La materia condominiale è particolare, perché a differenza del resto del diritto civile, che è regolato dalle norme del codice e dalla legislazione, quello condominiale sembra quasi essere un enclave improntato al “common low” anglosassone all’interno del nostro ordinamento.
Infatti, essendo la materia condominiale basata sulla superata normativa codicistica, ossia su regole dettate per un istituto che, all’epoca della normazione del codice, era embrionale.
Nell’attesa che il legislatore adegui le norme ai tempi, la Magistratura ha dovuto supplire con interventi che hanno tentato di “riscrivere” le regole/norme.
Per tale motivo ritengo che, in materia condominiale, sembra che l’ordinamento italiano ammetta un sistema quasi di “common low”, ossia basato sui precedenti giurisprudenziali più che su codici e Leggi.
Infatti, molti argomenti sono stati oggetto di mutamento di orientamento anche solo negli ultimi anni (possibilità di modifica delle tabelle millesimali “a maggioranza” e non all’unanimità o alla “vexata questio” della parziarietà e solidarietà su cui si dibatte praticamente da sempre, e che vede il prevalere alternativo dei “seguaci” del Branca e del Salis ad ogni cambio di composizione della Suprema Corte).
In relazione al procedimento di mediazione, il problema preliminare è quello di stabilire se l’amministratore sia legittimato – senza il preventivo consenso dell’assemblea – a decidere se partecipare o meno al procedimento di mediazione e, in caso ritenga di dovervi partecipare, se debba essere assistito.
Sul punto è bene ricordare che un argomento del quale si dibatte da tempo è quello del potere dell’amministratore di conferire mandato ad un legale per rappresentare il condominio in giudizio.
Per un lungo periodo dottrina e giurisprudenza ritenevano – sulla base di una interpretazione estensiva dell’art. 1131 del codice civile – che l’amministratore fosse legittimato, anche senza il preventivo consenso dell’assemblea condominiale, a poter “resistere” in giudizio ed a proporre azioni a difesa delle parti comuni (ossia nei limiti dell’art. 1130 n. 4), salvo poi la ratifica successiva dell’assemblea condominiale; mentre per le liti “attive” era necessario il preventivo consenso dell’assemblea dei condomini.
Poi un orientamento diverso e migliore ha preso piede sulla base di alcune lungimiranti pronunzie, sia di merito, che di legittimità. In particolare si evidenzia quanto stabilito sul punto dalla Cassazione nel 2004, con Sentenza n. 22294, pronunciata il 26 Novembre 2004, che ha ritenuto che il convincimento in ordine alla sussistenza di una generale legittimazione passiva dell'amministratore trovi il suo fondamento in una erronea interpretazione degli artt. 1131 commi I e II c.c., alla stregua del quale se l'amministratore può risultare destinatario della notificazione di qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio da ciò discenderebbe l'illimitatezza dei suoi poteri rappresentativi processuali dal lato passivo e, pertanto, ha statuito che: "Il collegio ritiene di non condividere tale orientamento, in quanto basato su una interpretazione dell'art. 1131, secondo comma, cod. civ. che non tiene conto della ratio ispiratrice di tale norma, la quale è diretta a favorire il terzo il quale voglia iniziare un giudizio nei confronti del condominio, consentendogli, invece di citare tutti i condomini, di notificare la citazione all'amministratore. Nulla, invece, nella norma in questione giustifica la conclusione secondo la quale l'amministratore sarebbe anche autorizzato a resistere in giudizio senza essere a tanto autorizzato dall'assemblea. Una volta chiarito tale punto, va rilevato che, in considerazione del fatto che la c. d. autorizzazione della assemblea a resistere in giudizio in sostanza non è che un mandato all'amministratore a conferire la procura ad litem al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, per cui, in definitiva, l'amministratore non svolge che una funzione di mero nuncius .".
