1. La crisi della giustizia civile.

E' da poco entrata in vigore, quasi a pieno regime, una legge di pochi articoli destinata però a sconvolgere e, nell’auspicio di molti, a risolvere il tormentato mondo della giustizia civile: la nuova normativa sulla mediazione obbligatoria che riguarderà buona parte  delle controversie civili e commerciali, quelle che maggiormente affollano le aule dei tribunali [1].

Il D.Lvo 28/2010, pubblicato sulla G.U 5.3.2010, è entrato in vigore circa un anno fa ma la prescrizione di obbligatorietà della preventiva mediazione era stata differita dall’art. 24 alla scadenza del dodicesimo mese dall’entrata in vigore, il 20 marzo prossimo appunto.

Poche leggi hanno suscitato così tanti e contrastanti sentimenti tra le diverse categorie professionali. Entusiasmo per alcuni, netta avversione per altri. Contrapposte posizioni di cui è stata espressione la diversa posizione assunta dalla classe forense, da un lato, e dai Commercialisti ed Esperti Contabili, dall’altro, nel giudizio di impugnazione davanti al  TAR Lazio[2] del Regolamento di attuazione approvato con il D.M. 180 del 18 ottobre 2010[3].

Proprio in queste ore si sta svolgendo una assemblea degli iscritti all’ordine forense di Firenze in vista dell’astensione dalle udienze, civili, penali ed amministrative, proclamata per i giorni dal 16 al 22 marzo per protestare contro alcune delle soluzioni adottate dal legislatore con il D.Lvo 28

Difesa degli interessi di categoria, oppure giusta preoccupazione per  la “privatizzazione della giustizia civile” e quindi per le sorti del processo civile e per la tutela del diritto di difesa?

Certo è che anche gli esperti in mediazione, pur salutando con favore la novità legislativa, non si sono sottratti dal sottolinearne gli aspetti più controversi e, in particolare, lo spirito eccessivamente deflattivo[4] che ne è alla base e che ha condizionato la scelta di soluzioni, non tutte condivisibili, non sempre conformi alla mediazione come in generale viene intesa.

Non c’è dubbio che la scelta del legislatore di introdurre un organico sistema di mediazione nel nostro ordinamento sia meritevole di attenzione, tuttavia, dopo lustri di riforme del codice di rito che raramente hanno inciso sulla durata e sul numero delle liti, la soluzione proposta dal legislatore sembra essere più una scelta obbligata, la presa d’atto della impossibilità di risolvere gli atavici problemi del contenzioso civile, che non l’offerta di una opportunità per risolvere i conflitti complementare al processo.

L’intento deflattivo del contenzioso civile[5], senz’altro meritevole, avrebbe destato minori perplessità se fosse stato accompagnato da una riforma organica del processo accompagnata da un maggiore impegno di spesa in questo settore nevralgico della vita sociale.

Infatti, nonostante la “marcata diminuzione del numero dei procedimenti civili pendenti nel corso del 2010” e gli sforzi per la “razionale informatizzazione della giustizia” [6], la cronica lentezza del sistema giudiziario rappresenta ancora per il Paese un pesante costo da sostenere e costituisce una sorta di tassa occulta che ne frena lo sviluppo economico e la competitività [7] a causa, in particolare,

dell'eccessiva durata dei procedimenti giudiziari. Una giustizia ritardata è una giustizia denegata, che va contro gli interessi e i diritti dei cittadini [8].

Oggi la durata media di una causa civile di primo grado è di 845 giorni con un peggioramento del 3,7% rispetto all’anno precedente.  Per l’appello si deve mettere in conto una durata media di 981 giorni, con una durata complessiva del giudizio di 5 anni esatti. Tralasciamo i tempi tecnici tra un giudizio e l’altro e l’eventuale fase di legittimità davanti alla corte di cassazione [9].

Uno stato comatoso al quale non può certo ovviare il risarcimento riconosciuto al cittadino ai sensi della legge Pinto sull’equo indennizzo per la irragionevole  durata del processo [10] ; senza, peraltro, considerare il ritardo dello Stato nel pagamento degli indennizzi già liquidati dai giudici, tanto che la Corte di Strasburgo ha pronunziato svariate sentenze di condanna a carico dell’Italia.

Per dirla con le parole del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa [11] , l’eccessiva lunghezza dei procedimenti costituisce «un grave pericolo per il rispetto dello Stato di diritto, conducendo alla negazione dei diritti consacrati dalla Convenzione» europea dei diritti dell’uomo.

2. La mediazione come sistema deflattivo del contenzioso civile.

Quali sono le cause di una tale situazione di sfascio ? La crisi dell’avvocatura [12], le resistenze corporative [13], la disorganizzazione dei servizi [14], l’eccessiva litigiosità degli italiani [15]? Certo un ruolo decisivo è giocato anche dalla immane congerie legislativa. Una serie di norme spesso contraddittorie “che si stratificano confusamente e si richiamano l'un l'altra in un groviglio inestricabile”; norme perlopiù di bassa qualità che alimentano “dubbi interpretativi e incertezza nell'applicazione.[16] Tutto questo contribuisce in maniera determinate a creare una diffusa domanda di servizi legali alla quale lo Stato non ha saputo rispondere, nonostante il succedersi, negli ultimi cinquant’anni, di riforme processuali, spesso ondivaghe, frutto di una affrettata e confusa legislazione priva di una visione organica di sistema ma, soprattutto, priva del necessario sostegno di bilancio [17].

In questo fosco quadro si inserisce la recente normativa sulla mediazione introdotta dal D.Lvo 4 marzo 2010 n. 28, in attuazione dell’art. 60 della legge 18 giugno 2009 n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali [18]

L’istituto della mediazione, come delineato dal d.lvo 28, è nuovo nel nostro ordinamento[19] ed ha attirato, come detto, non poche critiche della categoria forense che vi intravede una sorta di privatizzazione della giustizia, peraltro affidata a soggetti che non garantiscono una adeguata preparazione tecnica [20].

Non sono nuovi però, nel nostro sistema processuale, tentativi di introdurre sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, perlopiù seganti dall’insuccesso a causa, principalmente, della scarsa comprensione dell’istituto della mediazione da parte del legislatore.

L’esempio più rilevante è costituito dall’art. 410 c.p.c. [21] che prevedeva, a pena di improcedibilità della domanda, il preventivo esperimento del tentativo di conciliazione davanti all’apposita commissione.

Chiunque abbia esperienza di cause di lavoro potrà testimoniare la scarsa utilità dei tentativi di conciliazione davanti alla Direzione Provinciale del Lavoro dove, se l’accordo veniva raggiunto, questo era semmai  frutto, non tanto della “mediazione” dell’organismo, assimilabile più ad un collegio arbitrale che non ad un “mediatore” correttamente inteso, quanto del “negoziato” intercorso direttamente tra le parti in conflitto.

L’obbligatorietà del tentativo in materia giuslavoristica è venuta meno ad opera della legge 4 novembre 2010 n. 183 (Collegato al Lavoro) che con l’art. 31 ha trasformato il tentativo di conciliazione in una fase meramente eventuale [22]introducendo, tuttavia, una pluralità di mezzi di composizione delle controversie di lavoro alternativi al ricorso al giudice e sui quali avremo modo di ritornare in seguito [23].

Nell’ambito del processo civile riferimenti alla conciliazione li troviamo nell’art.185, nell’art. 420, nell’art. 696 bis c.p.c. (consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite); norme tutt’ora in vigore che hanno però dato scarsissima prova di successo in passato ed ancor meno ne daranno in futuro, come chiunque abbia un minimo di pratica forense potrà attestare.

Non è difficile individuare le ragioni dell’insuccesso dei tentativi del legislatore di porre un freno al dilagare del contenzioso civile mediante il ricorso agli istituti ora ricordati.  In realtà questi  rimedi “conciliativi” erano, e sono, demandati ad organismi sprovvisti di qualsiasi preparazione specifica alla mediazione e, nel caso degli artt. 420,185 e 696 bis c.p.c., per giunta inseriti all’intermo del meccanismo processuale il che, se non esclude in radice la possibilità di mediare la lite, la rende indiscutibilmente più difficile.

