La conciliazione uno dei più duttili strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e il ruolo del suo principale garante, il conciliatore, è particolarmente delicato.  E’ utile chiarire, in premessa, che la conciliazione intesa in senso tecnico non è quella che gli avvocati delle parti pongono in essere autonomamente prima di andare in giudizio e che, magari, consente di risolvere la lite senza doversi mai presentare di fronte ad un giudice: quella, semmai, è una negoziazione che porta alla sottoscrizione di un contratto di transazione, cioè di un accordo grazie al quale le parti in lite pervengono ad un accordo ritenuto soddisfacente da entrambe.  E’ probabile che il cittadino comune si chieda perché la situazione appena descritta non si possa definire una conciliazione in senso stretto. La ragione sta nel fatto che i due avvocati dei litiganti hanno fatto a meno di un soggetto terzo ed imparziale, che facilitasse il perseguimento del loro obbiettivo e che cercasse soluzioni creative, anche al di fuori degli stretti margini dell’oggetto della controversia. Per dirlo in altre parole, dunque, la conciliazione non è un contratto, bensì un procedimento informale in cui è indispensabile la presenza di un conciliatore, che aiuti le parti a risolvere la loro lite con un accordo, non importa se formalizzato oppure no. All’esito di una conciliazione, infatti, l’accordo può consistere nella sottoscrizione di un contratto, oppure in qualsiasi altro atto, anche simbolico e privo di valore economico (per esempio: le scuse di una parte all’altra o una semplice stretta di mano). E dunque, chi è il conciliatore? Sappiamo già che non è un giudice, perché non solo non siede in un’aula di tribunale, ma neppure “decide” l’esito della controversia. Nel corso di una conciliazione, infatti – è utile ricordarlo – la volontà delle parti è sovrana e in nessun modo viene mai ad essere sacrificata in nome di un superiore potere decisionale altrui. A riprova del fatto che non vi è alcuna somiglianza fra il giudice e il conciliatore, si sappia che non è neppure necessario che il conciliatore possieda una laurea in giurisprudenza. La comune esperienza, però, insegna che avere una solida cultura legale è titolo preferenziale per svolgere un’efficace attività di conciliazione, non fosse altro che per comprendere meglio i risvolti giuridici di ogni singolo caso e pervenire così ad una migliore comprensione delle dinamiche sottese allo stesso. Ad ogni modo, la definizione più calzante è quella che descrive il conciliatore come supervisore della lite: egli è in effetti un soggetto super partes, quindi perfettamente imparziale, ma osservatore acuto di tutti gli elementi, più o meno evidenti, che caratterizzano il conflitto. 
Sono attività irrinunciabili del conciliatore: L’ASCOLTO ATTIVO: un buon conciliatore ascolta le rimostranze delle parti usando l’empatia, conquista la fiducia di tutti i soggetti coinvolti e presta grande attenzione ai dettagli della comunicazione, specialmente a quelli non verbali e paraverbali, allo scopo di aiutare i litiganti a superare la barriera legata all’impostazione tipicamente emotiva del conflitto.  Il conciliatore, pertanto, non deve mancare di franchezza, onestà ed apertura mentale, che siano tali da consentirgli di sospendere il proprio giudizio sulle persone che si trovano davanti a lui, veicolandone così la comunicazione in modo tale da indurle a valorizzare i propri interessi compatibili e confluenti, nella ricerca di una soluzione bonaria della controversiaLO STUDIO DEI FILTRI COGNITIVI: uno dei compiti più difficili cui il conciliatore deve attendere è il chiarimento dei bisogni che stanno dietro alle pretese, che fondano le confliggenti richieste delle parti. Per riuscire ad esplorare l’eventualità di soluzioni alternative alla controversia, infatti, il conciliatore dev’essere in grado di decodificare i filtri cognitivi di ciascun litigante: solo così sarà in grado di arrivare ad esplorarne i bisogni, le paure e le aspettative. I filtri cognitivi di una persona, sono costituiti dalla sua singolare percezione della realtà, dalle sue attitudini personali, la sua cultura di appartenenza, le tradizioni della sua famiglia, i suoi valori personali, la sua modalità di gestire le emozioni e, in generale, i suoi schemi percettivi. Com’è semplice comprendere, ciò che orienta le scelte di ogni persona sono proprio i filtri cognitivi di cui è inconsciamente portatrice. In un normale processo, le parti attraverso i propri difensori danno voce alle rispettive pretese nascondendo (più o meno consapevolmente) i reali bisogni che segretamente le hanno spinte ad agire in giudizio. Davanti ad un conciliatore, normalmente le parti tendono inizialmente a tenere lo stesso tipo di comportamento che avrebbero in un tribunale: si presentano con una “posizione” iniziale, sulla quale sono letteralmente ancorate. Una volta compresi i filtri cognitivi di ciascuna parte, il conciliatore è in grado di aiutare i protagonisti del conflitto ad esplorare insieme a loro alcuni obiettivi rispondenti ai loro bisogni: le varie soluzioni alternative al conflitto, prendono tecnicamente il nome di opzioniLA FACILITAZIONE DEL NEGOZIATO: una volta ideate le opzioni, il conciliatore promuove l’incontro fra le parti evidenziando le aree di accordo fra loro e sottolineando la presenza di interessi che in realtà accomunano gli antagonisti. Per riuscire in questa operazione senza correre il rischio di sembrare “schierato” per una o l’altra parte, il conciliatore dev’essere dotato di un ottimo bagaglio comunicativo e padroneggiare le tecniche della negoziazione. Seppure alcune doti di un conciliatore debbano necessariamente essere innate, molte abilità supplementari possono essere acquisite attraverso un’appropriata formazione specialistica. Il conciliatore guida la discussione facendo sì che le parti si attengano alle regole precedentemente concordate (per esempio: moderare il tono della voce, lasciare che l’altro concluda il proprio pensiero prima di prendere la parola…) e le aiuta così a negoziare direttamente fra loro, gestendone la conflittualità e le resistenze emotive. In concreto, l’attività di un conciliatore non è affatto dissimile da quella di un mediatore. L’esigenza di intervenire in ambiti di maggiore delicatezza come quello sociale, familiare e penale, in cui è largamente prevalente l’uso dello strumento della mediazione, comporta che il mediatore sia ancora più preparato alla gestione delle dinamiche interpersonali che implicano grande coinvolgimento emozionale.  LA VERIFICA SULL’ACCORDO: quando le parti si sono accordate, al conciliatore spetta di assicurarsi che i potenziali impegni di ciascuno siano stati redatti a regola d’arte. Infine, per evitare che il clima di collaborazione fra gli antagonisti torni a deteriorarsi rapidamente, è bene che il conciliatore verifichi che ciascuna parte abbia compreso le conseguenze dell’aver aderito alla proposta fatta e sia effettivamente convinta che il trattare e il pervenire ad un accordo con la propria controparte in conciliazione sia migliore di qualsiasi possibile alternativa residua.