Sul punto è intervenuta anche la dottrina che ha notato che: "l'autorizzazione dell'assemblea a resistere si pone quale condicio sine qua non affinchè l'amministratore, nella propria veste di mandatario, possa conferire il mandato difensivo ad un legale e sottoscrivere la relativa procura alle liti. In mancanza, non potrà che concludersi - e salva la facoltà del Giudice di disporre l'integrazione delle necessarie autorizzazioni, ex art. 182 cod. proc. civ. - per l'inammissibilità della costituzione in giudizio del condominio e la declaratoria di contumacia dello stesso".
Ed ancora "i condomini si vedono involontariamente coinvolti in un giudizio, senza neppure essere a conoscenza degli atti di causa - addirittura condividendo le motivazioni sottese alla lite .- e salvo essere posti, solo in un secondo momento e a "giochi fatti", di fronte all'alternativa tra la ratifica, da un lato, di una nomina già effettuata “motu proprio” dall'amministratore e la scelta, dall'altro, di un legale di fiducia del condominio, ovvero, di dissentire rispetto alla lite, con duplicazione, nel primo caso, di esborsi, ovvero, nella seconda ipotesi ed in caso di vittoria, con possibile sostenimento di spese non volute". Conforme la migliore Magistratura di merito: legittimazione processuale, donde discende l’irritualità della costituzione del rapporto processuale e, per l’effetto, l’inammissibilità della costituzione in giudizio del condominio”: Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Torre del Greco, Sentenza 19 Ottobre 2006.
E' concorde sul punto anche la giurisprudenza amministrativa che ha ritenuto che fosse "inammissibile l'atto di intervento in giudizio di un condominio ove la deliberazione assembleare con cui è stato ratificato l'intervento risalga a epoca successiva alla notifica dell'atto di intervento stesso" (T.A.R. Lombardia Milano, 4. Luglio 2002, n. 3115), ovvero che "l'amministratore di condominio non è legittimato a impugnare -in difetto di delibera dell'assemblea dei condomini- il provvedimento sindacale contingibile e urgente adottato nei confronti del condominio" (Cons. Stato, 21 Luglio 1988, n. 478).
Questa corretta interpretazione è stata poi confermata anche dalla Cassazione nel 2006 (Sentenza della II Sezione Civile del 25 Gennaio 2006, n. 1446) che ha espressamente statuito commentando la ratio dell'art. 1131, secondo comma che: "Nulla, contemporaneamente, nella stessa norma, giustifica la conclusione secondo cui l'amministratore sarebbe anche legittimato a resistere in giudizio senza essere a tanto autorizzato dall'assemblea. Considerato, inoltre, che la cosiddetta autorizzazione dell'assemblea a resistere in giudizio in sostanza non è che un mandato d'amministratore a conferire la “procura ad litem” al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, in definitiva, l'amministratore non svolge che una funzione di mero “nuncius" e che, pertanto, è inammissibile l'azione proposta dall'amministratore "senza espressa autorizzazione della assemblea.".
Sul punto è poi intervenuta nuovamente la Suprema Corte con una pronunzia, a Sezioni Unite, (la Sentenza n. 18331 del 6 agosto 2010) che ha specificamente statuito che: "Sulla questione sottoposta all'esame di queste Sezioni Unite esistono nella giurisprudenza di legittimità due diversi orientamenti: il primo maggioritario afferma che l'amministratore può costituirsi nel giudizio promosso nei confronti del condominio e può impugnare la sentenza sfavorevole al condominio pur se a tanto non autorizzato dall'assemblea condominiale; il secondo minoritario sostiene, invece, che in assenza di tale deliberazione assembleare l'amministratore e' privo di legittimazione a costituirsi e ad impugnare. ...... Alla luce delle considerazioni svolte va enunciato il seguente principio di diritto: "L'amministratore di condominio, in base al disposto dell'art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall'assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione".