E’ interessante notare che la legge 183/2010 ha rimodellato l’art. 420 c.p.c. prevedendo, diversamente dal testo previgente, che il giudice del lavoro tenti non solo la conciliazione della lite ma anche formuli alle parti una proposta transattiva e collega, al rifiuto ingiustificato della parte all’adesione alla proposta e non solo alla mancata comparizione come prima accadeva, effetti pregiudizievoli riconducibile all’art. 116 c.p.c. (costituiscono comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio).

E’ probabile che il tentativo di conciliazione demandato al giudice del lavoro, al pari di quanto è accaduto in passato e per le stesse ragioni alle quali si è accennato, sia destinato all’insuccesso.

Per altro verso, anche se con scelta non sempre condivisibile, la legge 183/2010 introduce una serie di sistemi deflattivi del contenzioso giuslavoristico per lo più riconducibili, oltre che alla conciliazione, alla risoluzione delle controversie con il ricorso all’arbitrato irrituale amministrato.

Il D.L.vo 28 vorrebbe rimediare all’insuccesso dei tentativi passati assegnando il ruolo di protagonista al mediatore professionale, quale terzo imparziale dotato di autorevolezza ma non di autorità, il cui compito è quello di assistere e facilitare il negoziato delle parti e istituendo la obbligatorietà, per certe materie, della preventiva mediazione del conflitto, a pena di improcedibilità della domanda.

L’obbiettivo dichiarato [24] è quello di deflazionare il carico della giustizia civile in Italia, incentivando, ma anche condizionando, le parti che vogliono fare causa a tentare prima una conciliazione presso gli Organismi accreditati.

Per raggiungere lo scopo il legislatore ha, non solo previsto la obbligatorietà della mediazione (in certe materie  dove la conflittualità è più elevata e/o che - per loro  natura - si prestano meglio alla conciliazione), ma ha, nel contempo, collegato la mediazione al futuro eventuale processo, sia dando la possibilità al giudice di desumere argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., dalla ingiustificata non adesione alla mediazione del soggetto in questa convocato, sia assegnando alla non accettazione della proposta formulata dal mediatore importanti conseguenze in termini di ripartizione delle spese di causa e di mediazione.

La questione più rilevante, quella che ha fatto insorgere la classe forense, è però rappresentata dalla obbligatorietà della mediazione e dalla improcedibilità della domanda giudiziale, che potrà essere rilevata d’ufficio dal giudice [25] o eccepita dal convenuto non oltre la prima udienza (art. 5 co.1).

Occorre tuttavia ricordare che la obbligatorietà del tentativo di conciliazione non è nuova nel nostro ordinamento. Infatti oltre ad essere prevista, sino alla recente abrogazione, per le controversie di lavoro, è tutt’ora prevista per le controversie in materia di telecomunicazioni[26] e, dalla legge 192/98, in materia di subfornitura industriale. Certo è che la marginalità del contenzioso in siffatti campi ha ridotto di molto l’impatto dell’istituto nella quotidianità forense, cosa che sicuramente non accadrà per le materie soggette all’obbligatorietà della mediazione ex D.L.vo 28  che, come sappiamo, riguardano settori del diritto di primaria importanza quali il condominio e i diritti reali, la divisione e la successione ereditaria, i patti di famiglia, la locazione, il comodato e l’affitto di azienda, il risarcimento del danno da circolazione stradale e natanti, la responsabilità medica, la diffamazione a mezzo stampa  o con altro mezzo di pubblicità, i contratti assicurativi, bancari e finanziari. Anche se, per il condominio e per la RCA auto (e natanti), il decreto “mille proroghe”, attualmente in fase di conversione, ha disposto lo slittamento della obbligatorietà di un anno, chiunque può comprendere come l’entrata in vigore della normativa sulla mediazione obbligatoria non solo costituisca una svolta epocale nell’amministrazione della giustizia nel nostro Paese e nel costume forense, ma anche ponga una serie di interrogativi di non poco conto in punto di costituzionalità della nuova disciplina.

La Corte Costituzionale si è già pronunciata sulla costituzionalità del tentativo di conciliazione obbligatorio a pena di improcedibilità, sia con riguardo al processo del lavoro[27], sia con riferimento alle controversie in materia di telecomunicazioni, affermando la rispondenza della norma a costituzione poiché “la previsione di uno strumento quale il tentativo obbligatorio di conciliazione è finalizzata ad assicurare l’interesse generale al soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali realizzato attraverso la composizione preventiva della lite rispetto a quello conseguito attraverso il processo” [28].

La nuova normativa, tuttavia, oltre al grande impatto sociale che provocherà per la enorme mole di controversie che assoggetta all’obbligatorietà, pone sin d’ora problematiche nuove che sicuramente saranno sottoposte al vaglio del giudice delle leggi.

In  primo luogo il vizio di eccesso di delega.

Con l’art. 60 della legge 69/2009 l’esecutivo è stato delegato a “prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l'accesso alla giustizia”. Il problema che si pone è dunque quello del contrasto del’art. 5 con la legge delega, da accertare alla stregua della giurisprudenza della Corte Costituzionale secondo cui “il potere di riempimento dal legislatore delegato, per quanto ampio possa essere, non può mai assurgere a principio o a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega” [29]. Il problema di tenuta costituzionale dell’art. 5 [30] si pone, poi, in particolare evidenza a causa di una serie di soluzioni adottate dal legislatore della mediazione. In primo luogo, per il suo impatto immediato  sulla domanda di giustizia, l’ onerosità della mediazione.

Il D.M. 18.10.2010 n. 180 ha previsto (art.16) i criteri di determinazione delle indennità in attuazione dell’art. 17 D.L.vo, suddividendole in spese di avvio della mediazione, determinate in ragione di 40 euro più i.v.a. per ciascuna parte, e in spese di mediazione, previste nella tabella allegato A.

I costi per sedersi intorno al tavolo ovale della mediazione sono ragguardevoli, anche considerando le diminuzioni previste dallo stesso art. 16 co 5 oltre che la possibilità di ricorrere al patrocinio a spese  dello Stato prevista dall’art. 17 co. 5.

Il Regolamento ministeriale prevede che la parte attivante debba versare la somma dovuta per spese di mediazione “prima dell’inizio del primo incontro in misura non inferiore alla metà”, le spese stabilite rimangono immutabili indipendentemente dal numero di incontro e dal numero dei mediatori.

I vari regolamenti degli Organismi disciplinano in modo differenziato il pagamento delle spese di mediazione, dovute in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento (art. 16 co. 11).

Il Regolamento della Camera di Commercio di Firenze, conforme a quello di Unioncamere, ricalca il Regolamento ministeriale, prevedendo l’obbligo di pagamento delle spese di mediazione prima dell’incontro, con le riduzioni stabilite dalla norma per il caso di mediazione obbligatoria, salvo precisare che l’importo sarà ridotto di 1/3 qualora la parte attivante richieda il verbale di mancata partecipazione.

Il Regolamento di OCF, approvato dal Direttivo in data 7 marzo, stabilisce che “quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità ex art. 5 comma 1 DLgs 28/2010, ove l'incontro non abbia luogo per rifiuto, espresso o tacito, della parte invitata ad aderire alla mediazione e/o qualora la parte invitata, pur avvertita, semplicemente non si presenti alla sessione di mediazione alla data fissata dal Responsabile dell’Organismo, il mediatore redigerà, a richiesta della parte attivante, un verbale di mancata conciliazione, per il quale sarà dovuto un diritto fisso ulteriore (in aggiunta quindi alle spese di avvio della procedura) di euro 40,00 oltre IVA”. Con ciò fugando, in senso favorevole alla parte attivante, il dubbio circa il costo da sostenere per la mediazione qualora questa non sia neppure iniziata [31].

