Conciliazione anche nel contenzioso fiscale. È ormai a buon punto il progetto del ministero dell'economia e delle finanze di riforma della giustizia tributaria, un progetto che porterà alla divisione del rito in due parti. Una fase precontenziosa, affidata ad organismi con composizione mista, di natura amministrativa, aventi funzione conciliativa. E una fase giudiziaria, costituita da un unico grado di merito, demandata a magistrati di carriera, occupati a tempo pieno, provenienti dalla magistratura ordinaria o da quelle speciali (oggi nel ruolo dei giudici tributari figurano anche avvocati e commercialisti).

Il piano ha già messo in allarme i magistrati. Tanto che, in una lettera inviata il primo marzo scorso dal presidente dell'Associazione magistrati tributari, Ennio Attilio Sepe, ai presidenti di tutti gli organismi, istituzionali e associativi, che si occupano di giustizia tributaria, si sollecitano prese di posizione per avviare «un'azione comune per contrastare quello che da indiscrezioni autorevoli e da segnali significativi sembra essere il progetto di riforma della giustizia tributaria che, a quanto sembra, è stato pressoché definito dal ministero dell'economia e delle finanze».

Sembra insomma essere giunto al capolinea l'attuale sistema di gestione del contenzioso fiscale, consolidatosi nei centocinquant'anni di vita delle commissioni tributarie. Soppiantato da un modello misto che, anche sulla scia di quanto sta accadendo nel civile con la mediaconciliazione, punta a sfoltire le pratiche da fare approdare nelle aule. Non mancheranno le polemiche, visto che sin d'ora l'Amt lamenta la mancanza di dibattito «fra tutti i soggetti che, per competenza ed esperienza, possono prospettare soluzioni meditate al fine di conseguire un risultato che migliori e non peggiori la situazione vigente». Nel merito del progetto, le critiche si appuntano sul rischio di un abbassamento della tutela giurisdizionale del contribuente, «sostituendosi», si legge nella missiva di Sepe, «un grado di giudizio con una fase precontenziosa, di natura amministrativa, più facilmente condizionabile da orientamenti del ministero e non richiedente una difesa tecnica, e riducendosi l'esame del merito ad un solo grado di giurisdizione». Va peraltro osservato che nel campo della giustizia tributaria il doppio grado di giurisdizione non gode di una previsione costituzionale. Ma è pur vero, rileva l'Amt, «che nel nostro sistema processuale non esiste processo con un unico grado di merito e, tanto meno, è giustificabile che il contribuente abbia una tutela giudiziaria inferiore a quella di chi promuova un giudizio per il danno a un parafango».

Le ragioni dell'intervento ministeriale risiedono nel tentativo di dare una accelerazione allo smaltimento dei processi fiscali pendenti. E all'intera struttura del rito, che oggi vede chiudersi una lite nel tempo medio di due anni. A metà dicembre scorso il direttore generale delle Finanze, Fabrizia Lapecorella, in un'audizione in commissione Finanze della Camera, aveva rilevato che dopo essersi ridotti dagli oltre due milioni e 400 mila del 1996 ai 627mila del 2007, nel 2008 i procedimenti in attesa di definizione sono aumentati del 2,49% portandosi a 643 mila e nel 2009 del 6,22% risalendo a 638 mila. La causa, secondo Lapecorella, sarebbe da ascrivere all'aumento dei ricorsi nell'ultimo biennio «cui non è corrisposto un pari incremento dei ricorsi definiti», mentre nel frattempo si è registrata una costante riduzione dei giudici tributari, che ha comportato anche una diminuzione delle sezioni giudicanti. Dati Amt mostrano che si è passati da un organico inizialmente previsto dalla riforma del '92 di 8.424 giudici alle 4593 unità fissate dal decreto Visco dell'aprile 2008, sino agli attuali 3.484 giudici, così ridottisi di fatto per cause naturali o per dimissioni. «In una situazione del genere», rilevava il direttore delle Finanze, «la capacità definitoria del corpo giudicante nel suo complesso non riesce a compensare l'incremento del contenzioso». In audizione, Lapecorella aveva già in qualche modo anticipato le linee di intervento del ministero, parlando della necessità di introdurre nel processo tributario una fase precontenziosa per filtrare i ricorsi. E così sarà anche se, dal punto di vista dell'Amt, più che di una riforma, il sistema del contenzioso fiscale avrebbe bisogno di una copertura dei posti rimasti vacanti e di una più razionale distribuzione dell'organico. «Ma alla copertura dei posti di giudice», chiude la lettera del presidente Amt, «deve corrispondere anche la copertura dei posti rimasti vacanti del personale amministrativo, cui spetta il compito di apprestare gli adempimenti per la tenuta delle udienze e quelli successivi alla decisione della controversia. Non è certo tollerabile, come accade in alcune commissioni, l'imposizione di un limite, del tutto illegittimo, al numero di cause da fissare ad udienza. E al personale amministrativo deve provvedere il ministero, ancor prima che il Consiglio di giustizia tributaria provveda alla copertura degli organici dei giudici».