Per contro l’opposta teoria tradizionale ha trovato nuova linfa da una ultima e recentissima Cassazione (Sentenza del 23.8.2011 n. 17577) che ha statuito “in tema di controversie condominiali, la legittimazione dell'amministratore del condominio, dal lato attivo coincide con i limiti delle sue attribuzioni, mentre dal lato passivo, non incontra limiti e sussiste in ordine ad ogni azione concernente le parti comuni dell'edificio”.
In seno a tale problematica era interessante stabilire l’efficacia processuale di una delibera successiva che avesse ratificato l’operato dell’amministratore inizialmente sprovvisto del mandato assembleare.
Sul punto si era più volte espressa la giurisprudenza statuendo ad esempio che “Il conferimento da parte dell'assemblea condominiale all'amministratore del condominio del potere di stare in giudizio in una controversia non rientrante tra quelle che può autonomamente proporre ai sensi del primo comma dell'art. 1131 cod. civ. può sopravvenire utilmente, con effetto sanante, dopo la proposizione dell'azione.”: Cassazione del 13.12.2006 Sentenza n. 26689 (in rigetto, all’App. Torino del 31.12.2002).
Va segnalato che, in sede processuale, altri ritenevano comunque, preliminarmente, che, il terzo non potesse eccepire il superamento dei poteri dell'amministratore, essendo i limiti degli artt. 1130 e 1131 c.c. posti a salvaguardia esclusiva dei diritti dei condomini (Cass. Sez. II 20 Febbraio 1997, n. 1559); ed infatti questi ultimi, possono sempre ratificare l'operato dell'amministratore (Milano, 20 Novembre 1998).
E ciò sulla base della considerazione che la procura ad litem, rilasciata dalla parte processuale al suo difensore ai sensi dell’art. 83 c.p.c., lungi dal costituire un atto processuale è un negozio giuridico rientrante nell’istituto della rappresentanza e che pertanto a tale figura si applica una disciplina speciale data dall’insieme delle disposizioni contenute nel codice di procedura civile (artt. 83 c.p.c.) e da quelle contenute nel Libro IV, Capo VI del Codice Civile riguardanti la rappresentanza; e poiché l’art. 83 c.p.c. non si pronunzia in alcun modo sugli effetti della procura successiva si devono, quindi, analizzare le disposizioni generali del diritto civile e processuale vigente; in proposito dal combinato disposto degli articoli 1398 e 1399 c.c. emerge la possibilità del rappresentato di ratificare l’opera di chi ha agito in nome e per conto di altri senza averne i poteri; e nel caso in questione tale fattispecie è comunque di gran lunga di gravità minore posto che il mandato è comunque sottoscritto dall’amministratore di condominio, ossia dal legale rappresentante dell’ente condominiale e non ad esempio da un falsus procurator ; sul punto si è espressa la Suprema Corte proprio che, in merito agli effetti della procura ad litem sul rappresentato, ha stabilito che: “Ai fini del valido conferimento della procura rilasciata a margine dell’atto di citazione non è necessario che esso sia contestuale o successivo alla redazione della citazione, non essendo richiesta a pena di nullità la dimostrazione della volontà della parte di fare proprio il contenuto dell’atto nel momento stesso della sua formazione o ex post” (Cass. 8904/94); e, quanto agli effetti sananti della ratifica, basta ricollegarsi a quanto statuito dall’art. 1399 c.c.
Tale interessante problematica processuale – anche in riferimento ad un’eventuale eccezione di difetto di jus postulandi sollevata tempestivamente in relazione non solo al disposto dell’art. 163 n. 5 c.p.c. ma, anche, alla normativa sulle preclusioni alle attività difensive come novellata dalla riforma del codice di rito del 2005 – è di fatto stata “sterilizzata” dalla riforma dell’art. 182 c.p.c. (come riscritto dall’art. 46 comma II della legge n. 69 del 18 giugno 2009) che ha rafforzato il potere del giudice di poter invitare le parti a sanare la posizione processuale mediante il deposito di atti e documenti.