E’ inutile addentrarsi nel complesso esame delle maggiorazioni e delle diminuzioni della tariffa stabilite per le varie ipotesi previste dal Regolamento ministeriale 180, sostanzialmente ricalcate dai vari Regolamenti degli Organismi, per concludere che l’accesso alla mediazione del D.L.vo 28 è destinato a gravare in modo rilevante sul cittadino. Può essere che l’elevato costo della procedura costituisca, nell’ottica deflattiva del legislatore, anch’esso un motivo disincentivante del contenzioso giudiziario, tuttavia il problema prospettato da numerosi critici della nuova disciplina esiste ed è destinato ad assumere un peso specifico nel regolare l’accesso alla Giustizia.

Altro aspetto controverso è costituito dalla non obbligatorietà della difesa tecnica[32], specie in relazione ai riflessi che la condotta della parte nel procedimento di mediazione potrà avere nel successivo contenzioso civile.

L’art. 8 co.5 stabilisce che il giudice possa desumere argomenti di prova dalla mancata partecipazione della parte al procedimento di mediazione senza giustificato motivo[33]. E’ il primo, significativo, “punto di contatto” tra mediazione e processo.

E’ chiaro l’intento punitivo perseguito dal legislatore verso la parte che si rifiuta di collaborare e, anche se l’esperienza processuale ci insegna che raramente il giudice ricorre agli “argomenti di prova” per giustificare una decisione, resta comunque il fatto che la Corte di Cassazione ha ritenuto che il comportamento processuale delle parti possa costituire, non solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite, ma anche unica e sufficiente prova idonea a sorreggere la decisione di merito [34].  Sennonché, nel caso di mediazione e a differenza di quanto è previsto dall’art. 420 co.1 c.p.c., il comportamento non collaborativo della parte oggetto di valutazione nel processo si realizza fuori dal processo stesso, senza essere quindi constatato dal giudice che poi dovrà valutarlo, il che, oggettivamente, induce a qualche perplessità.

Altro passaggio critico della riforma è quello costituito dalla proposta di conciliazione.

L’art. 11 co. 1 D.Lvo 28 prevede che, quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione [35] e che, la proposta, è in ogni caso formulata ove le parti gliene facciano concorde richiesta. Nel caso di formulazione della proposta il mediatore deve informare le parti delle possibili conseguenze previste dall’art. 13. L’art. 7 del Regolamento 180 demanda poi ai Regolamenti degli Organismi la possibilità per il mediatore di formulare la proposta anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione. Si tratta della c.d. “proposta in abstentia”.

Con la previsione della possibilità di formulare la proposta il legislatore ha chiaramente optato a favore della c.d. mediazione valutativa-aggiudicativa.  Infatti, allorché il mediatore riterrà di formulare la proposta, o ne sarà richiesto dalle parti, egli dovrà giocoforza operare una valutazione e attribuire, anche se non con “provvedimento” autoritativo (il che esulerebbe in radice dalle finalità della mediazione) un determinato bene della vita all’una o all’altra parte. E’ una soluzione non sconosciuta alle scuole di mediazione, specie d’oltre oceano, ma che desta non poche perplessità considerati i riflessi nel successivo processo davanti al giudice previsti dal D.Lvo 28 nel caso di non accettazione della proposta.

L’art. 13, infatti, stabilisce che con il provvedimento che definisce il giudizio e se questo corrisponde interamente al contenuto della proposta, ferma l'applicabilità degli articoli 92 e 96 del c.p.c, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto, lo stesso per quanto riguarda le spese per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8.  co. 4.

Più lieve e soggetta a motivazione la sanzione nel caso in cui il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponda interamente al contenuto della proposta. In tal caso il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, potrà escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4, indicando esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese.

Si tratta dunque di conseguenze pesanti, che dimostrano l’uso della mediazione a fini deflattivi del contenzioso e rivestono un intento punitivo per la parte responsabile del fallimento della mediazione e, quindi, dell’incremento del contenzioso civile. I costi che questa parte si vedrà addebitare non sono certo simbolici. Si pensi all’incidenza delle spese di mediazione,  di quelle (eventuali) da corrisposte all’esperto, di quelle di lite. Come se non bastasse il giudice, nell’ipotesi del primo comma, potrà condannarla anche al pagamento di quella sanzione punitiva prevista dall’ultimo comma dell’art. 96, aggiunto dall’art. 45 co.12 legge 69/2009, che, a differenza dell’ipotesi prevista dai due precedenti commi, prescinde dalla prova del danno.

Insomma, la parte che rifiuta la proposta (o - se il Regolamento lo prevede - anche la parte che non ha aderito alla mediazione) potrà trovarsi di fronte a conseguenze patrimoniali considerevoli, il che sembra essere eccessivamente punitivo.

Un accentuato effetto deflattivo, quindi, portato sino alla “forzatura”, che ha attirato le critiche non solo degli esperti in mediazione, per i troppi riflessi del procedimento conciliativo sul processo, ma anche e soprattutto della classe forense, che ha intravisto, nel meccanismo delineato dagli artt. 8, 11 e 13, un ostacolo all’accesso alla giustizia [36] e una violazione del diritto costituzionale di difesa conseguente alla mancata previsione della obbligatorietà della assistenza tecnica dell’avvocato nel procedimento di mediazione.

Nella pratica le ipotesi di ricorrenza del primo comma dell’art. 13 saranno rarissime. Infatti, il giudice deve giudicare secondo diritto, salvo gli sporadici casi di giudizio di equità, mentre il mediatore, a differenza del giudice e dell’arbitro, non è vincolato alle norme positive, tutt’altro. E’ dunque difficile ipotizzare il caso di perfetta corrispondenza tra la decisione del giudice e la proposta del mediatore al di fuori dell’ipotesi in cui il conflitto verta su una pretesa creditoria che, per sua natura, maggiormente si presta ad una mediazione aggiudicativa che si avvicina più alla proposta di una transazione che a una mediazione vera e propria.

Più frequente potrà ricorrere l’ipotesi del comma 2 dell’art.13, che tuttavia prevede conseguenze economiche più lievi e richiede la motivazione del provvedimento in presenza di gravi ed eccezionali ragioni.

Vi è anche da dire che molti Regolamenti escludono la possibilità che il mediatore possa formulare la proposta se non dietro congiunta richiesta delle parti, quindi escludono la proposta ad iniziativa del mediatore e di conseguenza quella “in contumacia” .

 Il Regolamento uniforme delle Camere di Commercio stabilisce che il mediatore formula la proposta su concorde richiesta di tutte le parti e che in caso di mancata adesione o partecipazione alla procedura di mediazione di una delle parti, il mediatore non può formularla. Anche il Regolamento O.C.F prevede che il mediatore formuli una proposta di conciliazione solo nell’ipotesi che le parti ne facciano concorde richiesta e sempre che disponga degli elementi necessari [37]

Le perplessità sulla “proposta” sono destinate ad aumentare se si considera che il mediatore non necessariamente potrà essere fornito di una competenza specifica relativa al quadro di riferimento della controversia oggetto della mediazione, anche se è auspicabile che la possieda.

La Direttiva Europea 2008/52 CE, richiede al mediatore di “condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente” [38].

Nella definizione di mediatore data dal nostro legislatore scompare la specificazione delle caratteristiche dell’attività del mediatore, rimarcate dalla Direttiva Europea [39]. Si ritiene, generalmente, che la competenza si riferisca alla conoscenza delle tecniche di mediazione assicurata, almeno nell’intento del legislatore, dall’obbligatorietà della formazione e dalla frequenza di un corso di durata complessiva non inferiore a 18 ore di lezione teorico-pratica almeno ogni due anni (D.M. 180), oltre che dalla responsabilità della mediazione in capo agli Organismi che devono dare “garanzie di serietà ed efficienza” e per tale responsabilità sono sottoposti alla vigilanza e al controllo da parte del Ministero della giustizia (art. 16 D.Lvo 28) [40]

La conoscenza da parte del mediatore delle nozioni e delle tecniche di mediazione non esclude, tuttavia, la necessità del possesso anche di specifiche cognizioni utili, se non indispensabili, per la comprensione e la trattazione dell’argomento in conflitto e per la formulazione dell’eventuale proposta[41].

