L’anno 2012 si ricorderà anche per l’introduzione della riforma forense da troppi anni attesa. Il provvedimento licenziato da un Parlamento prematuramente sciolto contiene – probabilmente per la fretta di fine legislatura – alcune norme che non rappresentano di certo la piena attuazione dei tanti proclami  (“e adesso i giovani potranno avviarsi alla professione con maggiore fiducia!”) uditi successivamente al suo varo.  

Una premessa è d’obbligo nel breve spunto che si intende proporre.
Siamo un Paese che vive di emergenze e per ragioni di logica se vi è un’emergenza vuol dire che qualcuno l’ha provocata: non è quindi un voler mancare di rispetto l’atteggiamento di chi oggi mette in discussione la professionalità di quella classe dirigente che ci ha rappresentato e che incurante del bene comune ha determinato le condizioni dell’attuale squilibrio economico finanziario in cui ci troviamo.

Trattasi, piuttosto, di prender atto di un pregresso ed errato sistema normativo (abilmente costruito da chi vuole conservare il proprio potere), e di far notare l’incoerenza di chi oggi pretendere di risolvere una emergenza senza affrontare (con della sana auto-critica) il vero nodo centrale della questione: la riforma forense pone a carico della nuova generazione di avvocati un insostenibile peso economico creato dal vecchio sistema pensionistico.
Non è dunque percorribile la soluzione prospettata nella riforma forense che consentirebbe ad una determinata fascia di professionisti la conservazione delle prestazioni previdenziali generosamente acquisite proprio “nel periodo delle vacche grasse”.

Sia chiaro: nessuno vuol mettere in dubbio il diritto alla pensione purché tale prestazione trovi fondamento in sistema previdenziale che sia imperniato sul rispetto di principi di solidarietà e di proporzionalità alla capacità contributiva.  

L’art. 21 della riforma forense stabilisce che “L’iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense” e che “Non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense”.
Tale obbligo di iscrizione è bene chiarirlo sin da ora, impone ai giovani e meno giovani avvocati – pena l’avvio di un procedimento disciplinare – il versamento di un contributo che sarà determinato da un regolamento adottato dalla Cassa forense (secondo alcune indiscrezioni, il contributo di poco superiore ai mille euro, sarà posto anche a carico dei professionisti che dichiarano redditi molto bassi e dei giovani avvocati con redditi pari a zero).  

La norma di nuova introduzione opera in un momento storico-economico di profonda recessione: sono proprio i dati forniti dalla Cassa a illustrare l’esistenza di uno stato di difficoltà professionale degli avvocati che trova conferma non solo in una generalizzata flessione dei redditi dichiarati da tutti gli iscritti alla Cassa Forense (e che nel triennio 2008 - 2010 hanno subito una contrazione di oltre il 7%) ma anche nel numero di professionisti con redditi non superiori a  16.154,00 € : ben 98.621, di cui quasi 40.000 dei quali neppure iscritti all’Ente di previdenza (Fonte Sole24ore del 5.6.2013).
E con l’acuirsi della crisi, i redditi saranno destinati ad una ulteriore ed inesorabile contrazione.  

A fronte di questi dati rappresentativi di una buona parte dell’avvocatura che vive in condizioni di assoluta marginalità, la riforma forense si è posta indirettamente anche l’obiettivo di risolvere il problema dell’equilibrio economico e finanziario della Cassa, imponendo a chi non ha redditi sufficienti di versare un contributo economico slegato dal reddito prodotto.  

Si è quindi raggiunto il paradosso di esser transitati dal vecchio sistema - in cui l’obbligo di iscrizione alla Cassa incombeva a partire dall’anno in cui si produceva un reddito o un volume di affari di importo maggiore o uguale al limite minimo stabilito per quell’anno dal Comitato dei Delegati -, ad un nuovo ordinamento assolutamente noncurante della crisi economica e che obbliga l’avvocato privo di redditi (o con redditi bassi) a versare un contributo alla Cassa.  

Dov’è finito il principio giuridico generale e morale di solidarietà che informa anche l’ordinamento previdenziale?  
Partendo dal presupposto più volte stabilito dal Giudice delle leggi, secondo cui la pensione ha natura di retribuzione differita e proporzionata alla qualità e quantità di lavoro prestato, non si comprende perché in un sistema previdenziale poco rispondente al principio di eguaglianza, si continuino a riconoscere generose pensioni ai professionisti che beneficiano e hanno beneficiato di un sistema di calcolo che commisurava l’ammontare della pensione alla media dell'ammontare degli ultimi redditi professionali, e non ricondurre più equamente tale prestazione ad una corretta proporzione parametrata ai contributi versati.  

E soprattutto perché l’emergenza contabile e di equilibrio di bilancio della Cassa deve essere sostenuta da chi non ha concorso a crearla, né tantomeno ha un reddito sufficiente per adempiere? 
Si vuol forse sostenere che il diritto alla pensione assume un peso ed un valore diverso a seconda dell’età del professionista in spregio al principio di eguaglianza, oppure, più celatamente, si può sostenere che l’obbligo della Cassa Forense non è altro che il grimaldello giuridico formulato per eliminare la concorrenza dei giovani avvocati favorendo in tal modo gli studi più avviati?  

