professionistico del cittadino italiano i cui genitori si siano stabiliti all’estero; i collegati diritti di circolazione e di soggiorno, nella misura in cui lo costringe, per poter svolgere senza “limiti” l’attività sportiva professionistica, a lasciare il territorio nazionale; il diritto di lavorare e stabilirsi nel territorio di qualsiasi Stato membro, impedendogli di avere “pieno” e incondizionato accesso all’attività sportiva professionistica in Italia.
In altri termini, dai principi enunciati dalla giurisprudenza comunitaria[4], si evince che la sola esistenza dello status di cittadino europeo è sufficiente a far riconoscere all´individuo il godimento di un diritto fondamentale attribuito dall´ordinamento dell´Unione anche in assenza di altri criteri di collegamento. Pertanto sulla base delle considerazioni svolte è stato stabilito l’illegittima l’applicazione che nel caso di specie è stata fatta dell’art. 11 bis del regolamento F.I.P. per negare il riconoscimento al ricorrente dello status di atleta italiano ad ogni effetto.
Pertanto siamo in un attesa di una modifica regolamentare da parte della Federazione Italiana Pallacanestro, la quale ad oggi, sembra restia nel recepire ed adottare tale provvedimento, così come si può evincere dalle dichiarazioni della massimo esponente federale[5].
 
[1] Art. 11 bis – Giocatori di Formazione Italiana
[1] Per giocatore di formazione italiana si intende il giocatore senza distinzione di cittadinanza, formato nei vivai italiani, che abbia partecipato a campionati giovanili della Federazione per almeno 4 Stagioni sportive. La partecipazione al campionato giovanile si intende assolta con l'iscrizione a referto ad almeno 14 gare. La partecipazione a campionati giovanili con tesseramento minibasket non è valida per l'adempimento dei quattro anni di attività giovanile. La partecipazione al campionato Under 21 non è valida per l'adempimento dei quattro anni di attività giovanile.
[2] Tutti gli atleti Under 19, senza distinzione di cittadinanza, acquisiscono la formazione italiana nel quarto anno di partecipazione ai campionati federali giovanili, successivamente la conclusione della prima fase del rispettivo Campionato di categoria[2] S. Rigazio, Campanaro v. FIP: “Tutela dei vivai giovanili ora passa per l’atleta di formazione italiana, Tar Lazio 8135/2011”, in PersonaeDanno.[3] La FIP aveva sostenuto, in rito, che l’appello in sé fosse irricevibile, perché notificato l’8 marzo 2012, e cioè oltre il termine dimezzato (ai sensi dell’art. 119, lett. g) Cod. proc. amm.) di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza (avvenuta in data 22 ottobre 2011). Il Consiglio ha ritenuto però che pur dovendosi affermare il principio secondo cui la residenza dell’appellante fuori dall’Europa non determina alcuna modifica dei termini, ci sono i presupposti per prorogarli ai sensi dell’art. 37 del cod. proc. amm. . Fra questi: a) l’oggettiva novità della questione, sulla quale non si rinvengono precedenti specifici, almeno nel vigore del codice del processo amministrativo; b) il fatto che l’appello sia stato notificato a poco più di due anni dall’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, in un contesto normativo, quindi, ancora caratterizzato da significativi profili di novità e da oggettive incertezze interpretative; c) più di tutto, il fatto che la residenza fuori dall’Europa della parte appellante, pur non espressamente presa in considerazione dal legislatore come causa di per sé in grado di giustificare automaticamente l’allungamento del termine per appellare, non rappresenta, tuttavia, una circostanza totalmente irrilevante ai fini del corretto esercizio del diritto di difesa e, in particolare, della proposizione dell’appello.[4] CGUE, Grande Sezione, 8 marzo 2011, 34/09 Ruz Zambrano[5] Corrieredellosport.it, PETRUCCI - Il presidente della Federbasket, Gianni Petrucci, ha diffuso ieri una nota a commento della sentenza: «Abbiamo il massimo rispetto della sentenza del Consiglio di Stato, ma si tratta di un caso singolo, particolare. Abbiamo già  avuto molte più sentenze a nostro favore che ci convincono della bontà del nostro operato»