Uno dei punti più salienti della riforma forense riguarda la previsione dell'obbligatorietà della frequenza di corsi di formazione per l’accesso alla professione di avvocato.
Il comma primo dell’art. 43 della Legge 31 dicembre 2012 n. 247 espressamente prevede che “Il tirocinio, oltre che nella pratica svolta presso uno studio professionale, consiste altresì nella frequenza obbligatoria e con profitto, per un periodo non inferiore a diciotto mesi, di corsi di formazione di indirizzo professionale tenuti da ordini e associazioni forensi, nonché dagli altri soggetti previsti dalla legge”.
 
La riforma rischia sul punto di risolversi in un fallimento: rendendo obbligatoria la frequenza di corso di formazione si corre il rischio di creare un'ulteriore nicchia del mercato della formazione che - in quanto tale - sarà con ogni probabilità monopolizzata dai soggetti già operanti nel settore. Tale previsione inoltre contribuirà alla nascita di innumerevoli soggetti deputati alla formazione fino ad inflazionarne il mercato in danno degli aspiranti avvocati spesso disorientati in un mondo ancora tutto da scoprire.
In altri termini, non vi è dubbio che - sino ad oggi - esistano già migliaia di organismi che si occupano della formazione dei praticanti avvocato.
Da sempre gli aspiranti avvocati hanno avuto modo di decidere liberamente se frequentare un corso di formazione durante il periodo del praticantato, scegliendo    il soggetto più idoneo alla cura della propria specifica formazione, oppure se effettuare una formazione individuale.
Nel tempo la stragrande maggioranza dei tirocinanti – per mancanza di disponibilità economica o per scelta personale – ha preferito dedicarsi ad una preparazione individuale “a costo zero”, accostata all’attività di praticantato,  raggiungendo comunque soddisfacenti risultati all’esito dell’esame di abilitazione alla professione forense. 
A mio sommesso avviso, più che l’obbligo di formazione per almeno 18 mesi è di gran lunga più rilevante la qualità dell'attività svolta in tale periodo. L’apparato normativo in esame rischia di trasformare la formazione in un vero e proprio costo a carico del praticante. Il tutto, come accennato, con uno scarso concreto valore aggiunto per l’aspirante avvocato, posta la non equivalenza tra "obbligatorietà della formazione per almeno 18 mesi" e "migliore qualità della formazione professionale".

Resta ora da vedere se, e quando, le mie “pessimistiche” riflessioni potranno trovare una qualche forma di smentita nell’applicazione pratica dell’art. 43, Legge 31 dicembre 2012, n. 247/2013.