L’elevato tecnicismo di alcune materie, l’esistenza di norme spesso di difficile se non di dubbia interpretazione (si pensi all’urbanistica o al diritto societario), richiederà la formazione alla mediazione degli specialisti nei vari settori, onde evitare che l’accordo conclusivo della mediazione o la proposta che il mediatore dovrà formulare ai sensi dell’art. 11, possano essere contrastanti con le norme imperative o con l’ordine pubblico e quindi essere fonte di responsabilità per il mediatore e per l’Organismo, oltre rendere non omologabile, quindi improduttivo di effetti, l’accordo conclusivo vanificando così, con immaginabili conseguenze, l’intento voluto dall’art. 12.

Come si vede le problematiche sottese alla nuova legge sulla mediazione sono molteplici e quelle sin qui affrontate sono solo alcune di esse. Ve ne sono altre che, per ragioni di spazio, non possono essere esaminate. Si pensi però, oltre al tema della responsabilità del mediatore e/o dell’Organismo al quale abbiamo solo di sfuggita accennato, al coordinamento delle varie fonti che trattano della mediazione[42], alle questioni relative alla verifica dei poteri di firma, alla rappresentanza della parte in mediazione, alla utilizzabilità – nel futuro giudizio – dei documenti allegati alla domanda di mediazione, agli aspetti legati alla omologazione dell’accordo e alla sua trascrizione. Tutte questioni sulle quali gli interpreti avranno modo di intervenire. Certo è che il D.Lvo 28 segna davvero una svolta epocale, le cui probabilità di successo saranno strettamente legate alla preparazione dei mediatori e alla diffusione, a partire dalle Università, della cultura della mediazione e dei sistemi alternativi di risoluzione delle controversie. Su questo terreno vi è da dire che, negli ultimi anni, si sono compiuti importanti passi, specie grazie all’opera svolta dalle Camere di Commercio dopo l’istituzione del Registro degli organi di Conciliazione ad opera del D.Lvo 5/2003 in materia di rapporti societari. Si pensi che tra il 2005 e il 2007 le domande di conciliazione presso le Camere di commercio aventi per oggetto controversie tra imprese sono più che raddoppiate e gli arbitrati sono aumentati del 7,1%.[43]. Si trattava di mediazioni volontarie ora, con l’obbligatorietà prevista dall’art. 5 co.1 decr. cit, il carico di affari, secondo stima della Camera di Commercio di Firenze, è destinato ad elevarsi all’ennesima potenza. Si valuta, infatti, che le domande di mediazione saranno circa 7.000 all’anno considerando però tutte le materie obbligatorie e quindi incluse anche le controversie condominiali e quelle derivanti dalla circolazione di veicoli e natanti. Un numero comunque destinato a rimanere elevatissimo, che pone seri problemi organizzativi, anche tenendo conto del differimento al prossimo anno dell’obbligatorietà in queste due importanti settori del contenzioso civile.

3. L’arbitrato amministrato come sistema alternativo o complementare al processo. Uno sguardo sulle soluzioni proposte dal Collegato Lavoro. Il Regolamento Consob.

La diffusione della cultura della mediazione ha condotto a riconsiderare anche l’arbitrato come sistema di composizione del conflitto alternativo o complementare[44]  al processo davanti al giudice dello Stato.

I due istituti non possono essere confusi;  così come la figura del mediatore è diversa, quanto a formazione, da quella dell’arbitro. Entrambi gli istituti sono volti alla composizione del conflitto, nell’ambito dei diritti disponibili, ma, mentre la mediazione consiste in un metodo “etero diretto” di “autocomposizione” del conflitto, condotto da un soggetto terzo imparziale il cui compito è quello di agevolare le parti a trovare esse stesse la soluzione del loro conflitto,  l’arbitrato, come il giudizio del resto, consiste  in modo si “etero diretto”  ma anche di  “etero composizione” del conflitto, condotto da uno o più soggetti terzi, imparziali, dotati di specifiche cognizioni, che intervengono nel conflitto, su mandato delle parti, con poteri autoritativi al fine di comporlo attribuendo, all’una o all’altra, un bene della vita[45].

Anche nell’arbitrato irrituale[46] o libero che, come sappiamo, ha efficacia esclusivamente negoziale, i caratteri della etero composizione sono evidenti anche se l’attuazione del lodo, pur essendo coercibile con i normali mezzi previsti per il contratto, è rimessa all’adempimento delle parti.  Il mandato che le parti conferiscono agli arbitri irrituali è un mandato per l’espletamento di una attività negoziale in sostituzione delle parti stesse [47] e non per l’esercizio di una attività giurisdizionale, come nell’arbitrato rituale, ma la decisione cui perverranno gli arbitri non è riferibile direttamente alle parti stesse  e non si può dunque parlare di auto composizione del conflitto.

Purtroppo la distinzione tra mediatore e arbitro non è sempre chiara al legislatore, come si desume anche dalla recente legge 182/2010.

Il c.d. “Collegato al Lavoro” ha abrogato l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione nelle controversie di lavoro [48], salvo che per i contratti di lavoro certificati[49], introducendo un sistema di conciliazioni/arbitrati, variamente configurato, ma che individua, negli stessi organismi, sia la figura del mediatore che quella dell’arbitro.

L’art. 410 c.p.c. novellato demanda la mediazione (il legislatore usa il termine “conciliazione”) alle commissioni di conciliazione istituite presso la Direzione provinciale del lavoro, dettando norme per la loro composizione e stabilendo che, ai fini della validità della riunione, la commissione debba essere composta dal presidente e da almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori. Già dalla lettura di queste prime norme appare chiaro che la commissione assomiglia più ad una commissione paritetica per la risoluzione della controversia, di stampo corporativo, che ad un mediatore sebbene collegiale; qualcosa di più vicino al collegio arbitrale cui è demandata, non la facilitazione del dialogo tra le parti per la soluzione del conflitto, bensì la soluzione autoritativa del conflitto. Non solo i caratteri della imparzialità sono attenutati ma, la norma, non richiede alcuna specifica competenza alla mediazione, ma solo quella, meramente tecnica, conseguente alla qualifica dei soggetti che la compongono.

Anche le norme di procedura, delineate dal nuovo art. 410, depongono più per una soluzione para giurisdizionale, che privilegia più l’ottica delle pretese che quella degli interessi delle parti.  Il co. 7 prevede, infatti, che la parte che intenda accettare la procedura di conciliazione, debba depositare presso la commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto,  nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Nell’uso della terminologia, mutuata dal processo civile, il legislatore ha inteso sottolineare l’aspetto conflittuale e attributivo della conciliazione giuslavoristica che si evidenzia nella relazione, ancor più stretta di quanto avvenga nella conciliazione ex D.Lvo 28, con il processo. Infatti, non solo la commissione dovrà obbligatoriamente formulare  la proposta  qualora la conciliazione sia fallita, a differenza dell’art. 11 co. 1 D.Lvo 28 che prevede sola la facoltà, ma, della proposta, sarà dato atto nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti ed il giudice ne terrà conto in sede di giudizio. Non solo: al ricorso depositato ai sensi dell’articolo 415 dovranno essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito.

Ben difficilmente le parti, a meno che non abbiano già raggiunto l’accordo tramite il negoziato, si siederanno al tavolo della conciliazione volontaria giuslavoristica, così formalistica, con conseguenze penetranti nel futuro processo, tale da privare di ogni libertà e spontaneità la loro condotta in mediazione.