Sembrerebbe che la produzione documentale sanante non incontri limiti preclusivi proprio a norma del disposto dell’art. 182 c.p.c. novellato, in forza del quale l’autorizzazione del Condominio sarebbe potuta addirittura sopravvenire dopo l’instaurazione del giudizio con efficacia sanante ex nunc (in “Sanabilità dei vizi afferenti alla validità della procura”, scritto presentato al seminario di formazione professionale tenuto dall’Ordine degli avvocati di Catanzaro del 14 Luglio 2009, dal titolo “Prime riflessioni sulla novella al codice di procedura civile”).
Ciò posto la giurisprudenza si è sempre orientata per il difetto di legittimazione in caso di mancanza di mandato per le cause “attive” (Tribunale di Napoli – IV Sezione civile, Sentenza n. 7510/2010 del 1.7.2010 nella quale nel rigettare le vane istanze del condominio il giudice ha espressamente statuito che poiché il mandato condominiale “… non risulta essere stato conferito per procedere alla proposizione della domanda giudiziale nei confronti … ” … “dichiara inammissibile la domanda proposta dal condominio sito in … in persona dell’amministratore pro tempore …”.; parimenti ha sanzionato il difetto di “jus postulandi”, acclarandone anche la nullità dell’azione proposta il Tribunale di Napoli, III sezione civile del 18.3.2011, che ha statuito che “il ricorso introduttivo del presente giudizio deve ritenersi nullo” poiché “secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, inoltre, il difetto di legittimazione processuale dell’amministratore di un condominio, attenendo alla legittimità del contraddittorio, nonché alla validità della sua costituzione, determina la nullità degli atti processuali compiuti ed è rilevabile anche d’ufficio (Corte di Cassazione sentenza n. 1926/1997). Pertanto nel caso in esame la procura doveva essere rilasciata da una persona della quale fosse non solo dichiarata, ma anche dimostrata la qualità di titolare del potere rappresentativo sulla base di una specifica delibera o del regolamento condominiale, che non risultano, invece, prodotti in giudizio. Sul punto la Corte di Cassazione ha precisato che “in tema di condominio di edifici colui che agisce in giudizio in nome del condominio deve dare la prova, in caso di contestazione, della veste di amministratore e quando la causa esorbita dai limiti di attribuzione dell’art. 1130 cod. civ., di essere autorizzato a promuovere l'azione contro i singoli condomini o terzi. Tale onere probatorio è da ritenersi assolto con la produzione della delibera dell'assemblea condominiale dalla quale risulti che egli è l'amministratore e che gli è stato conferito mandato a promuovere l'azione giudiziaria”. (Corte di Cassazione sentenze n. 8520/2003, n. 13164/2001, 6697/1991).” e quindi “in conclusione il ricorso deve ritenersi nullo” e “P.Q.M. il Tribunale … dichiara la nullità del ricorso introduttivo del presente giudizio.”.
Fatta tale necessaria premessa processuale si può passare ad analizzare quali siano le facoltà dell’amministratore di poter decidere se intervenire ad una procedura di mediazione.
La soluzione a tale problematica non è assolutamente scontata né univoca.
Ed infatti, proprio per quanto sopra esposto in relazione alle problematiche processuali, non si può considerare automatica la legittimazione dell’amministratore in materia di mediazione.
Concettualmente la mediazione tramite amministratore di condominio è fortemente “depotenziata” rispetto a quella tradizionale, posto che la partecipazione dell’amministratore alla conciliazione postula, come necessario presupposto, l’assenza dei condomini (che sono la parte interessata in quanto titolari dei diritti oggetto del futuro eventuale processo, dato che il condominio è comunque un ente di gestione); il mediatore infatti ha, tra le varie funzioni, quella di chiarire alle parti quali possano essere le eventuali possibili soluzioni e ciò anche indipendentemente dall’eventuale esito processuale o dalle ragioni giuridiche delle parti.
