Oggigiorno capita di frequente che alla televisione o sui giornali vengano citate le “A.D.R.”, alle quali spesso si accompagnano aggettivi qualificativi di connotazione estremamente positiva. Per coloro che appartengono ad un mondo estraneo alla tecnica del diritto, tuttavia, la mera citazione della sigla “A.D.R.” non solo non è di per sé in grado di generare alcun entusiasmo, ma neppure risulta comprensibile. Perché tanti elogi si spiegano intorno a queste fantomatiche e un po’ misteriose tecniche di risoluzione dei conflitti? Vediamo ora di analizzarne insieme il senso e la portata. Com’è facile intuire, “A.D.R.” è un acronimo. L’originaria formulazione della sigla deve ricondursi all’espressione inglese “Alternative Dispute Resolutions, che potremmo correttamente tradurre come “Tecniche di risoluzione alternativa delle dispute”. L’origine del fenomeno risale alla metà degli anni Settanta e va localizzata nell’area statunitense, dove alcuni illustri studiosi hanno teorizzato per primi una serie di metodologie per risolvere i contenziosi, da utilizzare in alternativa ai percorsi legali classici di soluzione delle controversie nell’ambito del diritto civile.  L’esigenza di fondo che aveva indotto gli studiosi ad esplorare le vie innovative della giustizia alternativa era dettata dalla necessità di fare fronte ad un sistema tradizionale di gestione dei conflitti in cui i procedimenti giudiziari erano eccessivamente costosi ed estremamente lenti, ma soprattutto erano incapaci di garantire una buona soglia di riservatezza alle parti in causa. Tutti problemi che, purtroppo, sono noti anche alla cultura giuridica del nostro continente. L’esperienza nordamericana ha lentamente ed inesorabilmente sancito il successo di queste nuove tecniche integrative del sistema giudiziario: senza entrare in antinomia con i processi praticati nelle aule dei tribunali,  le A.D.R. si sono affermate grazie alla loro capacità di facilitare, completare e predisporre concretamente al meglio il funzionamento della giustizia statale.  La diffusione delle A.D.R. si è quindi propagata in Europa, giungendo finalmente a trovare terreno fertile anche in Italia, dove i mass media prima e le istituzioni poi hanno attuato (e tuttora stanno attuando) una campagna di sensibilizzazione rivolta essenzialmente ai cittadini e ai primi fruitori del diritto, come i giudici e gli avvocati. Il buon funzionamento delle A.D.R. è legato in modo inscindibile alla conoscenza delle tecniche della negoziazione, il cui studio deve molto all’attività di ricerca svolta da giurisiti eccellenti come Roger Fisher, William Ury e Bruce Patton che, all’Università di Harvard negli Stati Uniti, hanno attivato lo “Harvard Negotiation Project”. Le tecniche di risoluzione alternativa delle controversie, infatti, hanno come scopo precipuo quello di far pervenire le parti litiganti ad un accordo capace di lasciarle entrambe soddisfatte: tale obiettivo non potrebbe essere raggiunto senza il ricorso ad una gestione ponderata ed auto-consapevole del negoziato, cioè delle trattative che progressivamente dipanano il conflitto e lo rendono sempre meno acuto, fino a risolverlo.  Le tre tecniche di gestione del conflitto che classicamente si fanno rientrare nel novero delle A.D.R. sono l’arbitrato, la mediazione e la conciliazione. Le parti in lite che desiderano fare ricorso ad uno strumento di giustizia “alternativa”, possono scegliere fra le tre opzioni quella che più si conforma alle loro aspettative. In altra sede analizzeremo approfonditamente ciascuna di questa forme di risoluzione delle controversie. E’ però interessante ricostruire sin da ora lo schema delle caratteristiche distintive delle tre principali A.D.R. per non incorrere in confusioni terminologiche. L’ARBITRATO è una procedura formale, che segue un rito schematicamente predeterminato nel corso del quale un soggetto terzo e imparziale, che riveste il ruolo di arbitro, trova una soluzione per il conflitto dopo aver valutato le opposte argomentazioni delle parti. La decisione che viene presa dall’arbitro ha effetti obbligatori per le parti e prende il nome di lodo. La procedura in cui si articola un arbitrato, ovviamente, non coincide esattamente con la struttura di un processo. Allo stesso