Lo stessa commissione di conciliazione, su mandato delle parti, si trasformerà in collegio arbitrale (art. 412) che potrà decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, con lodo produttivo degli effetti di cui all’articolo 1372 e articolo 2113 quarto comma del codice civile. Il lodo sarà impugnabile, entro 30 giorni dalla sua notificazione, ai sensi dell’art. 808 ter c.p.c. (arbitrato irrituale) e sull’impugnazione deciderà in unico grado il tribunale del lavoro nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Solo dopo la consumazione del potere di impugnativa, o dopo il rigetto del ricorso, il lodo sarà dichiarato esecutivo con decreto dal giudice.

La norma delinea una sotto specie di  arbitrato irrituale sensibilmente innovando rispetto alla procedura prevista dal codice di rito circa l’efficacia del lodo irrituale che viene, in questo caso, subordinata alla non impugnazione, ai sensi dell’art. 808 ter c.p.c., da proporre nel termine breve dei 30 giorni dalla notifica del lodo. Non è invece ancora possibile (art. 31 co. 9 d.lvo 182/2010) sottoscrivere, come prevede l’art. 412 ter c.p.c., clausole compromissorie con le quali devolvere la controversia agli arbitri, invece che al giudice del lavoro, con le modalità previste dagli artt. 412 e 412 quater c.p.c.

La clausola compromissoria, che non potrà comunque prevedere la devoluzione in arbitrato delle controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro, dovrà essere certificata a pena di nullità dagli organi di certificazione previsti dall’art. 76 D.Lvo 276/2003, ma questa possibilità è subordinata a un'espressa previsione da parte degli accordi interconfederali o dei contratti collettivi. Se le organizzazioni sindacali non si attiveranno in tal senso nel termine di 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, il ministero del Lavoro darà il via libera alle clausole compromissorie con un proprio decreto, che potrà essere in seguito integrato e derogato dalla contrattazione collettiva.

In altri termini, il legislatore ha previsto la possibilità, in mancanza di accordo tra le parti sociali, di emanare d’imperio un regolamento arbitrale che amministri l’arbitrato in aggiunta a quello previsto dall’art. 412 c.p.c.

Sempre in futuro potranno essere (art. 31 co. 12  d.lvo 182 /2010) costituite camere arbitrali dagli Organi di Certificazione di cui al cit. art. 76 per la definizione ai sensi dell’art. 808ter (arbitrato irrituale) delle controversie giuslavoristiche e di quelle di cui all’art. 63 co. 1 d.lvo 276/2003 cui potrà essere demandato il tentativo di conciliazione attualmente di competenza della D.P.L.

Come se non bastasse un terzo genere di arbitrato è stato delineato dall’art. 412 quater c.p.c. che prevede la costituzione di un collegio di conciliazione e arbitrato composto da un rappresentante di ciascuna parte e da un terzo membro scelto dagli arbitri tra i professori universitari in materie giuridiche e gli

avvocati cassazionisti o, in difetto di accordo, nominato dal presidente del tribunale. I commi dal terzo al nono delineano la procedura in modo dettagliato, tale da assomigliare ad un vero e proprio regolamento per arbitrato amministrato, tant’è che il comma 11 dell’art. 412 quater, stabilisce anche i criteri percentuali per la liquidazione del compenso in favore del presidente del collegio e degli arbitri di parte, fissando anche i termini e le modalità di pagamento delle somme a tale titolo dovute dalle parti.  Anche in questo caso si tratta di arbitrato irrituale soggetto alla stessa disciplina di impugnazione ed esecutività del lodo prevista dal comma 4 dell’art. 412 c.p.c.

La previsione di camere arbitrali costituite a cura  dagli Organi di Certificazione,  si colloca nel solco di quegli interventi legislativi volti a tracciare, con una sorta di norma quadro, le linee delle procedure arbitrali la cui regolamentazione di dettaglio è poi demandata ad altri organismi.

In questa linea si inseriscono anche le regole di conciliazione e arbitrato amministrato previste dal Regolamento Consob n. 16763.

Con il D.Lvo 179 /2007 è stata prevista  la costituzione presso la Consob di una Camera di Conciliazione e Arbitrato per l'amministrazione, in conformità al  decreto, dei procedimenti di conciliazione e di arbitrato promossi per la risoluzione di controversie insorte tra gli investitori e gli intermediari per la violazione degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori,  demandando alla  Consob di definire con regolamento l'organizzazione della Camera di conciliazione e arbitrato, le modalità di nomina dei componenti dell'elenco dei conciliatori e degli arbitri,  le norme per i procedimenti di conciliazione e di arbitrato.

Il titolo III del Regolamento disciplina la conciliazione mentre l’art. 17 prevede che la Camera amministri lo svolgimento di arbitrati sulla base di una convenzione di arbitrato che richiami espressamente le norme del decreto legislativo e le disposizioni di attuazione della Consob o faccia comunque rinvio all'arbitrato amministrato dalla Camera, ovvero quando di tale arbitrato le parti facciano concorde richiesta scritta. Per espressa disposizione di legge (art. 6 D.lgs. n. 179 del 2007) la clausola compromissoria, inserita nei contratti stipulati

con gli investitori, relativi ai servizi e ad attività di investimento, compresi quelli accessori, nonché i contratti di gestione collettiva del risparmio, è vincolante solo per l’intermediario, salvo che questo non provi che sia il frutto di una trattativa diretta con l’investitore.

L’arbitrato amministrato dalla Consob è rituale e gli arbitri devono giudicare secondo diritto; una scelta diversa rispetto a quella operata dal legislatore del collegato al lavoro, dettata quest’ultima dalla peculiarità della materia lavoristica.

Il Regolamento prevede anche una forma di arbitrato semplificato (artt. 28 e seg.ti Reg.), attivabile solo dall’investitore, per le domande aventi ad oggetto il ristoro del solo danno patrimoniale sofferto in conseguenza dell’inadempimento da parte dell’intermediario degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori. Si tratta di una procedura snella, che si svolge davanti all’arbitro unico, su base documentale, con tempi rapidi sia per l’istruttoria che per la decisione e con l’esclusione del giudizio di impugnazione nel merito [50].

Il ricorso alla procedura di mediazione prevista dal Regolamento Consob, disciplinata dal titolo III del Regolamento, è sostitutivo del ricorso alla procedura di mediazione obbligatoria prevista dall’art. 5 co.1 D.Lvo 28/2010, così come lo è il procedimento istituito in attuazione dell’art. 128 bis TUB di cui al D.Lvo 1.9.1993 n. 385. Si tratta dei procedimenti instaurati dinnanzi all’ Arbitro Bancario Finanziario (cd. ABF) per le controversie relativa ai servizi bancari e finanziari. Anche in questo caso la procedura potrà essere promossa, così come per quella secondo il Regolamento Consob, solo dal cliente; l’intermediario potrà esclusivamente far ricorso alla procedura di mediazione di cui al D.Lvo. 28/2010.

La scelta di rivolgersi agli Organismi di mediazione autorizzati ai sensi del D.Lvo 28, oppure al mediatore Consob o a quello ABF non potrà prescindere dalla valutazione dell’efficacia dell’accordo di conciliazione che sarà sottoscritto al termine della procedura. Infatti, mentre il verbale di conciliazione sottoscritto al termine della mediazione ex D.Lvo 28/2010 costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, quello conclusivo della procedura ex art. 128 bis è vincolante per l’intermediario ed il cliente, ma non è in alcun modo assimilabile alla decisione del giudice, non essendo fornito dei mezzi tipici  dell’ esecuzione e il suo inadempimento da parte dell’ intermediario sarà, solamente, reso pubblico sul sito internet dell’ABF, su quello della Banca d’Italia e su due quotidiani ad ampia diffusione nazionale. Diversamente l’art.14 del Regolamento Consob n.16763 prevede che il verbale, previo accertamento della sua regolarità formale, venga omologato con decreto del presidente del tribunale nel cui circondario ha avuto luogo la conciliazione e costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale [51].