All’uopo non soccorre la novella “punitiva” in materia di mediazione (art. articolo 8, comma 5, decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28) che, anzi, acuisce solo le eventuali responsabilità dell’amministratore, posto che, per tale norma, il giudice adìto condanna, con ordinanza non impugnabile pronunciata d’ufficio alla prima udienza, la parte costituita che non ha partecipato al procedimento di “mediazione obbligatoria” senza giustificato motivo al versamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per giudizio. E, d’altra parte, i termini necessariamente ristretti che intercorrono tra la convocazione e la seduta di mediazione (e l’informativa spesso lacunosa dell’oggetto della mediazione) con quasi certezza impediranno la preventiva convocazione di un’assemblea di condominio, che fornisca all’Amministratore le necessarie indicazioni su come comportarsi rispetto al procedimento di mediazione.
La posizione dell’amministratore è perciò assolutamente “scomoda”. Ed infatti, tale nuova normativa pone all'amministratore un ristretto ventaglio di possibili scelte, nessuna delle quali sicura e/o corretta. Mentre, infatti, pare consolidato l’orientamento che ritiene che rientri nell’ambito delle facoltà dell’amministratore quella di sottoscrivere l’informativa relativa alla possibilità di avvalersi della mediazione, non altrettanto chiara e concorde è la dottrina sulla possibilità dell’amministratore di essere parte del procedimento di mediazione senza il preventivo assenso dell’assemblea condominiale.
Per quel che concerne la procedura di mediazione obbligatoria, pertanto, qualsiasi scelta operata dall’amministratore, sebbene in buona fede e nell’esclusivo interesse del condominio, potrebbe - in astratto - essere oggetto di critica dal condominio (o da alcuni condomini).
A titolo meramente esemplificativo, se vi è una comunicazione di un invito in mediazione per una richiesta di risarcimento danni da infiltrazioni l'amministratore può:
1. non aderire;
2. aderire ed andare da solo in mediazione;
3. aderire ed andare accompagnato da un legale;
4. aderire ed andare accompagnato da un legale e con l'ausilio di un perito (es. ingegnere).
Qualsiasi di queste scelte comporta una assunzione di responsabilità in quanto:
1. se da una parte chiedere l'ausilio di un consulente (legale e tecnico) impone un onere economico;
2. il non andare o l'andare senza consulente può produrre effetti negativi (processuali o sull'esito della mediazione).
Ad esempio l’ipotesi in cui l’eventuale successivo procedimento rientri nelle competenze dell’amministratore (e che, quindi, tale fattispecie non richieda il preventivo assenso assembleare), lo stesso amministratore sarà tenuto a promuovere l’azione giudiziaria ed a conferire mandato (ad esempio in materia di difesa delle parti comuni), altrimenti potrebbe essere citato in giudizio per rispondere dei danni; ma come deve comportarsi l’amministratore in caso di invito comunicato al condominio come parte di un procedimento di mediazione ?
E in tale caso l’assicurazione professionale dell’amministratore “coprirà” le eventuali scelte “sbagliate” (o comunque non condivise/ratificate dal condominio) pre-processuali (es. mancata partecipazione alla mediazione) che però non solo hanno conseguenze processuali (es. ex II comma art. 116 c.p.c.) o economiche (condanna, ex art. articolo 8, comma 5, d.l. 4.3.2010, n. 28, al pagamento del contributo unificato)?
L’amministratore, in caso di ricevimento di atto di un invito al procedimento in mediazione, potrebbe inviare una comunicazione all’ente di conciliazione per richiedere di posticipare il primo incontro in modo da avere il tempo di convocare l’assemblea, ma - indipendentemente dall’esito di tale richiesta - il problema potrebbe anche non essere risolto posto che l’assemblea potrebbe anche non deliberare (es. andare “deserta”).
Onde evitare l’inconveniente segnalato, riterrei opportuno che, ancor prima della prossima entrata in vigore della normativa in esame (e comunque prima che giungano gli “inviti” per le future procedure di mediazione), venga convocata dall’Amministratore una assemblea di Condominio con uno specifico punto all'o.d.g. che metta l'assemblea nelle condizioni di scegliere, preventivamente, come indirizzare l’operato dell’amministratore ed in tal modo esoneri l’amministratore dal dover decidere assumendosi la responsabilità della scelta.