modo, il lodo non ha effetti giuridici perfettamente identici a quelli di una sentenza. Semplificando, però, è possibile affermare che fra tutte le A.D.R. l’arbitrato è la tecnica che meno si discosta dal classico processo in tribunale, perché l’arbitro, proprio come il giudice, interviene per risolvere il conflitto facendo uso di un potere di decisione vincolante. LA MEDIAZIONE è una procedura informale, che al pari dell’arbitrato si svolge davanti ad uno o più terzi imparziali (i mediatori) e tuttavia ha il pregio di restituire alle parti la responsabilità delle proprie decisioni: il compito del mediatore infatti non è quello di valutare i torti e le ragioni dei litiganti, bensì quello di aiutarli a riattivare fra loro un dialogo interrotto, mediante l’utilizzo delle proprie abilità relazionali. Elemento imprescindibile della mediazione è la libera e volontaria adesione dei confliggenti alla procedura. Grazie alla sua struttura, ispirata da un principio di assoluta non-coercitività, la mediazione è uno strumento che si presta in modo eccellente alla gestione dei conflitti che toccano le corde più sensibili dell’animo umano. E’ particolarmente efficace nel campo sociale, nel settore del diritto di famiglia e del diritto penale (area, quest’ultima, nella quale la mediazione riveste un’importante ed innovativa funzione promotrice della cosiddetta giustizia riparativa). Il mediatore terzo ed imparziale non ha alcun potere decisionale, ma svolge il ruolo del “facilitatore” che accompagna le parti lungo un percorso comune, verso la ricerca cooperativa della soluzione alla controversia. LA CONCILIAZIONE è una procedura semi-formale, che segue una serie di fasi prestabilite senza però essere “ingabbiata” entro gli stretti limiti e le rigide scadenze temporali che normalmente sono imposte dai riti processuali o arbitrali. Con la conciliazione le parti tentano di avvicinare i loro punti di vista per trovare una soluzione al conflitto che le oppone: per ottenere questo scopo fanno ricorso all’autorevolezza di un terzo imparziale, che riveste il ruolo di conciliatore ed è una figura pubblica, dotata di competenze tali da guidare le parti verso la risoluzione del conflitto mediante il rispetto di una serie di norme comportamentali da lui prefissate (ad esempio: ciascuna parte deve attendere che il conciliatore le dia la parola prima di esporre il proprio punto di vista; gli avvocati presenti alla seduta di conciliazione devono parlare solo dopo che i loro clienti si saranno espressi personalmente, ecc.). In pratica, comunque, c’è grande affinità fra la mediazione e la conciliazione. Di fatto, le due procedure tendono ad essere confuse fra loro ed è frequente che, nella prassi, gli organismi specializzati in tecniche A.D.R. propongano modelli procedurali border-line fra mediazione e conciliazione, in cui alcune caratteristiche dell’una si sovrappongono a quelle dell’altra.  Vista la definizione delle A.D.R. e descritto schematicamente il funzionamento delle tre tecniche di base, per il comune cittadino non è comunque facile immaginare il concreto svolgimento di una procedura di risoluzione alternativa del conflitto. Le peculiarità di ogni singolo caso e l’estrema duttilità delle A.D.R. non consentono di formulare una descrizione generalizzante.  E’ certo, tuttavia, che riservatezza, autonomia, celerità ed economicità sono caratteristiche che tipicamente accomunano tutte le procedure di A.D.R., rendendole spesso preferibili alle vie proposte dalla giustizia ordinaria. Sulla scorta di quest’ultimo rilievo, è quindi possibile delineare in sintesi le condizioni al ricorrere delle quali è consigliabile che le parti si orientino verso la risoluzione alternativa della loro disputa:  1)       i litiganti vogliono ridurre al minino le spese processuali e desiderano risolvere la controversia in modo rapido; 2)       le parti intendono mantenere segreta la procedura e desiderano che l’accordo tra loro raggiunto sia coperto da riservatezza; 3)       le parti vogliono minimizzare l’impatto negativo che la controversia potrebbe avere sui loro rapporti interpersonali (per esempio, nelle liti fra colleghi di lavoro); 4)       esistono difficoltà legate ad incapacità o impossibilità di comunicazione fra le parti.