4. La scelta dell’arbitrato amministrato.

Il rapido excursus sugli  interventi legislativi che hanno delineato, seppur con diverse modalità, il favor del legislatore verso forme di risoluzione delle controversie che prevedano sia la mediazione sia l’arbitrato, autorizza a ritenere che, nel nostro ordinamento, sta acquisendo sempre maggiore rilevanza il ricorso all’arbitrato nella specifica forma dell’arbitrato amministrato, non a caso il legislatore ha previsto espressamente questa figura all’art. 832 c.p.c. novellato dall’art. 25 D.Lvo 40/2006 [52].

E’ compito di altro relatore esaminare le norme procedurali che disciplinano l’arbitrato amministrato rispetto all’arbitrato ad hoc, tuttavia preme sottolineare, per il collegamento con la disciplina della mediazione, che il co. 4 dell’art. 832 prevede che “Le istituzioni di carattere associativo, e quelle costituite per la rappresentanza degli interessi di categorie professionali non possono nominare arbitri nelle controversie che contrappongono i propri associati o appartenenti alla categoria professionale, a terzi.”, operando così una chiara scelta volta ad evitare che l’arbitrato possa essere gestito da arbitri non indipendenti. Una scelta che deve far riflettere sulla opportunità, concessa dal d.lvo 28, di rivolgersi per la mediazione ad un Organismo autorizzato, espressione di categorie professionali, cui è demandata la nomina di un mediatore da scegliere all’interno degli iscritti alla categoria per la soluzione di conflitti che coinvolgono un’appartenente al medesimo sodalizio. E’ per tale ragione, peraltro, che molti Regolamenti demandano la nomina dell’arbitro ad una autorità garante terza ed estranea agli interessi di cui l’istituzione può essere, anche indirettamente, portatrice[53], consentendo la nomina da parte dell’istituzione arbitrale  solo se previsto dalle parti[54].

Del resto, uno dei tratti distintivi e positivi dell’arbitrato amministrato è proprio quello della maggiore indipendenza e imparzialità degli arbitri rispetto all’arbitrato ad hoc oltre che il controllo sulla loro capacità professionale, accompagnato alla facilità di redazione della clausola compromissoria, al controllo della procedura arbitrale, alla predeterminazione dei costi e quindi, in una parola, alla riduzione dei casi di impugnazione.

L’acquisita rilevanza, anche sociale, dell’arbitrato è dovuta, pertanto, principalmente alla diffusione anche nel nostro Paese dell’arbitrato amministrato

inteso come  ricorso delle parti alla disciplina di regolamenti arbitrali contenenti norme formulate da istituzioni arbitrali allo scopo  di amministrare la procedura di arbitrato [55]

Il ricorso, sempre più frequente, alla previsione di clausole arbitrali per arbitrato amministrato nei contratti, spesso accompagnate dalla pattuizione dell’obbligo di preventiva mediazione (c.d. clausole multistep), corrisponde all’esigenza, sempre più sentita, di dirimere la controversia in tempi rapidi ma anche ad un costo inferiore e preventivabile rispetto a quanto avviene nell’arbitrato ad hoc.

La molteplicità delle soluzioni offerte dalle istituzioni arbitrali, oltreché le opportunità date dalle norme degli ordinamenti statali, obbligano il giurista d’impresa ad un preventivo lavoro di selezione per valutare le varie opzioni in ragione degli interessi perseguiti dal proprio assistito, soprattutto nell’ottica della fase dell’esecuzione del lodo specie laddove questa debba avvenire in ordinamenti giuridici diversi da quello domestico.

E il caso, che ricorre sempre con maggiore frequenza per l’importanza economica crescente dell’Estremo Oriente e l’infittirsi dei rapporti commerciali con questa parte del globo, delle clausole arbitrali, ad hoc o per arbitrato amministrato, da inserire nei contratti che disciplinano i rapporti commerciali con soggetti  con imprese che operano nella Repubblica Popolare Cinese, paese dove il ricorso all’arbitrato amministrato è particolarmente importante.

L’ art. 16 della Legge cinese sull’Arbitrato del 1993 stabilisce, infatti, che la convenzione arbitrale, oltre a contenere le indicazioni delle materie devolute all’ arbitro, deve indicare anche la commissione arbitrale scelta.

Per gli arbitrati interni con elementi di internazionalità [56] la legge sull’ arbitrato  individua un organismo, la Camera di Commercio Internazionale Cinese, alla quale è stato attribuito il potere di formare le Commissioni Arbitrali [57].

Al di fuori degli arbitrati domestici[58] e di quelli interni con carattere di internazionalità, saranno riconosciuti, dall’ordinamento interno in base alla convenzione di New York del 1958 sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni arbitrali [59], i lodi amministrati e ad hoc emessi da Arbitri esteri e quelli svolti in Cina in base a Regolamenti diversi da quelli riconosciuti (CEITAC) [60].

Ritornando agli arbitrati interni occorrerà distinguere tra quelli che coinvolgono interessi stranieri e quelli esclusivamente domestici, tale distinzione è rilevante perché da essa dipenderà il tipo di controllo che il giudice Cinese potrà effettuare al momento dell’ exequatur. La Legge cinese prevede per gli arbitrati che coinvolgono interessi stranieri, requisiti molto più favorevoli di quelli previsti per i lodi esclusivamente domestici [61]. Per gli arbitrati domestici, infatti, è ammesso anche il sindacato di merito.

In definitiva le scelte che si offrono al giurista di impresa sono molteplici ma molto delicate per le implicazioni che potranno comportare in sede di exequatur e poi in sede di esecuzione[62].

 

5. conclusioni.

La disamina dei vari istituti che disciplinano, nel nostro ordinamento la mediazione e l’arbitrato dimostra il crescente interesse del legislatore verso queste forme di soluzione dei conflitti, non tanto alternative quanto complementari al processo civile. Il successo di tali istituti dipenderà dalla loro conoscenza, in primo luogo da parte degli operatori del diritto che dovranno vedere, specie nella mediazione, non una sfida alla loro professionalità quanto una nuova opportunità.

Luigi Cecchini.

* Relazione tenuta al convengo organizzato dal Consiglio Notarile di Firenze il 14 marzo 2011.

                                                                                                         

                                                                                                         



[1] Si riporta il co. 1 dell’art. 5 D.lvo 28: “ Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto”.

[2] Tar del Lazio - N.R.G. 10937/2010

[3] La causa è stata discussa il 9 marzo ma la decisione è attesa per  fine mese.

[4] Lo spirito deflattivo lo si riscontra  in specie nella previsione di obbligatorietà della mediazione (art. 5 co.1) per le materie della responsabilità derivante dalla guida di veicoli e natanti, per la responsabilità medica e per la diffamazione, settori del contenzioso per i quali la finalità – che la mediazione persegue -  del mantenimento della relazione tra le parti, non esiste.

[5] Si vedano gli artt. 8, 11, 13 e 20 D.Lvo 28/2010.

[6] Relazione del Ministro Alfano sullo stato della giustizia. Legislatura 16º - Resoconto stenografico.

[7] il Censis stima una incidenza media dei costi per la giustizia sul fatturato aziendale dello 0,8% con un esborso medio annuo di 3.832 euro per azienda (ovvero una spesa complessiva per il sistema delle imprese pari a 22,9 miliardi di euro). Sito del CENSIS - Centro Studi Investimenti Sociali.

[8] On. S. Della Monica intervento Senato della Repubblica 12.1.2011.

[9] Dati desunti dalla relazione del primo presidente della Cassazione Lupo in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario 2011.

[10] Circa 40.000 procedimenti in camera di consiglio al gennaio 2011.

[11] risoluzione del 2 dicembre 2010.

[12] l’Italia, con 213.081 avvocati, 36,8 ogni diecimila abitanti è il terzo paese in Europa per numero di professionisti dietro solo al Liechtenstein, che ne ha 39, e alla Spagna, con 38,7. Un terzo più di Germania (146.910), che però ha una popolazione di 82 milioni di abitanti, e della Gran Bretagna (140.685) e più di cinque volte della Francia (47.765). Nella sola Milano, in 18 anni gli iscritti all’Albo sono passati da 4.429 a 19.569 (dati Sole 24Ore aprile 2009).