Uno schema base del punto da inserire nell'o.d.g. potrebbe essere il seguente:
Mediazione ex D.Lgs. n. 28/2010: entrata in vigore del tentativo obbligatorio di mediazione in materia condominiale dal marzo 2012. Eventuali delibere in merito alla preventiva autorizzazione all'amministratore pro tempore del condominio a partecipare al procedimento di mediazione. Eventuale delibera di autorizzazione preventiva all'amministratore a conferire mandato ad un avvocato per l’assistenza e la consulenza in sede di mediazione ed anche eventualmente in sede giudiziaria in caso di mancata conciliazione. Eventuale delibera di autorizzazione preventiva all'amministratore per conferire l'incarico ad un perito/tecnico per l’assistenza e la consulenza in sede di mediazione ove la materia lo richieda.”.
La delibera dovrebbe poi dare istruzioni anche in riferimento alle varie possibili ipotesi di argomenti oggetto della mediazione (come nell’esempio del danno da infiltrazioni deve essere chiarito se l’amministratore deve aderire alla mediazione e se deve essere assistito da un legale e da un perito).
E’utile tale discussione preventiva in seno all’assemblea anche se poi, chiaramente, ove, in sede di mediazione, si prospetti una concreta ipotesi di conciliazione, l’amministratore dovrà comunque convocare nuovamente l’assemblea ponendo all’o.d.g. i termini precisi della eventuale proposta; in questo caso, se l’assemblea deliberasse di accettare la proposta, tale proposta dovrà essere integralmente recepita – ossia negli stessi termini della delibera condominiale – nel verbale di conciliazione.
Altro problema si porrebbe nel caso in cui la proposta fosse dall’assemblea deliberata, ma con quorum insufficienti. A mio avviso, in caso di mancata impugnazione, l’amministratore dovrebbe comunque procedere a sottoscrivere il verbale di conciliazione. Più problematica sarebbe la posizione dell’amministratore in caso di impugnativa posto che, fino all’eventuale sospensione e/o annullamento, l’amministratore sarebbe comunque tenuto ad eseguire il deliberato, ma le conseguenza giuridiche – a lungo termine posti i tempi della giustizia – dell’eventuale annullamento del deliberato sarebbero difficilmente riproducibili in un verbale di conciliazione; il tutto con la prevedibile conseguenza che l’altra parte del procedimento sarebbe quindi poco motivata a concludere positivamente la mediazione.
Nonostante la disciplina della mediazione non abbia radicamento territoriale - probabilmente perché all’epoca del concepimento della normativa il legislatore non sapeva quanti organismi di mediazione sarebbero sorti e dove sarebbero stati ubicati - si deve ritenere, per analogia a quanto disciplinato dagli artt. 23 e 810 c.p.c., che la mediazione debba svolgersi presso un organismo di mediazione sito nella stessa circoscrizione ove sorge l’edificio condominiale; ed anche su questo punto sarebbe utile una intervento integrativo del legislatore.
Non è poi chiaro quali siano le materie “condominiali” oggetto di mediazione obbligatoria.
Oggetto di mediazione sono sicuramente le impugnative di deliberazioni assembleari condominiali ed anche le azioni tese alla formazione o alla revisione delle tabelle millesimali.
Va chiarito che in materia di impugnazione di delibere resta, chiaramente, sospeso il termine per l’impugnazione stessa per il periodo necessario ad esperire il tentativo di conciliazione (quattro mesi).
Non dovrebbero essere oggetto di mediazione obbligatoria le eventuali cause che vedrebbero parte “passiva” il condominio contro un fornitore di servizi (di pulizia, di manutenzione dell’ascensore o di caldaie, di disinfestazione, ecc.) o contro le ditte che hanno eseguito lavori edili al fabbricato condominiale posto che la natura di tali vertenze è di mero recupero crediti.