A queste domande la riforma non dà risposta.
Anzi, per salvare la sostenibilità previdenziale chiama in causa i giovani privi di reddito. Appare evidente, dunque, che la norma in esame è irragionevole per una molteplicità di ragioni.   Innanzitutto va detto che l’incidenza dei contributi previdenziali deve essere parametrata ai livelli di reddito prodotti, ed in mancanza di questi, deve essere consentita la possibilità di stipulare pensioni integrative tali da consentire il diritto a godere di un minimo di pensione e ad un’età ragionevole.  

Va poi rilevato che i contributi previdenziali versati non garantiranno comunque un reddito dignitoso tra quarant’anni, poiché da un canto vi sarà sempre un aumento insostenibile dell’età pensionabile, e, dall’altro, non vi sarà corrispondenza tra quanto versato oggi e quanto riconosciuto nel momento in cui maturerà il diritto alla pensione: trattasi di veri e propri contributi “a fondo perduto”.
Ed allora ci si chiede per quale ragione è necessario costringere un avvocato a versare un contributo previdenziale che tra quarant’anni non sarà comunque sufficiente a garantirgli una esistenza dignitosa?

L’irragionevolezza della norma si misura anche in altri termini: pur non assicurando una pensione dignitosa, la contribuzione previdenziale imposta ex lege costituisce già oggi un ostacolo di fatto all’esercizio della professione forense, stante la sanzione della cancellazione dall’albo a seguito del mancato versamento di quanto richiesto!
Vi è poi che il sistema delle casse previdenziali dei professionisti avendo natura solidaristica risponde al combinato disposto degli articoli 2 e 38 Cost. . Come affermato in più occasioni dalla Consulta (sentenze n.132/134 del 1986), i contributi previdenziali (aventi natura lato sensu tributaria) vengono in considerazione in ragione del prelievo fra tutti gli appartenenti alla categoria secondo la loro capacità contributiva, mentre le prestazioni sono proporzionate soltanto allo stato di bisogno. 

La natura dell’obbligo previdenziale seppur scaturente dall’appartenenza ad una categoria professionale è assoggettato all’art. 53 Cost., ovvero all’obbligo del versamento di una quota parametrata alla capacità contributiva.   Ne consegue che se l’accesso alla professione non può essere limitato per ragioni di reddito, anche l’obbligo del versamento dei contributi previdenziali non può costituire una causa di cancellazione dall’albo degli avvocati allorquando il professionista sia sprovvisto di adeguati redditi propri, trattandosi altrimenti di un sostanziale raggiro proprio del principio del libero accesso alle professioni.  

Non è un caso che lo stesso legislatore della riforma forense, abbia previsto all’art. 21 comma 1, che “la permanenza dell'iscrizione all'albo è subordinata all'esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente, salve le eccezioni previste anche in riferimento ai primi anni di esercizio professionale”, e al comma 9, “la Cassa (…), con proprio regolamento, determina, (…) i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l'eventuale applicazione del regime contributivo. salve le eccezioni previste anche in riferimento ai primi anni di esercizio professionale”.  

Sarebbe necessaria una seria riflessione sulle effettive dinamiche perseguite dal legislatore con l’introduzione dell’art.21 della riforma forense, come anche sulla coerenza del sistema e sul rispetto dei principi di eguaglianza, solidarietà e libero accesso alla professione alla luce delle mutate esigenze economiche.
Non può ritenersi coerente né tantomeno ragionevole un tal sistema che promette ai giovani avvocati una pensione dignitosa tra quarant’anni (peraltro da provare), costringendoli, per converso, al versamento di una prestazione previdenziale talmente gravosa che li privi già oggi di un reddito decente.

Si lasci decidere ai giovani almeno di che morte morire, senza illuderli, ma concedendo loro la possibilità di costruirsi un futuro certo oggi, non domani da anziani!
Per tali ragioni sarebbe auspicabile l’introduzione di una esenzione totale dal versamento del contributo previdenziale nei confronti dei giovani avvocati e di quelli privi di reddito, imponendo successivamente ad attività professionale ben avviata, l’obbligo del versamento.  

Infine, capitolo a parte ma non per importanza riveste la questione dei costi di gestione della Cassa Forense: è necessario procedere una revisione della spesa (oggi, spending review) anche tra i lauti compensi dei componenti della Cassa Forense e dei delegati (il costo degli organi amministrativi e di controllo della Cassa è pari ad euro 3.003.760,89.  Fonte: bilancio 2011) .

P.S. Le decisioni che riguardano il futuro professionale dei giovani avvocati devono essere concertate e avallate da chi il futuro lo vivrà e non da chi ha già fatto il suo tempo.
Questi ultimi, che ci hanno condotto in questa crisi, con il rispetto dovuto si riposino.
(www.nocassaforense.blogspot.it)