[13] Numero di magistrati ogni 100.000 abitanti: 14,8. In Italia, rispetto alla popolazione, il numero dei magistrati è lo stesso di Francia e Spagna, di poco superiore a quello del Regno Unito, ma comunque inferiore a tutti gli altri principali paesi europei e addirittura la metà rispetto al numero dei magistrati tedeschi, greci e portoghesi.

[14] Il 18.1.2011  il Ministro della Pubblica Amministrazione Brunetta, presentando assieme al Ministro Alfano il protocollo d’intesa sottoscritto con il C.S.M., ha dichiarato di essere convinto che “l’80% dei problemi della giustizia italiana sia di natura organizzativa”, aggiungendo che “all’obsolescenza delle macchine e delle tecnologie va sommata l’obsolescenza culturale delle persone”.

[15] L’Italia è il primo Paese europeo per numero di cause pendenti (3 milioni 688 mila), seguita a distanza da Francia (1 milione 165 mila) e Spagna (781 mila). Dati Sito del CENSIS - Centro Studi Investimenti Sociali 2011.

[16] da Società Libera, , 8° RAPPORTO SUL PROCESSO DI LIBERALIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ ITALIANA, Edizione Guerini e Associati, 2010  p. 37).  

[17] Se raffrontiamo il rapporto tra spesa per gli Uffici Giudicanti e PIL l’Italia registra un inquietante 0,18, ben inferiore ad una media europea dello 0,24. Del resto, nel triennio 2006-2008 la quota di bilancio statale devoluta alla Giustizia è scesa di circa il 7% a fronte di un incremento europeo del 27%. (ASSOCIAZIONE DIRIGENTI GIUSTIZIA COMUNICATO INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2011).

[18] V. la Direttiva 2008/52 CE e le Raccomandazioni e il Libro Verde dell’Unione Europea sulla diffusione dei sistemi alternativi di risoluzione delle controversie civili e commerciali.

[19] Il codice di procedura civile del 1865 dedicava alla “conciliazione e al compromesso” un intero Titolo (G. Cosi). Con l’avvento dello stato etico il predominio del processo statale prende il sopravvento tant’è che il codice di procedura  del 1942 non considera, se non marginalmente, la conciliazione.

[20] Al termine dell’assemblea del XXX Congresso nazionale forense (Genova 2010) gli avvocati hanno chiesto la cancellazione dell'obbligatorietà della mediazione o, in subordine correttivi che vanno dal rinvio alla cancellazione della norma che prevede l'annullabilità del mandato in caso di mancata informazione del cliente, fino all'obbligatorietà della difesa tecnica.

 [21]Ma anche nelle controversie agrarie, ai sensi dell’articolo 46 della legge 3 maggio 1982, n. 203.

[22] il tentativo di conciliazione rimane obbligatorio prima del giudizio per i contratti di lavoro certificati dalle apposite commissioni (di cui all'articolo 80, comma 4, della legge Biagi, D.Lvo. 276/2003 e successive modifiche e integrazioni).

[23] Altri esempi più recenti sono rappresentati dalla conciliazione obbligatoria per le controversie in materia di telecomunicazioni e di subfornitura.

[24] Lo afferma la stessa relazione illustrativa : “la mediazione consentirà di ridurre il debito giudiziario e solleverà il tribunale da un  numero elevato di cause”.

[25] La rilevabilità d’ufficio si ridurrà ad  un inutile allungamento dei tempi del processo dal momento che se le parti non hanno inteso avviare la mediazione, pur essendo state informate dai rispettivi legali, la rilevata improcedibilità ad opera dell’ufficio non potrà produrre altro effetto se non quello di provocare una formale verbale di mancato accordo e un conseguente allungamento dei tempi della causa (L. Zanuttigh, mediazione e processo civile “I Contratti, 2/2011).

[26] La Corte di Giustizia della Comunità Europea, con la decisione 18.3.2010 (cause  riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08, C-320/08) chiamata a decidere sulla legislazione italiana in materia di obbligatorietà della preventiva conciliazione “telefonica” ha ritenuto che “ Neanche i principi di equivalenza e di effettività, nonché il principio della tutela giurisdizionale effettiva, ostano ad una normativa nazionale che impone per siffatte controversie il previo esperimento di una procedura di conciliazione extragiudiziale, a condizione che tale procedura non conduca ad una decisione vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti…e sia possibile disporre di provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone”

[27] Corte Costituzionale 13.7.2000 n. 276.

[28] Corte Costituzionale 18.2.2009 n. 51.

[29] Corte Costituzionale 12.10.2007 .

[30] Per alcuni (De Tilla in Guida al Diritto marzo 2011) anche l’art. 16 D.Lvo sarebbe incostituzionale per eccesso di delega.

[31] Più oneroso appare essere il Regolamento della Camera di Conciliazione di Milano: “La parte istante al momento del deposito della domanda di conciliazione deve depositare un importo pari al 50% delle spese di conciliazione, mentre il residuo dovrà essere versato dall’altra parte al momento dell’adesione alla procedura, fermo il vincolo di solidarietà in capo all’istante”.

[32] Vi è da dire però che il Regolamento OCF prevede per le materie per le quali è prescritto il tentativo di mediazione “obbligatorio” ex art. 5 n. 1 D.Lvo 28/2010, l’obbligatorietà della presenza di un difensore nell'ipotesi in cui è prescritta l'assistenza tecnica in sede giurisdizionale - per cui le parti in tali casi non possono partecipare al procedimento se non con il ministero di un avvocato.

[33] Ci si interrogherà su cosa possa costituire giustificato motivo. Certo è che la distanza della sede della mediazione costituirà legittimo impedimento come del resto la stessa Relazione illustrativa precisa. Gli Organismi accreditati ad oggi sono 161 sparsi su tutto il territorio nazionale e non esistono regole di competenza territoriale.

[34] Cass. 14748/2007.

[35] Originariamente era previsto l’obbligo per il mediatore di formulare la proposta in caso di disaccordo.

[36] Di Tilla cit.

[37] Il Regolamento  Camera di Conciliazione di Milano prevede invece che ove le parti non raggiungano un accordo, il mediatore formula una proposta rispetto alla quale ciascuna delle parti, se la conciliazione non ha luogo, indica la propria definitiva posizione ovvero le condizioni alle quali è disposta a conciliare. Di tali posizioni il conciliatore dà atto in apposito verbale di mancata conciliazione, del quale viene rilasciata copia alle parti che la richiedano.

[38] La direttiva è riferita alle “dispute transfrontaliere” in materia civile e commerciale, tuttavia prevede che gli Stati membri applichino le previsioni in essa contenute anche ai procedimenti di mediazione nazionali, tranne che per quei diritti e obbligazioni di cui le parti non possono disporre.

[39] Art. 1 lett. b) D.Lvo 28/10: la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo”.

[40] Si rinvia anche all’esame dei “Codici Etici” allegati ai vari Regolamenti degli Organismi. V. poi art. 10 Regolamento 180 sui poteri di sospensione dalla attività dell’Organismo.

[41] Il Codice Etico uniforme approvato il 17.11.2010 dal comitato esecutivo di Unioncamere ed allegato ai Regolamenti delle Camere di Commercio prevede che “ il mediatore deve essere formato adeguatamente e si impegna a mantenere e aggiornare costantemente la propria preparazione , in particolare sulle tecniche di mediazione nella composizione dei conflitti.”.

[42] La Direttiva 2008/52 CE, l’art. 60 L.69/2010, il D.Lvo 28/2010, il D.M 180/2010, i Regolamenti dei vari Organismi che attualmente sono ben 151.

[43]Dati dal  Sito del CENSIS - Centro Studi Investimenti Sociali.

[44] Come lo definisce Bove.

[45] Un terzo genere è il negoziato che consiste in un modo “auto diretto” di “autocomposizione” del conflitto.