Non sono oggetto di mediazione obbligatoria: i ricorsi per decreto ingiuntivo ex art. 63 disp. att. c.c. (ma anche le aste giudiziarie relative agli appartamenti dei condomini morosi), le procedure concernenti la nomina e/o la revoca dell’amministratore del condominio, i procedimenti di cui all’art. 1104 del c.c..
Sono pure esclusi dal procedimento di mediazione obbligatoria i giudizi cautelari, le vertenze possessorie, i procedimenti per convalida di licenza o sfratto (di locali condominiali) fino al mutamento del rito, i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi comunque a esecuzione forzata.
Sono parimenti esclusi i procedimenti di volontaria giurisdizione e/o comunque camerali.
Nemmeno sono soggetti alla mediazione obbligatoria le azioni civili spiegate come parti civili nel processo penale.
Una problematica a parte riguarda i procedimenti in cui sarebbero parti sia un condomino che il condominio per le problematiche attinenti ai conflitti di interessi ed ai quorum assembleari (soggetti alla cd. prova di resistenza).
Per la casistica assicurativa in materia di condominio si deve distinguere:
1. tra quella relativa alla richiesta di indennizzi sulla base della polizza globale fabbricati che è comunque materia di mediazione obbligatoria perché la vertenza si basa su un contratto assicurativo;
2. e quella in cui il condominio è parte invitata alla mediazione ma è opportuno che richieda che sia invitata alla mediazione anche la compagnia assicurativa per essere eventualmente manlevato (proprio per la polizza globale fabbricati).
Sembra invece pacifico che l’amministratore – come per la transazione - non possa sottoscrivere alcun verbale conciliativo se non autorizzato da specifica delibera condominiale che recepisca preventivamente ed integralmente il contenuto della mediazione.
Il problema, a questo punto, si sposta sulle eventuali maggioranze necessarie affinchè si possa effettivamente partecipare alla mediazione e/o far sottoscrivere un verbale di conciliazione all’amministratore. Deve quindi essere verificata se la delibera “autorizzativa” alla conciliazione sia stata presa con il quorum (costitutivo e deliberativo) necessario.
Per le mediazioni concernenti la rinunzia ai diritti reali su parti comuni (a favore di un condomino o di un terzo) e/o comunque atti di alienazione di parti comuni o di costituzione su di esse di diritti reali o per le locazioni ultranovennali è richiesto il consenso della totalità dei condomini. E ciò perché in tali atti rileva il diritto dei condomini uti singuli e non come partecipanti al condominio (ed infatti in tali casi è improprio anche parlare di delibera totalitaria o all’unanimità) e quindi tali atti non sono di specifica competenza delle assemblee condominiali (indipendentemente dalle maggioranze).
In caso di vertenze relative a pendenze economiche (es. riparto di spese condominiali oppure la definizione di pendenze col precedente amministratore) dovrebbero essere sufficienti le maggioranze ex art. 1136, comma 4 (ossia comma 2 per esplicito rinvio) c.c..
Chiaramente in cause che coinvolgono i singoli condomini contro il condominio dovrebbero essere verificati i quorum per i possibili conflitti di interessi e quindi con particolare riferimento degli stessi quorum alla cd. prova di resistenza.
Una ipotesi particolare e di difficile soluzione è quella relativa alle possibili vertenze tra l’amministratore ancora in carica ed il condominio posto che l’amministratore è l’unico rappresentante legale - sebbene pro tempore - del condominio.
In questo caso l’assemblea dovrebbe assolutamente delegare un terzo soggetto a rappresentare il condominio in fase di mediazione per ovviare al conflitto di interessi.
Pertanto, le future pronunzie della giurisprudenza colmeranno i vuoti legislativi … quasi a voler riaffermare che effettivamente che la materia condominiale è regolata da una sorta di non meglio precisato … “common low” …