[46]  Per i criteri differenziatori tra arbitrato rituale e libero v. Cassazione 1 febbraio 1999 n. 833 per la quale: “I termini “controversia”,“giudizio”,“giudicare”,contenute nel patto compromissorio …, depongono per la giurisdizionalità dell’arbitrato e, quindi, per la sua “ritualità”. Pertanto, non residua dubbio, nella specie, circa il tipo di arbitrato voluto dalle parti, e non v’è, quindi, luogo per l’applicazione del criterio del favor per l’”irrituale” (criterio, da sottoporre, peraltro, a definitiva critica)”.

[47] “ L’arbitrato irrituale, infatti, comporta il mandato agli arbitri per lo svolgimento di una attività negoziale in sostituzione delle parti e non l’esercizio di una funzione di natura giurisdizionale” (v. S.U. 23.11.84 N. 6047; 06.11.84 N. 5601).

[48] Ferma restando la impugnabilità delle rinunzie e transazioni prevista dall’art. 2113 c.c. per quelle concluse al di fuori delle ipotesi legali il che avrebbe dovuto indurre a prevedere un sistema snello di certificazione del raggiunto accordo delle parti, senza necessità di instaura tre la macchinosa procedura prevista dall’art. 410 c.p.c. quando  il negoziato si è concluso positivamente.

[49] Da esperirsi presso la commissione che ha emesso l'atto di certificazione.

[50] Qualcosa di simile è previsto anche in altri regolamenti di istituzioni arbitrali, ad esempio dal Regolamento CEA (Corte Arbitrale Europea) che prevede un Mini Arbitrato Accelerato su documenti.

[51] L’art 141 comma 5 codice del consumo prevede che “il consumatore non può essere in nessun caso privato del diritto di adire il giudice competente qualunque sia l’esito della procedura di composizione extragiudiziale”. Questa disposizione sembrerebbe deporre per la non definitività dell’accordo di mediazione raggiunto innanzi la camera Consob, perché se il consumatore (intermediario, correntista, cliente) è libero di adire il giudice qualunque sia l’esito della mediazione, la disposizione che prevede l’efficacia esecutiva del verbale non avrebbe senso (L. Orlando “La mediazione nelle controversie societarie” su sito ADR Center ).

[52] V°: Convenzione europea sull’arbitrato commerciale internazionale di Ginevra del 21.4.1961, cit.

[53] E’ il caso del Regolamento dell’Associazione Giustizia Arbitrale di Firenze.

[54] Il problema della imparzialità dell’Organismo di mediazione potrà presentarsi, in particolare, per la materia della responsabilità medica, qualora le Aziende Sanitarie (o la Regione) costituiscano propri organismi , come nota I. Pagni.

[55] Oltre agli organismi istituiti dalle singole Camere di commercio, ed agli organismi societari riconosciuti dal ministero della giustizia, si contano numerosi organismi nazionali quali la Camera arbitrale per i contratti pubblici, la Camera Nazionale arbitrale in agricoltura, la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport e la Camera di conciliazione e arbitrato dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria.

[56] La giurisprudenza della Corte Suprema della RPC individua gli elementi di internazionalità quando il rapporto coinvolge o una parte straniera o interessi stranieri, quali l’ oggetto della controversia situato fuori dai confini cinesi oppure quando la costituzione, modificazione ed estinzione del rapporto giuridico è avvenuto all’ estero.

Le controversie che presentano collegamenti con Taiwan o le regioni ad autonomia speciale di Hong Kong e Macao sono considerate alla stregua di controversie internazionali, infatti ai lodi emessi in questi luoghi non viene applicata la legge nazionale cinese ma vengono applicate le varie intese tra La Corte Suprema e le singole Amministrazioni ad Autonomia Speciale che regolano il riconoscimento e l’ esecuzione delle decisioni arbitrali; per Macao è in vigore l’ intesa del 12 dicembre 2007 mentre per Hong Kong quella del 1999.

[57] Le commissioni di arbitrato che si occupano di controversie internazionali sono essenzialmente due la C.I.E.T.A.C. (China International Economic and Trade Arbitration Commission) e la C.M.A.C. (China Marine Arbitration Commission). La seconda si occupa di controversie che coinvolgono il settore  del diritto marittimo, della navigazione e dei trasporti in generale . La C.E.I.T.A.C. invece ha competenza generale sulle controversie che hanno carattere di internazionalità, come pure si occupa delle controversie che interessano le regioni ad amministrazione speciale di Macao ed Hong Kong, nonché Taiwan, infine si occupa anche di arbitrati domestici. All’ interno della C.E.I.T.A.C. è istituito una  commissione apposita, la D.N.D.R.C., acronimo di Domain Name Dispute Resolution Centre, che si occupa di controversie in materia di domini internet e proprietà intellettuale.

[58] Un problema particolarmente rilevante è dato dal fatto che le Joint Venture sono considerate dalla legge Cinese come soggetti nazionali per i quali non viene ammesso quindi il carattere di internazionalità né viene riconosciuta la deroga alla giurisdizione statale, si veda l’ Art. 244 della legge sulla procedura civile. Pertanto le controversie coinvolgenti uno di questi soggetti ed altri soggetti cinesi potrà essere decisa solo dai giudici statali, potranno però essere giudicati da arbitri i rapporti tra soci stranieri e soci cinesi della Joint Venture.

[59] Occorre precisare che per effetto di una riserva apposta alla Convenzione, la Cina riconosce solo quei lodi emessi in uno dei paesi contraenti e non anche qualsiasi lodo emesso fuori dal territorio dello Stato nel quale è richiesto il riconoscimento, come invece prevede il campo di applicazione della Convenzione.

[60] la Corte di Ningbo con un ordinanza dell’ aprile 2009 ha concesso l’esecuzione di un lodo emesso a Pechino dalla ICC motivando nel senso che il lodo non poteva considerarsi domestico secondo la legge cinese e quindi doveva essere riconosciuto in base alla Convenzione di New York.

[61] L’exequatur sarà negato, nel caso di arbitrato internazionale, solo ove :1) il lodo sia emesso in assenza di convenzione arbitrale, 2) il convenuto non abbia potuto presentare le sue difese per causa a lui non imputabile, o3)  non abbia ricevuto la notifica del procedimento o della nomina degli arbitri, 4) se non sia stato  rispettato il regolamento arbitrale,e 5)  quando il lodo abbia deciso su materie fuori dalla convenzione arbitrale, infine  6) per contrarietà del lodo agli interessi sociali e pubblici.

[62] Nel caso probabile in cui non si abbia una spontanea ottemperanza al lodo dalla parte soccombente ed esso debba essere eseguito in Cina, il creditore dovrà agire in base all’ Art. 257 della Legge di Procedura Civile per ottenere l’ esecuzione del lodo, il convenuto potrà opporsi al fine di ottenere una pronuncia di non eseguibilità dimostrando l’ esistenza di uno dei requisiti previsti dall’ Art. 258, i quali coincidono con quelli dell’ Art. 260 della vecchia Legge di Procedura Civile del 1991 che sono richiamati dall’ Art 71 della Legge di Arbitrato come motivi per i quali il giudice può emettere un ordine di non esecuzione. I tre articoli richiamati contengono tutti le stesse norme. Sennonché l’ esecuzione può essere opposta anche in base all’ Art. 63 della Legge sull’ Arbitrato il quale è dettato in maniera generica senza specificare se si applichi solo agli arbitrati domestici o anche a quelli rituali internazionali. Anche questo articolo rimanda alla Legge di Procedura Civile, precisamente all’ Art. 217, vecchio testo, che prevede i casi per i quali non potrà precedersi ad esecuzione. Questo controllo è molto intrusivo e consente di valutare persino se le prove non sono sufficienti a dimostrare i fatti, se gli arbitri abbiano commesso atti negligenza professionale per ottenere un beneficio personale e se hanno travisato la legge nel giudicato, e infine hanno commesso errori nella legge citata.